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recensioni
CASTELFIORENTINO:IL REPORT CRITICO DI EOLO
LE RECENSIONI DI MARIO BIANCHI ED ELENA SCOLARI CON UN PUNTO DI VISTA DI ROSSELLA MARCHI

Dal 21 al 23 Marzo si è tenuta a Castelfiorentino l'ottava edizione del FestivalTeatro fra le generazioni, organizzato da Giallo Mare Minimal Teatro, manifestazione che, come enunciato dal titolo, intende offrire spettacoli e ragionamenti, tesi a collegarsi nell'immaginario di una scena che si pone intelligentemente FRA differenti età e pubblico. Siamo stati dunque spettatori interessati di 14 spettacoli, intervallati da confronti tra operatori, studi e presentazioni di progetti, in un clima utile e fruttuoso di interscambio di sguardi e pensieri.

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Ecco dunque il primo giorno l'Incontro di confronto tra Assitej e Unima sul panorama dei festival italiani di Teatro Ragazzi e di Figura, in occasione della World Performance Week, mentre durante l'ultima giornata si è fatto il punto suPlanetarium, la piattaforma critica nata sul Web tra “Altre Velocità, Stratagemmi, Tamburo di Kattrin e Teatro & Critica “che l'anno scorso ha efficacemente affiancato Eolo seguendo 3 festival “ Teatro tra le generazioni”, appunto,“Segnali “ e “Maggio all’Infanzia”.

Durante il Festival sono state anche presentate alcune pubblicazioni, “Trame su Misura” e “Teatro e Musica da giocare “ edite da ETS a cura di Renzo Boldrini, due collane rivolte a ragazzi, insegnanti e genitori, intesi come lettori attivi che non solo incontrano personaggi e temi ma possono rimetterli in gioco, tramite ipotesi creative, teatrali, musicali e multimediali.

Flavia Armenzoni del Teatro delle Briciole invece ha presentato Quanto dista il teatro?, indagine sociopoetica tra spettatori e non spettatori a Parma a cura di Roberta Gandolfi edito da Titivillus, volumetto che racconta una ricerca svolta a Parma, tesa a registrare e restituire, come un sismografo, le opinioni sul teatro di un campione vario e numeroso di pubblico, scelto in contesti diversissimi tra loro.

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Oltre studi e spettacoli il Festival ha presentato anche 4 progetti in gestazione, come quello della compagnia Zaches su Cappuccetto Rosso, di Teatro Giocovita suIl Più furbotratto dall'omonimo libro di Mario Ramos , quello di QuintoequilibrioUna Regina”, progetto che avevamo già visto nella finale di Scenario. Abbiamo ascoltato poi il progetto di Vania Pucci della Compagnia Giallo Mare che, su drammaturgia di Francesco Niccolini, si misurerà sul mito di Demetra ed infine Riserva Canini ha invece illustrato il suo nuovo viaggio intorno al concetto di Tempo che affiancherà Little bang”,  bellissimo progetto sulla creazione del mondo che in questi due ultimi anni ha popolato i teatri e le scuole italiani.

Alcuni spettacoli di questa edizione del Festival di Castelfiorentino erano già stati presentati in altre manifestazioni come Alicedi Macchine Semplici (Spettacolo vincitore del Premio Otello Sarzi) a dire il vero rivisto con qualche perplessità eBiancaneve , la vera Storiascritto da Michelangelo Campanale per il CREST, mentre perCorti di cartadi Riccardo Reina, aspetteremo a parlarne, rivedendolo in un contesto più adeguato. Abbiamo rivisto con grande piacere anche Mani d'opera, divertissement sulla Traviata di Verdi, del maestro di Teatro di Figura, Claudio Cinelli, che da oltre 25 anni porta questa creazione in tutto il mondo.

