Mario Bianchi ci relaziona sulle ultime tre giornate dello storico Festival che si è appena tenuto dal 26 settembre al 1 Ottobre con una recensione di Alfonso Cipolla.
Dal 26 settembre al 1°ottobre in Romagna, organizzato e diretto con assoluta dedizione dal Teatro del Drago, tra Ravenna (i primi due giorni), Longiano e Montiano il 28, e dal 29 settembre per tre giorni a Gambettola, con un appuntamento anche a Gatteo, si è tenuta la 42^ edizione dello storico festival di Teatro di figura “ Arrivano dal mare”.
Il festival ha ospitato quest’anno 40 compagnie per 51 rappresentazioni, mostre, una convention per instaurare finalmente un dialogo costruttivo fra i festival di teatro di figura italiani, e un incontro tra UNIMA e ASSITEJ con le omologhe organizzazioni internazionali che si occupano, rispettivamente, di teatro di figura e teatro ragazzi.
---------------------------------------------------------------------------
Il progetto speciale di" Arrivano dal mare" che l'hanno scorso aveva come titolo“Il teatro nelle mani, Burattini, un grammatica antica, specchio dei tempi” quest'anno era incentrato su Teatro di figura e disabilità e ha avuto come titolo" Burattini con le ali", accompagnando il Festival con un importante convegno corredato di spettacoli. “Burattini con le ali” curato con passione e competenza da Stefano Giunchi, che ne relazionerà prossimamente i contenuti per Eolo, ha dato per questa occasione la parola ad artisti, compagnie e operatori che lavorano in situazioni di svantaggio, dai centri diurni (con disabili fisici e mentali) alle aule scolastiche, agli ospedali e ai centri di riabilitazione, dalle esperienze nelle carceri ai centri di accoglienza per migranti.
In correlazione a questa iniziativa è stata allestita anche la mostra fotografica di Sandro Capatti “Altre figure dietro le sbarre” (sala mostre del Centro Culturale Fellini a Gambettola), un viaggio sul teatro nelle carceri italiane. Collegati al festival abbiamo anche visto la compagnia integrata " Uscita di sicurezza" nata dal lavoro congiunto de " Le Mani parlanti" e della cooperativa " Oltretorrente" con il divertente “Patapan e la bastone-terapia” e "La metamorfosi di Mr. Punch in Pere Ubu" spettacolo un poco squinternato, nato meritoriamente dietro le sbarre del Carcere di Parma, dove hanno lavorato assieme gli Allievi del Corso Regionale “Teatro di Figura nelle attività di integrazione sociale” e i detenuti del Carcere di Parma che partecipano al Laboratorio realizzato dalla cooperativa “Le Mani Parlanti”.
----------------
E' in questo contesto che abbiamo visto lo spettacolo più emozionante del Festival “ Superabile”, realizzato dal Teatro La Ribalta-Kunst der Vielfalt (Accademia Arte della Diversità) diretta da Antonio Viganò con la regia di Michele Eynard.
“ Voi che ci guardate, come ci vedete ?” E' con questa domanda, scritta a caratteri cubitali che termina lo spettacolo " Superabile", uno spettacolo teatrale creato da una lavagna magica e quattro attori, di cui due in carrozzina .
