eolo | rivista online di teatro ragazzi
recensioni
SLASH FESTIVAL A MILANO
SAMUEL ZUCCHIATI CI PARLA DELLA SECONDA EDIZIONE DEL FESTIVAL DI ARTEVOX A MILANO

Dentro una gola di verzura immaginaria, al riparo dai rumori e dalle corse del mondo, si apre un varco bianco: un gazebo che non promette nulla ma custodisce tutto. Le sue pareti sono morbide come un respiro, appena velate da luci che sfumano, e una musica lieve scorre come acqua nascosta tra le radici. Non c’è platea, non c’è distanza: soltanto un invito a entrare, uno alla volta, con il proprio nome pronunciato piano, come una chiave che apre la porta.
Qui i bambini trovano un giardino che non ha alberi né fiori, ma li contiene ugualmente: nei suoni, negli odori, negli oggetti che si offrono senza fretta. È un giardino segreto non perché nascosto, ma perché intessuto della possibilità di rivelare qualcosa che ancora non si conosce di sé.

Siamo all’ IRCCS Fondazione Don Gnocchi di Milano e all’interno de Il Giardino Segreto, i bambini entrano accompagnati dalle loro terapiste: figure che li conoscono intimamente, che sanno distinguere un odore che rassicura da uno che irrita, il colore che li eccita da quello che li respinge, la consistenza che procura piacere da quella che scatena rifiuto. Sono bambine e bambini neurodivergenti, il cui autismo non è un impedimento ma solo un modo molto differente in cui relazionarsi col mondo. Proprio in quello spazio sospeso, pensato, studiato e costruito per spettatori con questa modalità di relazionarsi all'Altro, proprio qui dentro accade qualcosa di imprevisto. "Nonostante la conoscenza profonda costruita in anni di lavoro clinico e educativo, lo spettacolo è riuscito a far emergere aspetti inattesi. In particolare sulla personalità di questi bambini che già conosciamo da tempo" commenta la direttrice del Dipartimento di Neuropsichiatria e Riabilitazione dell'età evolutiva, Dott.ssa Anna Cavallini "gesti nuovi, reazioni impreviste, lampi di relazione che non erano mai stati osservati prima".

Questo non accade per caso. "Gli attori di Artevox" ha osservato la stessa dottoressa "sono evidentemente preparati a lavorare con le neurodivergenze: sanno aspettare, non forzano, dosano gli stimoli, rispettano il diritto di dire no". Potremmo dire, tornando al codice teatrale, che la presenza calma e attenta di Woody Palmieri e la regia di Anna Maini diventano il vero dispositivo estetico del lavoro. Così il teatro non si limita a proteggere o intrattenere, ma apre possibilità conoscitive: svela tratti nascosti di chi vi partecipa, restituendo (in questo caso agli stessi terapeuti, oltre che ai bambini) una nuova immagine dei piccoli spettatori. Un’esperienza intima, costruita per un massimo di cinque bambini alla volta e pensata in particolare per bambine e bambini nello spettro autistico. Uno spazio immersivo dove in un percorso in cinque appuntamenti, ognuno dedicato a un elemento della natura, si aprono soglie sensoriali diverse – un odore, una consistenza, un colore – che diventano il filo conduttore dell’esperienza. Non si tratta di “spiegare la natura”, ma di offrirla in frammenti sensoriali: il fruscio delle foglie, la carezza dell’acqua, la sorpresa del rumore di un sasso, il suo essere freddo o caldo. Il recitato si ferma al primo step: la presenza, senza caricare troppo il personaggio di Samay (Palmieri) che accompagna, propone, osserva, con un’attenzione costante ai ritmi e alle reazioni di ciascun bambino. Tutto è calibrato per non sovraccaricare ma stimolare, per lasciare spazio all’imprevisto e accogliere le risposte inattese che ogni piccolo partecipante porta con sé. Per questo Il Giardino Segreto non può essere confuso con un percorso educativo o didattico in senso stretto. È un’esperienza teatrale a tutti gli effetti: un’esperienza estetica che non si prefigge di insegnare ma di generare relazione, meraviglia e scoperta.



