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recensioni
CONTEMPORANEO FUTURO A ROMA/LA SECONDA PARTE DEL REPORT DI EOLO
LE RECENSIONI DI ROSSELLA MARCHI,EMANUELA REA E VASSILIJ MANGHERAS

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Dal 10 al 14 Aprile si è svolta a Roma, negli spazi del Teatro India e nel bellissimo teatro ottocentesco di Villa Torlonia, la IV edizione di “Contemporaneo futuro”, il composito festival teatrale dedicato alle nuove generazioni curato da Fabrizio Pallara. Un festival di originale sostanza, interessante e colmo anche di benefici azzardi per il Teatro Ragazzi italiano che è stato stimolato oltre che da specifici spettacoli a volte in qualche modo anomali, anche da contributi visivi, mostre e due approfondimenti tenuti da Sergio Lo Gatto. Dopo la prima parte del nostro Report eccovi la seconda con i nuovi contributi  critici di ROSSELLA MARCHI,EMANUELA REA E VASSILIJ MANGHERAS

NUNC/COMPAGNIA BRAT

Potrebbe sembrare uno scenario post atomico quello presentato nello spettacolo “Nunc” vincitore del Premio Scenario Infanzia nell’anno 2022 dalla compagnia udinese BRAT, prodotto dal Teatro Metastasio. All’arrivo in platea il pubblico trova sulla sua poltrona un sacchetto di carta pieno di pop corn che la maggioranza degli spettatori comincia subito a sgranocchiare. Lo spazio scenico è un rettangolo di terra agito da tre creature mascherate che per colore quasi con essa si confondono. Cercano cibo, queste creature divertenti che si muovono con partiture fisiche ben studiate, precise ma esilaranti emettendo strani suoni che suscitano un’immediata simpatia, e nella loro ricerca troveranno degli oggetti, un setaccio e una pentola, che tenteranno di capire come rendere utili nella loro ricerca. Proveranno a setacciare la terra e troveranno semi, quei semi porteranno a germogliare del granturco ma sarà l’intervento di un quarto personaggio, una sorta di demiurgo ma forse anche la personificazione di un passato produttivo che lancia oggetti sopravvissuti alla distruzione della civiltà precedente, che appare in scena per adagiare al centro del palco un forno a microonde attaccato con un filo ad una presa di corrente. Inizialmente spaventate, le tre creature si spingeranno l’un l’altra per decidere chi per prima toccherà il nuovo oggetto apparso poi, preso coraggio, capiranno come utilizzarlo, lo accenderanno e verranno prese dal panico sentendo scoppiettare al suo interno. Ma dopo averlo spento troveranno pop corn che serviranno a rifocillarsi. Euforiche per la nuova scoperta cercheranno di capire come fare a procurarne altri e dopo vari tentativi scopriranno che quei chicchi trovati nella terra setacciata una volta inseriti nel forno producono proprio quei deliziosi pop corn. Ma mentre all’inizio, presi dalla paura, dividono equamente quello che trovano nel microonde, una volta capito il meccanismo una creatura decide di mangiare tutto il contenuto del sacchetto senza dividerlo con gli altri. Questo la porterà alla morte. Le due creature rimaste, si contenderanno il microonde fino a distruggerlo rimanendo quindi senza il principale mezzo di sussistenza e decretando la fine delle due creature rimaste e del loro mondo. L’impianto di questa creazione collettiva diretta da Claudio Colombo con in scena le brave Agata Garbuio, Claudia Manuelli, Michele Guidi e Paolo Tosin, ricorda quello antico della fiaba, quello in cui si racconta una storia il cui finale non edulcorato non lascia speranze, spiazza lo spettatore e perciò funge da monito. Ad esempio come sappiamo la fiaba di Cappuccetto Rosso nella versione di Perrault finisce con il lupo che la mangia, solo più tardi i Fratelli Grimm riscriveranno la fiaba inserendo la figura del cacciatore che salva nonna e bimba. La storia di NUNC, che non a caso richiama il suo significato latino “ora”, narra una storia semplice che parla sì delle tematiche sottese alla sostenibilità ma vuole raccontare anche l’importanza delle relazioni e della solidarietà. NUNC ci racconta senza mezzi termini che rimanere soltanto nel qui e ora, non condividere le ricchezze e le scoperte porta gli abitanti del mondo ad estinguersi. Un unico spiraglio si apre alla fine: una luce su di un germoglio. Una nuova occasione, che si spera, non sprecheremo.