Teatro La Ribalta-Kunst der Vielfalt (Accademia Arte della Diversità) è infatti una compagnia teatrale, professionista, di Bolzano, costituita da uomini e donne con e senza disabilità che non dissimulano affatto la loro condizione, ma anzi, su di essa, fondano la loro essenza artistica, ”Superabile”in qualche modo ne rappresenta la carta di identità per la capacità che hanno i suoi protagonisti di raccontarsi senza infingimenti pietistici, capacità irrorata da una leggerezza e da un 'ironia che ne fortifica appieno gli intendimenti. Di converso nulla è lasciato al caso e tutto procede, avendo davanti attori consumati che portano sulla scena bellezza ed emozione. Mathias Dallinger e Melanie Goldner, in carrozzella, mettono in scena semplicemente con naturalezza e grande forza espressiva la loro quotidianetà con i loro sogni, le loro difficoltà nel muoversi ma soprattutto le necessità di non poter mai essere autonomi, di non poter essere mai capaci di vivere una propria sana intimità, e dove, sempre, sempre, gli sguardi degli altri sono pieni, zeppi di pregiudizi e di stereotipi. Ad accompagnarli in scena ecco il gigante buono Daniele Bonino a rappresentare la necessità immpellente di avere qualcuno che debba essere sempre da tramite con gli altri e Jason De Majo, pur colpito dalla sindrome down, a rappresentare invece la normalità di una relazione possibile. Il tutto viene accompagnato da un rumorista d'eccezione come Rocco Ventura e dalle illustrazioni create dal vivo da Michele Eynard della compagnia Luna e Gnac dentro le quali gli attori si muovono coerentemente a loro piacimento. Attori e esseri umani, ammirevoli protagonisti di un mondo popolato da mille forme viventi, ognuna delle quali a suo modo miracolose.Lo spettacolo diretto da Mchele Eynard e coordinato con amorevole pazienza da Paola Guerra è stato anche illustrato in un libro edito da ab, edizioni alfabeta verlag, sempre curato da Paola Guerra con le illustrazioni di Eynard.---------------------------------------------
Il festival è stata un'ocasione, più unica che rara, per osservare da vicino tutte i mutiformi modi in cui il Teatro di figura si coniuga in Italia, e non solo.
Ecco dunque la tradizione bolognese dei Burattini di Riccardo con “Fagiolino medico per forza “, l'omaggio al Gotico di “Transylvania Circus” del Teatro delle Dodici Lune di Italo Pecoretti, agito con molta padronanza e giusto ritmo per quanto riguarda i burattini, meno riuscite a parer nostro invece le gag e i numeri costruiti con i pupazzi a vista, il microscopico teatrino dell' Atelier “La lucciola” che si rifà al Teatroottico di Charles- Émile Reynaud in cui Nadia Parisi narra per uno spettatore solo “Cappuccetto Rosso”. Ecco poi, troppo fresche di creazione, le nuove avventure, ancora da registrare, di una delle nostre figure da noi più amate, “Bertuccia”, il personaggio creato da Fabrizio Pugliese di Ura Teatro, qui, in scena, alle prese con un libro magico in “Bertuccia e la biblioteca universale “, dove insieme alla morte compaiono un vecchio Sciamano e due esiziali tarme .-------------------------------
Il Festival è stata l'ccasione per riunire insieme due artiste che sono riuscite in modo assolutamente originale a connaturare il teatro di figura con la narrazione: la friulana Marta Cuscunà e la foggiana Daria Paoletta. Di ambedue, fin dall'inizio della loro attività, abbiamo seguito con entusiasmo tutto il percorso artistico.
Marta Cuscunà ha presentato lo spettacolo che l'ha fatta conoscere, vincitore del Premio Scenario Ustica nel 2009: “E' bello vivere liberi”, ispirato alla biografia di Ondina Peteani, prima staffetta partigiana d'Italia e, per questo, deportata ad Auschwitz col numero 81 672. La narrazione a volte epica, a volte ironica, delle vicende che hanno caratterizzato la vita di Ondina si connette in modo originale sia con il teatro popolare dei burattini sia con le marionette a bastone per narrare da un lato l'uccisione di una spia fascista, dall'altro, in modo intriso di cupa tragicità, la reclusione di Ondina nel campo di concentramento di Aushwitz.Di converso Daria Paoletta ha presentato il suo ultimo spettacolo “ Tzigo” che racconta una esemplificatrice storia zigana dove un dolce bambino,Tzigo,rappresentato da un pupazzo( creato con perizia da Raffaele Scarimboli) che l'attrice muove con assoluta veritiera maestria, si mette in cammino alla ricerca della felicità e della fortuna, seguendo le indicazioni ereditate dalla madre attraverso un fiore azzurro. L'attrice in modo credibilissimo, attraverso una lingua che si nutre anche di diversi dialetti, riesce a rendere vivi tutti i numerosi personaggi e luoghi cheil ragazzo incontra, dialogando nel contempo con il pupazzo che diventa alla fine umano, pur rivendicando in modo profondamente naturale la sua vera e particolarissima natura.