Infine tra le chicche del Festival abbiamo assistito in prima nazionale a Il mio compleanno” ancora di Riserva Canini, performance per adulti, immaginata e creata da Marco Ferro con la complicità di Valeria Sacco, che, con la condivisa, dal vivo, invenzione, composizione, disegno e drammaturgia del suono di Stefano De Ponti, ha saputo creare un 'originale sinergia tra parola, teatro d’ombre e  proiezione di sagome e acetati. “Il lavoro prende le mosse dall’esperienza dell’ “emicrania con aurea” – una particolare forma di emicrania che si manifesta attraverso una distorsione del campo visivo e percettivo, a cui Oliver Sacks ha dedicato un importante saggio a cui lo spettacolo si ispira (“Migraine”). A partire da questo episodio, che vede protagonista un giovane trentenne, il racconto intreccia vari piani – dall’ autobiografico all’onirico- che intendono offrire un affresco sui desideri, i tormenti e le fragilità dell’epoca che stiamo vivendo.” Lo spettacolo si manifesta come un raffinato esercizio di stile che conferma la capacità della compagnia di utilizzare in modo fecondo tutti gli stili e le possibilità che il teatro di figura possiede.

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Formalmente pregevole ci è sembrata la trasposizione scenica che Ketti Grunki ha realizzato perLa Piccionaiadella celebre fiabaMignolinadi Andersen, che narra di una minuscola bambina, nata da un fiore e che, peregrinando nel mondo, riceve le attenzioni di vari animali tra cui un rospo,un maggiolone e un talpone, riuscendo alla fine a trovare il suo giusto amore addirittura con il re dei fiori.

Aurora Candelli, Francesca Bellini e Julio Escamilla interpretano via via tutti i personaggi, attraverso una dimensione onirica e surreale, dominata scenicamente da una bianca struttura, dalle cui due porte i personaggi escono ed entrano in scena, occhieggiando anche dalle finestre, che la raffinata scenografia possiede.

Ci pare però alla fine che nello spettacolo l'aspetto formale prevalga sul contenuto e che il pur lodevole tentativo di relazionare la musica alle azioni risulti ancora un poco fine a sé stesso. Insomma per ora ci sembra che al tutto ancora manchi una vera e propria “ anima” che ne faccia acquisire una profondità emozionale.

Pino di Bello della compagnia Anfiteatro, avendo a lato il celebre libro di Rohald Dahl, si immerge a capofitto con Lingua blu anche lui, ma a modo suo, nel mondo delle streghe, adeguandolo fiabescamente ad una realtà forse possibile, narrando la storia di una bambina orfana, ormai diventata adulta, che ha avuto la fortuna di vivere vicino ad una nonna davvero speciale, che le ha insegnato a non avere per nulla paura delle streghe, in un luogo dove le leggende si fondono spesso con la realtà, dove le streghe erano donne forse più sagge dei maschi,potendo conoscere e riconoscere i benefici della natura e per questo condannate al rogo. Ma al racconto in questione interessano le streghe vere, quelle di cui bisogna davvero aver paura e infatti Ninin, così si chiama la ragazza, dai racconti della nonna, ha imparato tutto quello che c’è da sapere sulle streghe, su come riconoscerle e naturalmente su come difendersi.

Ha imparato che sono completamente calve, che hanno la lingua blu ,e che le loro pupille hanno dentro il fuoco e il ghiaccio contemporaneamente. Le streghe poi hanno le narici più grandi del normale. E il motivo è ovvio, perchè con quelle naricione riescono a fiutare un bambino a parecchi metri di distanza.

Cosi con l'aiuto della nonna imparerà a conoscerle e addirittura a debellarle prima che esse possano trasformare attraverso un progetto davvero orribile tutti i bambini in topi. Non vi sveleremo come farà, sappiate però che riuscirà nell'intento salvaguardando i bambini, che come ben sappiamo sono una delle meraviglie acquisite dal mondo e assolutamente necessarie da preservare.

