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recensioni
AD ARZO IL FESTIVAL DELLA NARRAZIONE
IL REPORT DI MARIO BIANCHI

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Eccoci anche quest'anno al Festival della Narrazione di Arzo, giunto alla sua ventiduesima edizione che si è svolta nel paesino svizzero sopra Mendrisio dal 18 al 21 agosto, coinvolgendo anche la limitrofa Meride. Un' edizione davvero bella e coraggiosa a cui quest'anno è stato dato significativamente come sottotitolo: “Che basta un colpo di vento per… . “ . A inaugurarla, Giovedì 18 agosto, presso il giardino del Castello, è stata Laura Curino, accompagnata dalla dolce amica Beatrice Marzorati con “Big Data” e Venerdi 19 Alessandro Sesti con il suo eccellente must “Ionica” il quale poi con la sua band musicale formata dalla meravigliosa Debora Contini, Federico Passaro e Federico Pedini ha accompagnato tutto il Festival.
Noi siamo stati presenti gli ultimi due giorni, assistendo a 4 spettacoli di cui ci piace analizzare alcune componenti.
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Come l'anno scorso, ancora più significativa è stata la presenza al Festival del progetto "Vasi comunicanti", coordinato da Stefano Beghi, realizzato dalla compagnia varesina Karakorum Teatro, in collaborazione con Marco di Stefano e Chiara Boscaro di Confraternita del Chianti. Il Progetto, andando ad intervistare gli abitanti dei paesi confinanti tra Italia e Svizzera, ha raccolto per poi trasporli in scena, storie e aneddoti interessanti, riguardanti vicende di quei territori, accaduti a cavallo della fine della Seconda guerra mondiale. Dopo Marcote, Porto Ceresio, Lavena Ponte Tresa, Albiolo, Valmorea , Uggiate Trevano, Solbiate con Cagno, quest'anno, protagonista dei racconti scritti da Beghi, Di Stefano, Panzeri e Allegra De Mandato, che hanno visto in scena Susanna Miotto, Alice Pavan, Stefano Panzeri e Stefano Beghi, è stata la stessa Arzo, ad essere protagonista con le sorelle Tremona, Saltrio e Clivio.
In questo modo dalla memoria sono usciti ben presenti sulla scena sia fenomeni sociali come lo Sciopero delle camiciaie della Beltex e la Storia del Contrabbando tra Italia e Svizzera, analizzato in molti dei suoi aspetti, sia singole vicende umane di gente comune, come la conquista di un umile
ferroviere di una bicicletta per mezzo di una vincita alla Riffa e nel contempo di una camiciaia che riesce a farsi assumere alla dogana come “visitatrice” ( così si denominava chi si occupava di controllare fisicamente che le donne passando la frontiera non nascondessero merce proibita) innamorandosi di un finanziere sardo. Spesso raccordandosi tra loro, Susanna Miotto, Alice Pavan, Stefano Panzeri e Stefano Beghi, ci hanno donato, attraverso una narrazione commossa e commovente, sempre proposta anche questa volta da esseri inanimati, non più statue di Santi o Madonne, ma semplici pietre, tutte le sfumature esistenziali e umane di un mondo comune, popolato da esistenze comuni, vissute tanto tempo fa ma forse del tutto simili a noi. Tutti i racconti, anche quelli presentati l'anno scorso, tra l'altro potevano essere ascoltati in cuffia in un 'apposita postazione per merito della Rete 2 della Radio Svizzera.

Sotto una tenda da Circo abbiamo poi assistito ad uno dei capitoli teatrali che Irene Serini ha dedicato a Mario Mieli, “Abracadabra – Incantesimi di Mario Mieli [studio #3] “ il terzo dei 5 studi dedicati alla figura di questa straordinaria personalità che abbiamo avuto la fortuna di conoscere e che l'Italia bigotta ha in qualche modo rimosso. Mario Mieli, il primo che in Italia con il suo saggio "Elementi di critica omosessuale" apparso da Einaudi nel 1977 (come ampliamento della sua tesi di laurea in Filosofia morale), unendo Freud e Marx, poneva al centro del suo pensiero la liberazione dell’uomo come superamento delle etichette dell’orientamento sessuale verso una “transessualità” in cui ogni forma del desiderio avesse legittimità.
Attraverso un gioco di Incantesimi, di Teatro nel teatro (dove tutto è finto, ma niente è falso) i cui meccanismi l'artista triestina, fattasi quasi sciamana, smonta pezzo per pezzo, destrutturandoli, capovolgendoli, magicamente si fa strada piano piano la figura di Mario.
Mieli, filosofo, Mieli visionario, Mieli poeta, Mieli esoterico, Mieli anche con tutti i suoi difetti, viene portato in scena in modo evocativo, spesso sottovoce. Così come Serini destruttura il Teatro, così Mieli ha cercato di capovolgere la normalità di chi pensava in quei tempi ( anche ora?)che l'omosessualità fosse un'anomalia, una malattia, andando ben oltre. Ben oltre ricordando alla fine che ognuno deve liberamente riconoscersi in quello che si sente di essere senza condizionamenti o imposizioni. Con le luci e suono di Caterina Simonelli il pensiero di Mieli e la sua figura, si impasta con le frasi di Poe e Pasolini con la musica di Brian Eno per mezzo di uno spettacolo veramente particolare che come detto ha anche due sequel in cui Irene non sarà più sola in scena.