551337958_10163583547722500_4074445226089619860_n_259669.jpg
Lo Slash Festival porta in una esperienza palombara, un’immersione dentro linguaggi che spostano l’asse percettivo. La seconda edizione si è anticipata con l'esperienza del Giardino e ha aperto ufficialmente al pubblico  il 23 settembre in occasione della giornata mondiale delle lingue e dei segni . Nel laboratorio condotto dall'Ente Nazionale Sordi, sezione di Milano, dapprima bambini e bambine hanno imparato a tessere una favola in segni e segnando il gesto che diventa parola, il volto diventa grammatica. Alla fine, quei segni si sono fatti racconto scenico: una rappresentazione che aveva la forza semplice e rivoluzionaria di dire che ogni lingua è una porta per abitare il mondo. A seguire il menù porta ad AperiSegno: niente voce, solo mani e sguardi. L’alfabeto, tradotto nel codice manuale, apriva ad altre velocità e ad altri inciampi: il “telefono senza fili” non correva più sussurrato da un orecchio all’altro, ma passava come un’onda visiva da un corpo all’altro. In questo insolito aperitivo la LIS mostrava la sua natura visivo-gestuale, regalando a chi partecipava la vertigine del cambio di prospettiva: parlare non è necessario, comunicare è inevitabile. Questa prima giornata si è chiusa con Je Vous Aime, lecture-performance di e con Diana Anselmo e Sara Pranovi per la produzione CHIASMA. Le mani nella storia del cinema per farne emergere le crepe. Siamo nel 1891, quattro anni prima dei Lumière: Georges Demenÿ costruisce un apparecchio capace di proiettare per un solo secondo immagini in movimento. Non lo fa per spettacolo, ma per insegnare la lettura labiale a ragazzi sordi. Quel gesto fondativo del cinema porta con sé una contraddizione bruciante: l’immagine in movimento nasce non per esaltare il corpo, ma per negarlo, non per aprire una lingua, ma per forzarne un’altra. Diana Anselmo riporta al centro ciò che la Storia ha espulso: i corpi esclusi, le lingue represse, la letteratura dei padroni che diventa dispositivo di dominio. La sua azione scenica invita in modo deciso lo spettatore all’etica del guardare: audismo, fonocentrismo, linguicismo non sono concetti astratti, ma forze che hanno inciso sulle vite e sulle possibilità espressive di intere comunità.

Accanto agli spettacoli, il festival ha voluto fermarsi a riflettere. La tavola rotonda sull’accessibilità organizzata da Artevox e coordinata e condotta da Marta Galli, direttrice artistica del Festival, ha riunito direttrici artistiche, attivisti e operatori che da anni lavorano su questo terreno. È stato un incontro ricco, denso, a tratti conflittuale, perché parlare di accessibilità significa parlare di trasformazione: dei linguaggi, delle estetiche, delle organizzazioni. Un'occasione per dirsi in tutta onestà che “non possiamo guardare all'accessibilità soltanto da un punto di vista pratico, organizzativo, materico, spaziale, ma dobbiamo tenere conto che come persone disabili incarniamo identità multiple, siamo dei prismi con tante facce”, questo lo spunto di Elia Zeno Covolan. Uno spostare il discorso: non un problema tecnico da risolvere, ma un cambiamento di sguardo sul mondo e sulla cultura. Elisabetta Consonni, direttrice artistica di Orlando Festival, lo definisce uno "shift" percettivo: una volta che si comincia a lavorare sull’accessibilità, diventa impossibile non vedere più i gradini davanti a un palco, o le porte strette, o le diciture escludenti. È come quando ci si accorge che il maschile sovraesteso non basta: all’improvviso ciò che prima sembrava normale diventa un errore, e non si può più tornare indietro. Uno stimolante invito, verbalizzato chiaramente da Elisa Ferrari di BASE Milano, a non sottostare alla scelta di delegare “la responsabilità alle organizzazioni culturali”. Anzi, v'è necessità di creare rete, di passare dall’esperienza isolata all’advocacy condivisa. In chiusura Marta Galli  apre una prospettiva : immaginare un futuro in cui non si parli più di accessibilità, perché sarà diventata una pratica scontata, come lo è oggi il leggere i sovratitoli o il vedere un’uscita di sicurezza. Non una concessione speciale, ma un’abitudine culturale.

Dal 23 al 28 settembre, Slash Festival ha trasformato Milano in un laboratorio diffuso di pratiche accessibili con un programma che ha intrecciato workshop e performance di cui abbiamo parlato ma anche le danze di Let Me Be e R.OSA di Silvia Gribaudi, le Fiabe italiane di Artevox, la performance itinerante Alberi Maestri, il Foresto di Babilonia Teatri, laboratori di danceability e uno di teatro d’ombre curato da Consorzio Balsamico, fino al Silence Party conclusivo.
Un cartellone che ha reso visibile la ricchezza di un festival giovane ma determinato a voler lasciare il segno. Promosso e organizzato da Artevox Teatro con la collaborazione dell’Ente Nazionale Sordi - sezi di Milano, Associazione ContART e Mare Culturale Urbano, , Municipio 7 e Fondazione Don Gnocchi, sostenuto da Comune di Milano e Regione Lombardia. Slash ha confermato la sua vocazione: non solo programmare spettacoli, ma immaginare un futuro in cui l’accessibilità non sia un’aggiunta, bensì la condizione naturale per fare e vivere cultura.

SAMUEL ZUCCHIATI