------------------------------------
---------------------------
---------------------------------------
“ Valentina vuole”, piccola narrazione per attrici e pupazzi, è stato il primo delizioso spettacolo per ragazzi di un inedito duo, formato da Consuelo Ghiretti e Francesca Grisenti, attrici animatrici provenienti da esperienze diverse, con i pupazzi di Ilaria Commisso e le scene di Donatello Galloni.
Al centro dello spettacolo vi è Valentina, Valentina è una bambina che sta crescendo, la mamma come tutte le mamme la coccola, ha sempre paura che le possa succedere qualcosa, per ciò la tiene chiusa in casa concedendole nel medesimo tempo tutto ciò che lei desidera. Valentina così è diventata una bambina insopportabile e, in questo modo, la sua mamma non riesce più a contenerla, anche perchè, come detto, le concede tutti i desideri che la piccola peste le chiede, financo un gruppo numeroso di uccelli di tutte le forme e dimensioni. Ma Valentina sotto questa maschera nasconde tutte le fragilità che ogni bambina della sua età possiede.
Finchè, finchè, una notte, le appare in sogno l'unico uccello che non possiede, “l'uccello che parla “, il quale, finalmente, gioca con lei, guardandola per la prima volta negli occhi. Passata la notte, Valentina cerca subito il suo amico, ma ovviamente non lo trova. La mamma per la prima volta, come è logico, non riesce ad accontentarla, così la bambina finalmente esce all'aperto e fugge di casa viaggiando per il mondo alla sua ricerca. Viaggia, viaggia per il mondo Valentina per scoprire dove vive il suo amico e viaggiando viaggiando, diventa grande, conoscendo cose che non avrebbe mai potuto immaginare potessero esistere. E alla fine troverà l'uccello che parla là dove era partita, nella casa in cui per troppo tempo era rimasta chiusa, a covare la sua rabbia che ora finalmente si è dissolta nell'aria. Lo spettacolo, in una scenografia dominata da una grande casa piena di finestre, da cui occhieggia spesso Valentina insieme ad uccelli di ogni tipo e da una piccola porta, utilizzando pupazzi mossi a vista, parla al pubblico di riferimento, in modo poetico, di rabbia, di libertà, di coraggio e di crescita. Forse, essendo al debutto, ci sono ancora troppe parole e alcuni tempi da riregistrare, ma “ Valentina vuole” ci è sembrata una creazione originale e proposta con cura.------------------------
Dopo circa trent'anni dall'ultima volta abbiamo avuto il piacere di ritrovare l' artista argentino Horacio Peralta del Bululu Théatre che ha raccontato, attraverso alcuni numeri di grande maestria, la sua storia professionale di artista, giunto a Parigi, alla fine degli anni settanta dal paese natale, per vivere mostrando la sua arte nelle strade e nelle stazioni della metropolitana per poi esibirsi anche in italia al festival di Santarcangelo. Semplicissimi burattini, strani animali pelosi, sculture di carne, pupazzi e marionette si animano per narrare piccole storie, pervase di ironia ma soprattutto di vita, creando un teatro tenerissimo e meraviglioso, capitanato da una vecchia simpaticissima cialtrona, una marionetta che esce da una scatola dialogando impertinentemente col suo creatore.
------------------------
Ma non finisce qua, e ci dimenticheremo senz'altro qualcosa del ricco programma. ecco poi le marionette a filo di Agostino di Teatro Tages , i lombardi del Cerchio Tondo con i loro giochi nel parco, costruiti con materiali di riciclo , il “ Pinocchio oltre lo specchio” della Compagnia” Drammatico vegetale, originale percorso/installazione che la storica compagnia ha creato per i piccolissimi con al centro la figura creata da Carlo Lorenzini. Pinocchio è stato poi il protagonista anche della parata finale organizzata in pochissimi giorni e creata dalla Compagnia degli Sbuffi, coinvogendo i bambini di Gambettola.
------------------------------------
Durante tutto il festival è stato proiettato il video-omaggio “Io di mestiere faccio il burattinaio” che, attraverso interviste a 14 burattinai, ha proposto un vero e proprio percorso all’interno di quest’arte, vissuta come vero e proprio mestiere.