Ad Arzo siamo riusciti a vedere anche il completamento dello Studio visto al Premio Scenario di “Topi” di Usine Baug, che porta in scena a più di vent’anni di distanza il vero e proprio massacro del G8 di Genova, perpetrato su una generazione di giovani che voleva cambiare il mondo e che si misurò con la violenza dello Stato. Ciò avviene attraverso quella realtà che ci viene restituita per mezzo di frammenti catturati dal vivo, interviste ed interventi esemplificatori e per mezzo di una metafora squisitamente teatrale: l’invasione di topi nella casa di un perfetto borghese, topi esattamente simili alla valanga di persone, giunte da tanti luoghi diversi, che a Genova in modo pacifico avrebbero voluto testimoniare come si potesse ipotizzare un mondo migliore, gridando le loro istanze a gran voce ai potenti della terra, chiusi nel loro bunker.
Avevamo già notato, e nello spettacolo finito si nota ancora di più, per la continua ripetizione della canzone “I migliori anni della nostra vita” di Renato Zero, ma non solo, il disincanto per un periodo meraviglioso, connaturato con la giovinezza, in cui si poteva prospettare il cambiamento di un mondo che invece è rimasto sempre uguale a sé stesso, se non peggiorato
In scena Claudia Russo, Ermanno Pingitore e Stefano Rocco, pur con qualche ripetizione di troppo dove la metafora dei topi fatica ad innestarsi con l'evocazione di quei fatti, ci restituiscono tutto il valore simbolico di quei giorni che culminarono con l'uccisione del giovane manifestante Carlo Giuliani, gli orrendi episodi avvenuti nella scuola Diaz, dove i manifestanti dormivano e dove furono pestati a sangue dalla polizia, e poi nella caserma di Bolzaneto, dove molte persone furono oltraggiate, molestate, ferite.
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Eccoci poi a “Bolle di sapone” di Lorenzo Collalti che lo dirige con in scena gli efficaci Grazia Capraro e Daniele Paoloni. Lo spettacolo mette in scena attraverso un'ironia divertita e divertente, punteggiata da momenti melanconici l'incontro casuale di una coppia qualunque.
Un lui e una lei di cui non conosceremo nemmeno il nome che potremmo comunemente trovare su un autobus, o al Supermercato, chiusi nel loro mondo a guisa di bolla di sapone come rimanda il titolo.
Lui è ipocondriaco ed è per questo che ogni giorno ha paura di avere qualche strana malattia di cui puntualmente analizza i sintomi su internet, ed è per questo che la paura dei batteri, sempre latente, lo spinge a lavare ogni lunedì alla stessa ora i suoi abiti in lavanderia. Lei in apparenza ci sembra più comune, appartiene a una famiglia di fornai pur essendo intollerante, forse senza saperlo, al glutine. Ogni lunedì da persona pietosa qual è dà il suo pane ai piccioni del parco, seduta nella panchina a sinistra.
E' qui che magicamente si incontrano, complice il comune che ha deciso per ripristinare, levandola la panchina di destra dove lui da solo si siede. Si innamoreranno o no? Non ve lo diremo certo, e poco importa poi.Lo spettacolo vive sulla bellissima e frizzante scrittura di Lorenzo Collalti che è sempre accompagnata dai due efficaci interpreti in scena. Forse, a nostro avviso, la parola intesa spesso solo come veicolo del riso, andrebbe maggiormente proiettata sul palco, con una più accorta adesione a ciò che vediamo e non fine a se stessa . Comunque finalmente uno spettacolo che, nella sua apparente semplicità, mostra in modo esemplare agli spettatori la perfetta condizione umana che possiamo supporre di intravvedere in chi ci sta vicino (anche in noi stessi), l’evolversi delle emozioni, i tentativi di rapportarsi agli altri, con curiosità, senza invadenza, intrisi di speranza per uscire dalla solitudine che spesso ci invade.

Come si vede 4 spettacoli assai diversi tra loro ma che incarnano benissimo i doveri e le caratteristiche della narrazione, quella di far uscire dalla memoria, per preservarli nel presente, personaggi, cronache, anche minime, che in caso contrario andrebbero sicuramente dimenticati e anche, quando serve, ricordare fatti dolorosi perchè non debbano più accadere. Nello stesso tempo è costruita per descrivere situazioni in cui ognuno vi possa ritrovare un poco di noi stessi e degli altri che ci circondano.

Il festival è stato punteggiato anche da diversi incontri coordinati da Sofia Perissinotto a cui anche noi abbiamo dato contributo, come quello della presentazione del volume edito da Editoria&Spettacolo con i 14 racconti fino ad ora messi in scena del Progetto Vasi Comunicanti e l'incontro su Mario Mieli, coordinato da Raffaella Colombo che ne ha tracciato il contributo soprattutto filosofico. Molto ci ha anche interessato quello dedicato a “ Narrare senza stereotipi” Un gesto di Cura che parte dall'Infanzia, dove abbiamo conosciuto Cecilia Caleo del Collettivo “ Scosse” che anche attraverso dei libri dedicati all'infanzia ci ha messo in guarda nei confronti dei numerosi stereotipi presenti nell'editoria italiana per i più piccoli.

Tra gli altri spettacoli perAdulti il Festival ha ospitato I Maniaci D'Amore, per i ragazzi Nicole&Martin, Luigi D'Elia, La Baracca Testoni, Roberto Capaldo, Scena Madre, Valentina Bianda e Lea Lecher, Luca Chieregato, Francesca Cecala con Miriam Gotti e Ilaria Pezzera, I Giullari di Gulliver e I Confabula .

MARIO BIANCHI