FELICIA/QUINTOEQULIBRIO

Gli spettacoli sono materia viva, frutto di artigianalità. E’ possibile sognarli, pensarli e metterli in scena ed è possibile che questo processo alle volte abbia bisogno di una revisione. E’ come quando viene al mondo una nuova creatura: diventa patrimonio di tutti e tutti, secondo il proprio ruolo e la propria posizione nel mondo, hanno l’onere di prendersene cura. Felicia era già un buon lavoro quando l’abbiamo visto nel 2023 al festival di Castelfiorentino ma aveva bisogno che se ne seguisse la crescita. A Contemporaneo Futuro “Felicia” ci appare cresciuta e maturata. Il regista Quinzio Quiescenti e l’attrice Stefania Ventura hanno trasformato le criticità emerse in passato in un lavoro coinvolgente, pieno di senso e ben sviluppato. E’ importante rivedere gli spettacoli. Soprattutto quando ci si accorge che il lavoro è buono ma va ancora messo a punto in qualche suo aspetto. Spesso si pensa che se un festival ripropone uno spettacolo che è stato già programmato in un’altra vetrina non valga la pena rivederlo. Proprio in questo caso ci rendiamo conto invece quanto aver dato una nuova opportunità a questo bel lavoro abbia consentito di capire fino in fondo la potenza che questo racconto poteva aveva, la bellezza che la messa in scena così maturata poteva infondere. E’ importante come spettatori, spettatrici, operatori e operatrici dare questa opportunità: quando gli artisti si sentono sostenuti riprendono con nuova linfa in mano i propri lavori e soprattutto quando, come in questo caso, lo spettacolo presenta già ottime caratteristiche, lavorare sulle criticità consegna poi al pubblico delle storie che sarebbe stato davvero un peccato raccontare poco o non raccontare. Felicia è uno spettacolo necessario. Parla di solidarietà, di paura, dello straniero che arriva in una comunità che non lo accoglie. Parla dell’importanza di un ponte, un mediatore tra la comunità e la nuova arrivata, della ricchezza che questa diversità aggiunge al posto dove arriva. Stefania Ventura conferma l’incredibile bravura nell’abitare il corpo di Felicia, un pupazzo nato dalla maestria di Giorgia Goldoni, e al contempo incarnare tutti i sentimenti contrastanti che emergono dalla comunità. Questo lavoro è stato amato, tenuto al caldo e nutrito dalla compagnia Quintoequilibrio che con grande capacità di ascolto l’ha restituito al pubblico.

ROSSELLA MARCHI

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EVERYONE GETS LIGHTER (ALL) / KINKALERI

La Sala Oceano Indiano è vuota, non ci sono scenografie né oggetti. La luce è quella di servizio: nessun elemento catalizzatore né creatore di ambiente. Marco Mazzoni ci accoglie nello spazio come si va incontro a degli amici, pronto all’esercizio fisico, in maglietta, calzoncini e scarpe da ginnastica. Spiega in maniera chiara le regole del dispositivo al quale si può partecipare o solo guardare. Il giovane pubblico, naturalmente, risponde all’invito e subito di schiera davanti il performer pronto ad imparare una nuova lingua. Ad ogni lettera dell’alfabeto e segno di punteggiatura corrisponde un gesto, per esempio: alla A il braccio è steso davanti a sé; con la B si porta la mano sulla spalla, le lettere doppie si esprimono con un salto, o per la virgola si oscilla la mano di fianco al corpo e via dicendo…
Uno sforzo mnemonico che si spinge oltre ogni fonema. Impariamo da principio a sillabare per arrivare alla costruzione di una parola e quindi di una frase: per la performance sono state scelti alcuni haiku, facili da ricordare. Si attiva una sorta di spelling gestuale, per cui un testo viene riportato in movimento, tradotto in un nuovo codice che conquista piano piano tutto il corpo, per coinvolgere anche lo spazio. Se in un primo momento la traduzione in gesto è statica perché ancora incerta nella ricerca del simbolo giusto, e quindi nella creazione della parola e della frase, poi tutto diventa fluido e dinamico. Come quando si impara a leggere. Allora, libero, con un nuovo lessico, il corpo oscilla, si piega, ruota, si sdraia, segue il ritmo della frase, della punteggiatura, prende fiato e riparte. La frase acquista nuovo senso perché la danza che si crea porta altrove il pensiero, dove non è più necessario scandire ogni lettera ma si può lasciare la frase all’inizio della sequenza come ispiratrice del gesto. Avviene così che anche i corpi di chi partecipa si trovano, a tentoni cercano ispirazione, la forma giusta, per poi ammettere il gioco e, perché no, anche l’errore nell’esposizione corretta della frase. Quale sorpresa per noi spettatori “adulti” vedere la naturalezza del gioco, serio, serissimo, che i bambini affrontano e la danza che nasce come linguaggio condiviso in quello spazio e tempo precisi. E se “noi” ancora ci domandiamo la C a quale segno corrisponde, “loro” sono in stretta relazione con il performer, sempre in contatto visivo, sorpassando le dinamiche precise perché hanno già incamerato e restituiscono un nuovo lessico. Un’alfabetizzazione delle potenzialità espressive del corpo attraverso un altro codice che crea una semantica nuova, trova nel giovane pubblico che, ci piace pensare, mai si sottrarrà alla sfida perché per niente compresso o inibito, trova appunto nei bambini un’enorme cassa di risonanza. Everyone Gets Lighter della compagnia Kinkaleri, a cura di Massimo Conti, nasce come performance per adulti, incontrata qui a Roma a Short Theatre 9 e a Tropici a cura di Michele Di Stefano all’Angelo Mai Occupato nel 2013. La volontà di coinvolgere in questo dispositivo anche l’infanzia ci sembra una sfida interessante nell’ottica di farla interagire con tutto il pubblico, in quanto la dinamica di pratica o di contemplazione può veramente innescare nuovo dialogo intergenerazionale basato sulla libertà espressiva. Everyone Gets Lighter fa parte del progetto sul linguaggio dal titolo All! che Kinkaleri porta avanti da anni sviluppato con varie tipologie di percorsi, sia fisici che verbali o sonori, che mirano a sviluppare una libertà espressiva attraverso un alfabeto gestuale.