Lo spettacolo, alle sue prime repliche, deve ancora sanare qualche incongruenza narrativa e calibrare meglio i vari momenti del racconto, ma si configura già come un convincente e significativo viaggio in uno degli immaginari più attraversati dall'infanzia, dove Naya Dedemailan, dopo “ Un dito contro i bulli”, si conferma interprete di rara intensità, capace di restituire personaggi e mondi in cui non solo i bambini possono immergersi completamente.

Abbiamo rivisto anche con medesimo piacere “ Digiunando, davanti al mare,spettacolo che fa uscire dalla memoria, rendendone omaggio, la figura di Danilo Dolci, figura umanissima di un grande intellettuale, ma soprattutto di un uomo che nel dopoguerra fu sempre in primo piano in Sicilia, al fianco degli ultimi, dei diseredati, dei banditi come li chiamava lui stesso.

Giuseppe Semeraro di Principio Attivo, su un testo, scritto  da Francesco Niccolini, per la Regia di Fabrizio Saccomanno,  nella sua accorata narrazione, dove interpreta i due personaggi, mette in relazione l'intellettuale Dolci con il diseredato Ambrogio Gallo, “ lu Zimbrogi”, fratello di lotta, che lo accompagnò in tantissime manifestazioni e scioperi in difesa dei diritti dei contadini, dei pescatori, dei disoccupati. sino al famoso grande “Sciopero alla rovescia” del Febbraio 1956. “Sciopero alla rovescia” rivendicava il fatto che dei disoccupati per protesta andassero a lavorare non retribuiti rendendosi utili in lavori per la collettività. Semeraro narra con trasporto e adesione umanissima l'amicizia dei due personaggi così diversi ma mai così simili, senza nessun orpello scenico se non, accompagnato dalla musica del “divino” Johan Sebastian Bach, una semplice sedia ed un lenzuolo dove piano piano appare un'altrettanto semplice e rivelatrice scritta “Ciascuno cresce solo se sognato”.

MARIO BIANCHI


ELENA SCOLARI CI ACCOMPAGNA ALLA VISIONE DI ALTRI 4 SPETTACOLI PRESENTATI A CASTELFIORENTINO.


FIABE GIAPPONESI - Chiara Guidi, produzione Socìetas

La scena è una stanza nippon style dalle pareti traslucide dove un omino misterioso lascia una scatola rossa con scritto "È per te. Non aprire".

Qui Chiara Guidi porta nove bambini in grembiulino blu, li fa sedere a tre tavoli, ma invece di sorseggiare tè sono in ginocchio a smistare fagioli. La scatola è infatti una fabbrica, apprendiamo. La padrona Guidi è la fagiolaia che li fa lavorare in nero mentre racconta - non direttamente a loro - tre fiabe giapponesi, narrazione accompagnata da bellissime immagini create con le ombre dietro la parete di fondo della stanza-fabbrica.
Quello che non apprendiamo è il senso di questo contesto "sindacale", non abbiamo trovato alcun collegamento leggibile tra le storie narrate e la situazione operaia dei bambini. Nella bella intervista pubblicata su Planetarium , Chiara guidi afferma che, tradizionalmente, le fiabe si raccontano mentre si lavora, ma a noi sfugge comunque questo legame, specialmente pensando ai bambini, ai quali le storie si raccontano per nutrire il loro immaginario, per regalare loro mondi di fantasia che possano poi giocare a trasporre nella realtà, o per indurli al sonno, lasciandoli scivolare in quel terreno sfumato, non quando sono impegnati in altre attività, di gioco o di costruzione del sè.