Dal Piemonte alla Sardegna, abbiamo incontrato il vercellese Eliseo Bruno Niemen con il suo Gianduia, erede della prestigiosa famiglia di burattinai ambulanti, il bergamasco Daniele Cortesi e il suo Gioppino, il varesino Walter Broggini, i veneti Gigio Brunello e Paolo Paparotto, il maestro bolognese Romano Danielli, i romagnoli Andrea e Mauro Monticelli del Teatro del Drago, il toscano Enrico Spinelli dei Pupi di Stac, erede di Carlo Staccioli e Laura Poli, i napoletani Brunello Leone con la sua allieva Irene Vecchia, Gaspare Nasuto con i suoi Pulcinella, i sardi Donatella Pau e Tonino Murru della compagnia Is Mascareddas, Patrizio Dall’Argine, che con il suo Teatro Medico Ipnotico mette in scena testi classici, per finire con il giovanissimo Mattia Zecchi: perché a 24 anni si può ancora decidere che il tuo mestiere sarà fare il burattinaio.
--------------------------------------------------------
MARIO BIANCHI
------------------------------------------------------------------------------------------
Il ritorno di Irene
di Gigio Brunello e Gyula Molnar
raccontato e animato da Alberto De Bastiani
Esiodo inizia la sua Teogonia raccontando d’aver ricevuto direttamente dalle Muse, sul suo labbro, il loro miele che rende ambrosia il canto.
Io non so se esista la musa del teatro di figura, ma certo un bacio di poesia è stato impresso nell’immaginazione di Gigio Brunello e Gyula Molnar: non un bacio visionario, ma la capacità affabulatoria di dar anima ai pensieri, di saper cogliere il sussurro delle piccole cose che attraversano la Storia con l’umiltà del quotidiano, per poi trasformarle nell’incanto di un balucinìo, d’un fiammifero che deflagra nel buio, non per invidia del lampo, ma per segnare la via.
Gigio Brunello e Gyula Molnar hanno saputo trasformare quel bacio in poetica, nel modo di concepire un teatro per loro e per fuori da loro, come accade per Il ritorno di Irene, scritto da Gigio, diretto da Gyula e interpretato da Alberto De Bastiani.
Si racconta della Prima Guerra Mondiale e ci si rivolge ai bambini o a chi ha ancora la capacità dell’abbandono. Non c’è posto per retoriche, ma nemmeno per trincee, bandiere, vinti e vincitori. Non si da voce agli uomini, ma alle loro case abbandonate, a un paese rimasto senza vita e che prende vita. Protagoniste de Il ritorno di Irene sono infatti le case lasciate vuote dagli sfollati: la casa di Irene appunto, la canonica, la chiesa, il campanile, il negozio di barbiere, l’osteria, la farmacia, la scuola, il cinema muto, il municipio, la stazione… fino ad arrivare alla cuccia del cane Bobi, alla stalla di Nerina, al nido della gazza ladra e alla tana della puzzola. Tutti gli edifici del paese si mettono in cammino alla ricerca di quegli uomini e di quegli animali che loro proteggono e che ora li hanno lasciati. E la guerra? La guerra è un’ombra che appena si intuisce nell’attesa di un ritorno, ma per questo ancora più tragica e potente.
Lo spettacolo che ne nasce è davvero un bacio di poesia e Alberto De Bastiani è un narratore e un animatore garbatissimo con quel giusto tocco di ingenuo, ma sapiente, umorismo che prende per mano e conduce.
Quest’estate e ancora adesso Gigio aiutato da Gyula sta lavorando a un volume per non disperdere la memoria del suo teatro, del loro teatro, dove drammaturgia e regia, pensieri e figure, parole e gesti, recitazione e animazione rivelano una simbiosi indissolubile. fine I lavori raccolti sono capolavori assoluti, basti pensare a Beati i perseguitati, Macbeth all’improvviso, Vite senza fine e tanti e tanti altri. E certo non sarà un libro autocelebrativo, ma un solco che traccia un teatro dalla spiccata originalità.
ALFONSO CIPOLLA