MARMOCCHIO / SACCHI DI SABBIA

Viene da lontano, attraversando forme diverse, Marmocchio. Una specie di Pinocchio di marmo de I Sacchi di sabbia, pluripremiato gruppo toscano (Premio speciale Ubu, Premio Nazionale della Critica, Eolo Award) in grado di coniugare un’appassionata ricerca nella tradizione popolare all’esplorazione di linguaggi artistici sempre con una sana dose di ironia e una raffinatezza di stile.
Nel 2000 nelle cave di marmo delle Alpi Apuane debutta Marmocchio (Pinocchio di marmo), una grande produzione con musica dal vivo eseguita dalla Banda alle Ciance e un importante cast tra cui, nella parte di Geppetto, Carlo Monni, l’attore toscano scomparso nel maggio 2013.
Nell’ambito del progetto “Radio e infanzia” al Festival di Santarcangelo nel 2013, Rodolfo Sacchettini presenta Marmocchio in collaborazione con Radio Rai3, a cui seguiranno altre future messe in onda.
Grazie alla coproduzione con Fondazione Sipario Toscana, I Sacchi di sabbia presentano al Festival Contemporaneo Futuro la nuova versione, Marmocchio. Una specie di Pinocchio di marmo che evidentemente somma le precedenti, riportando nel sottotitolo “Radiodramma animato per i ragazzi di tutte le età” in cui il minimalismo tipico della compagnia, trova conferma nella costruzione della scena di Antonio Calandrino: un prisma di teli bianchi elastici, un blocco di marmo, da cui prenderà vita, forma, parola il nostro “marmocchio” interpretato da una impertinente e divertentissima Serena Guardone. Perché anche se assomiglia al Pinocchio collodiano e della sua storia ne ripercorre alcune vicende, Marmocchio nasce a suon di martellate, della roccia mantiene le spigolosità e con un mondo altrettanto duro si dovrà confrontare per poter prendere forma e uscire dal blocco, come i prigioni di Michelangelo. Una voce registrata prende subito le distanze dal romanzo di formazione di Collodi: “Marmocchio è un cattivo esempio. Non è Pinocchio e ascoltandolo si può imparare ad essere maleducati e disubbidienti”. Inizia così un’invenzione drammaturgica che sorprende e diverte, dall’accento toscano, innervata di continui ribaltamenti e giochi, in cui a dialogare con il Marmocchio, spaccone, gradasso a tratti crudele, subentrano i vari personaggi, dal grillo parlante dall’inflessione siciliana, alla fata turchina, a Mangiafuoco con la cadenza napoletana, tramite le voci off di Gabriele Carli, Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri, Enzo Illiano, Carlo Ipata, Federico Polacci, Giulia Solano e Daniele Tarini. Marmocchio nasce quindi in una cava di marmo e proprio dai tagli nel prisma lo vediamo uscire dalla pietra (prima un braccio, poi una gamba, il busto) che all’occorrenza diventa al suo interno anche scenario di vicende attraverso un gioco di ombre. La patina di buonismo del precedente collodiano è giocosamente superata da una schietta ironia e da un paradosso dichiarato: Marmocchio non vuole farsi volere bene, non ci pensa a risultare simpatico. Allora invece di offrirsi volontario per salvare i suoi amici burattini in Collodi, in questa storia convince Mangiafuoco a far saltare in aria due piccoli sassi, delle sorte di sanpietrini, al suo posto. Si succedono così tutte una serie di vicende che modellano Marmocchio, inevitabilmente e inesorabilmente, perché la roccia è più dura del legno, e ci vuole più tempo e più forza, e solo l’esplosione della dinamite lo farà uscire dalla sua durezza. Avverte la compagnia che “la morale non c’è o se c’è, dorme alla grossa”: forse vale solo il percorso, nella consapevolezza che la crescita passa attraverso varie tappe, a volte non indolori.