Il messaggio sulla scatola rossa non è banale: se il regalo è per me come posso non aprirlo? Dopo un primo sondaggio col pubblico ovviamente la scatola verrà aperta ma, oibò, è vuota. Non si apre però solo la scatola, si apre anche un dibattito filosofico sulla differenza tra Nulla e Vuoto, sulla (presunta) sovrapposizione tra volere e non volere, su cosa significa essere poveri: perdere un giocattolo rende più poveri ma il ricordo dell'oggetto rimane e ci arricchisce, la memoria è quindi un tesoro. Queste grandi domande sono belle, ed è anche bello porle ai bambini, senza dubbio, ma perché rivolgerle solo ai piccoli in platea? Qual è il senso della presenza dei 9 operai fagiolisti cui non è rivolta alcuna domanda? 
Pur slegandoci dall'esigenza adulta e terrena di spiegare a tutti i costi elementi e struttura, troviamo che l'assetto teatrale di questo spettacolo sia meno forte della pratica di senso che il progetto evidentemente muove con gli interrogativi posti ai piccoli spettatori, anche tramite la scelta anticonvenzionale delle tre storie giapponesi che non hanno un vero e proprio finale. Non hanno una morale, e questo è forse il punto più alto del lavoro di Guidi: suggerire kantianamente che ognuno di noi forma la propria legge morale intimamente, sotto un cielo di stelle, anche orientali.


SSHHHH! POP_UP TEATRALI - I sacchi di sabbia

Una performance che conferma la raffinatezza e lo spirito de I Sacchi di sabbia, un viaggio di carta tra progetti non realizzati e spettacoli che hanno formato l'identità inconfondibile di un gruppo che si rivolge al pubblico dei ragazzi con eleganza estetica e verbale. 
Sul muro pochi elementi proiettati per seguire a cosa si riferiscono i grandi libri pop-up, le cui pagine sono voltate da due attrici (Giulia Gallo e Giulia Solano). 
Come erbari che racchiudono storie e non petali, personaggi e avventure, invece di fiori e foglie, questi volumi fantastici fanno emergere paesaggi e città, giochi di sparizioni e apparizioni, silenziosi, delicati, ironici.

Le mani scorrono lente tra i capitoli di una carriera teatrale che ha nel richiamo alla letteratura (dal fortunatissimo "Sandokan"di Salgari ai più recenti "Tre moschettieri" di Dumas) un perno importante, punto di partenza amato e sempre trattato con garbo spiritoso e sapiente.


AMLETINO - KanterStrasse - anteprima

La filosofia dei teatranti del settore ragazzi contempla la possibilità di raccontare ai bambini i grandi classici del Teatro con la T maiuscola? Anche Shakespeare? E addirittura il capolavoro Amleto? Sì! Con entusiasmo possiamo rispondere Sì! Dopo la recente versione de "La tempesta" di Residenza Idra, vediamo Amletino, produzione della residenza toscana KanterStrasse, felice traduzione per piccoli della Tragedia delle Tragedie. Felice perchè fedele, l'intreccio è rispettato nei suoi cardini indispensabili, parodiato ma non svilito, alleggerito ma non edulcorato. Operazione non banale e che richiede una conoscenza non superficiale del drammaturgo britannico. La tragedia non è affatto ridicolizzata, è solo spogliata di quel po' di enfasi di cui è ammantata, per far affiorare più facilmente i noccioli della questione che possono toccare anche i bambini: l'ingratitudine, il senso dell'amicizia, la fiducia, il desiderio di vendetta, la morte.
Il lavoro di Simone Martini non si limita a un riassunto shakespeariano stile Bignami in salsa comica (che non andrebbe oltre l'esercizio di stile), ma introduce e chiude lo spettacolo con un prologo e un epilogo che inquadrano quello che avviene in scena e ne esplicitano il senso, lo stesso per grandi e piccini: i due attori/clown che interpreteranno i principali ruoli intorno ad Amleto spiegano esplicitamente al pubblico che appunto di personaggi si tratterà, che indosseranno maschere (simboliche e non) per "rappresentare" re e regine, soldati e becchini, il teatro specchio della realtà, detto chiaro e tondo. Così come la mortifera scena finale e in fondo lo spettacolo tutto è descritto non come la storia del principe di Danimarca e della sua sfortunata corte, ma come la storia dell'uomo, della follia cui può portare l'essere schiavo del potere. 
La chiave per parlare ai bambini attraverso un testo insuperato nei secoli, senza risultare professorali e accademici, è l'umorismo, la presa in giro di papà Polonio che tante volte ha ripetuto a Ofelia di non fidarsi, la bella "assurdità" beckettiana della scena del becchino che qui ha un collega con cui pesca "per assurdo", la spassosa coppia Rosencrantz e Guildenstern che irride Amleto perché "santo cielo, come sei negativo"! 
Amleto mantiene il suo atteggiamento di continuo dubbio, di bianco vestito, errando per il palco in attitudine pensosa.

Martini, Avigliano e Martinoli sono bravi, hanno tutti una giusta disinvoltura per muoversi in questo gioco che sottolinea i drammi della trama per farne risaltare ironicamente i concetti cardine.

Per non rischiare il fraintendimento qualche spiritosata si potrebbe eliminare e la colonna sonora dei Queen potrebbe essere più accennata, trattandosi di un'anteprima c'è ancora da governare meglio la tentazione di indulgere al comico misurandola con più equilibrio, meriterebbe poi maggior cura l'aspetto estetico dello spettacolo: i costumi sono troppo casalinghi, gli oggetti sono appoggiati su un piano che è solo funzionale ma privo di cura e senso scenico. KanterStrasse ha comunque imboccato secondo noi la strada giusta per portare i bambini a Elsinore e per farceli tornare da grandi.


LA REGINA DELLE NEVI, BATTAGLIA FINALE - Giallomare- Studio

La regina delle nevi di Andresen è una fiaba complessa, in cui si sovrappongono tante sotto-storie profondamente simboliche e di non immediata lettura.

Il lavoro di Boldrini e Campanale ha trovato una chiave per riferirsi all'opera di Andersen usandola come sfondo e sottofondo, operando una scelta selettiva e centrando lo spettacolo su un personaggio originale: Margherita è una donna adulta, sta per sposarsi, ma a una settimana dal matrimonio le appare in sogno la nonna (morta sette anni fa) chiedendole di andare nella sua vecchia casa, la nipote non può resistere a questo richiamo e parte. Nella casa la nonna ha disseminato sette indizi che porteranno la ragazza a ricordare che La regina delle nevi era la sua fiaba preferita e che la guideranno in sette prove il cui risultato sarà superare le paure mai risolte di Margherita (il buio, l'acqua...).

Nella casa c'è un armadio, che diventerà porta tra passato e presente, diaframma tra sogno e realtà, il classico confine di passaggio tra tempo dell'infanzia e tempo dell'adultità. Grandi e belle proiezioni di disegni animati saranno l'orizzonte fiabesco dentro al quale l'avatar/disegno di Margherita si muoverà per superare le prove, come quelle che i protagonisti Kay e Gerda vivono combattendo la glaciale regina.

Questo La regina delle nevi- battaglia finale è presentato al festival in forma di studio, benché in stadio avanzato e quasi compiuto, Alice Bachi offre una buona prova d'attrice e occupa bene lo spazio della scena anche se il ritmo dello spettacolo alterna momenti ben calibrati ad altri ancora un poco dilatati.

L'idea di costruire un secondo piano, parallelo a quello della fiaba e che diventa l'ambito di narrazione principale è senz'altro una buona soluzione drammaturgica, non del tutto convincente è - a nostro parere - l'età della protagonista, è vero che le paure non se ne vanno mai nemmeno da adulti e che le occasioni per superarle ci si presentano senza curarsi dell'anagrafe, ma le prove che i due bambini della fiaba affrontano sono lotte per crescere, sono ostacoli il cui superamento avvicinerà al diventare adulti, appunto. Margherita adulta lo è già, sta addirittura per sposarsi, per quanto ancora si voglia affrancare da certe zavorre ci sembra poco credibile che si accompagni a Rufo il gufo per emanciparsi.