EMANUELA REA

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GRUPPO UROR / ROSSO

La produzione teatrale ROSSO del Gruppo UROR, diretta da Caterina Rossi e Evelina Rossellini, è una rilettura innovativa della classica fiaba di "Cappuccetto rosso ". Questa reinterpretazione è stata sviluppata nel corso di due anni, culminando in uno spettacolo che si distacca significativamente dall'originale per esplorare temi complessi come la morte e la trasformazione personale.
 Nello spettacolo, Rosso è rappresentata come una bambina/marionetta, animata magistralmente da Evelina Rossellini, che gioca con la madre, la poliedrica Rebecca Sisti, in un gioco di ruolo incentrato sulla ricostruzione di una scena del crimine. Questo gioco si svolge sotto l'influenza del fascino di Rosso per la figura e il concetto di morte. Contrariamente alla narrazione tradizionale in cui Cappuccetto rosso incontra il lupo travestito da nonna, in questa versione Rosso, ignorando gli avvertimenti della madre, decide di andare a trovare una nonna che è afflitta da una malattia terminale per riuscire finalmente a entrare in contatto con la morte. Le ferite pelose della nonna sono l'unico indizio della presenza del lupo, rappresentando simbolicamente l'avvicinarsi della fine. La morte della nonna porta a una catarsi per Rosso, che attraverso il dolore arriva a comprendere la fine come un aspetto naturale e pervasivo della vita piuttosto che come una minaccia tangibile. Questa rivelazione coincide con l'incontro di Rosso con il Lupo, che non è più il carnefice ma parte di un processo di comprensione più ampio. Rosso sceglie di piantare un fiore anziché perpetuare il ciclo di violenza, simbolizzando un atto di vita e speranza. Il Lupo assiste allo sbocciare del fiore, momento che culmina nella sua propria catarsi, espressa attraverso una danza commovente. Questa scelta narrativa sfida e destruttura i ruoli tradizionali di vittima e carnefice, proponendo una visione più complessa e riflessiva della fiaba. Il Gruppo UROR non cerca di fornire una soluzione definitiva ma piuttosto invita gli spettatori a considerare una nuova prospettiva sulla storia, spingendoli a riflettere sulle dinamiche di potere tra uomo e donna. Il lavoro si interroga su un nuovo concetto di eroina femminile scardinandola dal ruolo di vittima e, al contempo, cerca di liberare il Lupo dal pesante ruolo di maschio carnefice. Questo approccio innovativo all'arte teatrale sottolinea la capacità del teatro di esplorare la comprensione umana di concetti complessi.

TEATRO LA RIBALTA /LO SPECCHIO DELLA REGINA

il Teatro La Ribalta di Bolzano che da molti anni lavora professionalmente con artisti, portatori di disabilità  ha messo in scena " Lo specchio della regina ", una rielaborazione sorprendentemente originale e poetica dell'iconica favola di Biancaneve. La produzione distilla la storia in elementi essenziali e simbolici, trasformando Biancaneve in un'icona pop basata solo sull’estetica e introduce con delicatezza personaggi vividi che esplorano temi di auto-riflessione e percezione.
Un servo di scena, interpretato con eleganza e con maestria di rumorista da Rocco Ventura che ci fa percepire perfettamente non solo la pioggia e il vento ma anche il ribollire del caffè, avvia lo spettacolo illuminando le lampadine del proscenio. Jason Mattia De Majo, nei panni di uno Specchio umanissimo, guida la regina, interpretata con ardore e precisione emotiva da Maria Magdolna Johannes, attraverso un viaggio di scoperta personale.
La regia di Antonio Viganò e le coreografie di Eleonora Chiocchini si amalgamo perfettamente infondendo un dinamismo coreografico che trasforma sia il dialogo che la danza in poesia, creando una drammaturgia visiva che accompagna e amplifica le parole.
Attraverso una riscoperta di emozioni conflittuali viene esplorata la tensione atavica che si scontra tra l'immagine che ognuno ha di sé in contrasto con quella che gli altri hanno di noi.
Lo specchio della regina non è solo teatro, ma un'esperienza trasformativa che celebra le capacità degli attori e dimostra come la disabilità possa essere trascendente nell’arte. Con una colonna sonora che accompagna con precisione ogni momento chiave, questo spettacolo è una testimonianza potente di come il teatro possa essere uno strumento di espressione e inclusione.
Un appuntamento imperdibile per chi cerca nel teatro una forza capace di muovere, commuovere e ispirare profondamente.

VASSILIJ MANGHERAS