Crediamo che la poesia del fantastico non debba cessare con il conseguimento della maggiore età, tutt'altro, solo ci pare che qualche correzione al personaggio di Margherita renderebbe più salda la resa teatrale e più diretto il collegamento con gli elementi della fiaba di Andersen, che è pur sempre il perimetro in cui questo interessante studio si muove.

ELENA SCOLARI


IL PUNTO DI VISTA

Su “Compiti a casa” di ScenaMadre/Gli Scarti, che tratta il doloroso e dedicato tema della separazione dei genitori già rappresentato molto bene nel recente "Family Story" di Anfiteatro, (che ciò nonostante dato il tema fa' molta fatica a circuitare ) abbiamo chiesto non una recensione ma il punto di vista di un'operatrice: Rossella Marchi del Teatro Brancaccino di Roma.




Era molto attesa la presentazione del nuovo lavoro della compagnia ScenaMadre. Dopo la vittoria del Premio Scenario Infanzia 2014 a pari merito con il “Fa’afafine” di Scarpinato e la presentazione del lavoro definitivo al successivo Festival Maggio all’Infanzia del loro “La stanza dei giochi”, abbiamo potuto assistere alla nuova produzione “Compiti a casa” che viene presentato per un pubblico di bambini dai 7 agli 11 anni. E se “La stanza dei giochi” metteva in scena due attori bambini volendone mettere in luce l’atteggiamento e le dinamiche simili a quelle che si creano nella relazione affettiva uomo-donna, “Compiti a casa” mette in scena due adulti che interpretano due bambini, con tutto il problema di credibilità che questa scelta porta con sé e che lo spettacolo non risolve. La scena è molto curata ed è la quasi troppo perfetta riproduzione della camera di due fratellini, un maschio e una femmina, che potrebbero avere tra gli 8 e i 10 anni e che sono i protagonisti di questo spettacolo che vorrebbe raccontare il delicato momento che si affronta durante la separazione dei genitori. I due protagonisti infatti, tra giochi e silenzi in cui entrano le voci urlanti dei genitori in lite, cercano tra loro una strategia e una motivazione al periodo che stanno vivendo e identificano nella mancanza di luce nella casa la motivazione dei nervosismi che hanno guastato il clima familiare. Tentano così, tra strani esperimenti condotti in un ripostiglio pieno di cianfrusaglie che però è invisibile perché fuori scena, di creare un effetto luminoso che possa rischiarare la casa e di conseguenza la vita della famiglia riportando la serenità. Tutti questi tentativi saranno però vani e alla fine l’unica via sarà l’accettazione. Tutta l’operazione però non ci ha convinto sia dal punto di vista registico che da quello drammaturgico. Lo spettacolo, a nostro avviso, perde una grande occasione: quella di poter trattare un fenomeno importante e frequente che spesso i bambini si trovano a vivere, assumendo un punto di vista e dando quindi allo spettatore una chiave di lettura che possa aggiungere elementi di interpretazione all’eventuale vissuto. Quello che emerge invece è una semplice fotografia, a nostro avviso anche abbastanza stereotipata, di quello che avviene all’interno di una famiglia in cui i genitori decidono di non stare più insieme. Gli attori che, ad onor del vero molto si spendono per tentare di ricreare l’universo infantile, non riescono ad instaurare con la platea quel legame empatico che vorrebbero proprio perché in realtà ormai lontani da quel mondo che vorrebbero riprodurre. E quindi, ci chiediamo, perché farlo? E perchè in questo modo? E crediamo che queste siano le domande con le quali ci si alza dalla sedia al termine della rappresentazione, non essendo purtroppo riusciti a trasmettere l’urgenza artistica di parlare ad un pubblico di ragazzi in modo profondo e significante di una problematica così dolorosa.

ROSSELLA MARCHI

Per chi vuole approfondire il Festival con altre visioni ecco altri sguardi critici presenti in PLANETARIUM Sergio Lo Gatto/ Nella Califano/ Lorenzo Donati

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