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IL REPORT DI ELENA SCOLARI SUL PREMIO OTELLO SARZI A PORTO SANT'ELPIDIO
PREMIO OTELLO SARZI 2015 | 13-14-15 luglio


L’edizione 2015 del premio Otello Sarzi (direttore artistico Marco Renzi) si è appena conclusa a Porto Sant’Elpidio e diamo qui un resoconto generale delle tre giornate in cui abbiamo visto i 15 spettacoli in concorso.


Partiamo dal vincitore, decretato all’unanimità dalla giuria: Pollicino e l’orco di Associazione Rebelot di Brescia, di e con Roberto Capaldo e Walter Maconi. Lo spettacolo è il seguito della fiaba di Pollicino, la cui trama viene molto succintamente riassunta nei minuti iniziali da una voce fuori campo e tramite alcuni riquadri visivi con la tecnica delle ombre. L’idea è immaginare il rapporto tra i due personaggi, Pollicino e l’orco, fuori dai margini della storia che conosciamo e proiettarli in un possibile futuro, in un tempo durante il quale entrambi sono cresciuti, maturati, sono cambiati.

Pollicino è diventato un uomo perché non è più bambino (Capaldo è un furbo scugnizzo napoletano), ma anche l’orco è diventato un uomo (Maconi è in smoking) perché si è tutto ripulito e ormai mangia solo tre o quattro uomini al mese… “eeeeehhhh, siamo nove miliardi al mondo, tre al mese, che vuoi che sia….”, gli dice Pollicino con spirito. Sì, perché lo stile dello spettacolo è molto divertente. La riflessione sulla crescita e sul cambiamento è svolta con intelligenza e sempre con grande ironia, con uno humour -a volte nero- davvero irresistibile. C’è un buon utilizzo delle scene e degli oggetti, le azioni si potrebbero però ripulire un po’ applicando maggior precisione nei gesti e nei movimenti, ancora da rifinire.

L’interazione fra i due attori è molto riuscita, la disinvoltura nella recitazione è uno degli aspetti più apprezzabili insieme all’ottimo ritmo, alla padronanza dei giusti tempi teatrali e alla bella scrittura di un testo agile e acuto.

Senza fare lezioni si parla di chi agli occhi del mondo “rimane orco per sempre”, alludendo alla difficoltà di affrontare la vicinanza di ciò che ci spaventa, senza accettare che tutti, buoni e cattivi, vivono mutamenti anche profondi nel corso della vita. Nemici che imparano a conoscersi meglio, fino a ballare insieme in un appassionato tango, non della gelosia ma dell’ironia.


Naveneva di Naturalis Labor (Vicenza), già presentato al festival veneto Sguardi nel 2014, è l’unico spettacolo di teatro danza in programma, infatti è un lavoro che si amalgamava a fatica con il resto del cartellone, non per qualità, molto buona, ma per eterogeneità di linguaggio. Si tratta di una storia di mare, tre mozzi che su una nave attraversano luoghi immaginari. Costumi e arredi di scena che rendono bene l’atmosfera un po’ piratesca e l’immaginario fantastico delle avventure marittime, Naveneva è uno spettacolo che restituisce in scena la valenza narrativa che anche la danza può avere con originalità e fantasia.


Banana cake di Ostello Marniè (Milano) utilizza la tecnica del teatro su nero, c’è solo qualche sbavatura rispetto all’utilizzo delle luci e alla precisione necessaria per la piena riuscita ma lo spettacolo è spassoso e molto fantasioso. In un grande frigorifero prendono vita la banana, protagonista, e con lei gli ingredienti per la torta che vuole preparare: uova, latte, farina, ecc. Non c’è testo, solo suoni, gli oggetti sono mossi con bravura (da Serena Crocco, Nicolò Mazzotti e Sara Milani) e la torta finale risulta molto leggera.


In Le briciole di Pollicino di Baba Jaga (Sassoleone, Bologna) abbiamo apprezzato soprattutto una brava attrice: Chiara Tabaroni è molto sicura e la consapevolezza della propria capacità la rende piena di garbo nel raccontare con grazia la fiaba di Perrault (scelta in molti casi, in questo festival). In scena tra pochi oggetti ricavati dalla natura del bosco dove ha sede la compagnia, un nido di rami, una casetta/cassetta di legno, la narratrice ci fa partecipi delle ansie e delle furbizie di Pollicino con semplicità con uno stile definito nella sua pulizia.


Semeion Teatro ha presentato un testo orginale di Valentino Dragano, Ombrellina scopre il mondo, in scena Marianna Galeazzi e Sun ai pupazzi. La storia di un viaggio avventuroso e di formazione per un personaggio che cerca compagni con cui giocare e finirà, su consiglio di una simpatica cornacchia, in un’isola che crede deserta dove invece troverà molti amici tra gli animali e anche… un Ombrellino come lei. Teatro d’attore e di figura per uno spettacolo godibile, con scene colorate e giocose e una certa attenzione alla linearità dell’intreccio.


La compagnia Artevox di Vimercate ha portato a Sant’Elpidio La ghita – presi per il naso, liberamente ispirato a L’astuta Ghita dei Fratelli Grimm. Abbiamo particolarmente apprezzato l’elegenza estetica delle scene, dei disegni proiettati su un grande schermo tramite una lavagna luminosa (qui usata con coscienza), la prevalenza del colore bianco per i costumi e per gli oggetti, di stile fumettistico. Marta Galli è in scena e autrice con Anna Maini, di Rossana Maggi le illustrazioni e le animazioni. La storia è piuttosto esile: La Ghita deve cucinare per il burbero padrone Borbotten ma la sua goffaggine le farà fare un pasticcio che risolverà con divertita furbizia. Segnaliamo che lo spettacolo si basa anche sullo stimolo del senso dell’olfatto che la collocazione all’aperto ha fatto mancare. Anche qui non c’è quasi testo, l’attrice usa una lingua inventata, fatta di poche onomatopee buffe ed efficaci, proprio come i rumori nei fumetti, e le musiche hanno un ruolo importante. La scelta coerente e netta delle immagini potrebbe essere più in armonia con uno stile recitativo non sempre misurato. Biscotti e pop corn veri offerti ai bambini avvicinano la protagonista al pubblico in modo accattivante.


Estetica curata è anche in Bianconero di Officine Duende (Castelguelfo, Bologna), di e con Arianna Di Pietro e Emanuela Petralli, dove i due colori si contrappongono come colpevolezza e innocenza, un processo viene messo in scena, al termine del quale gli spettatori sono invitati a riflettere, tramite l’accostamento di mangiatori e mangiati nelle fiabe Hansel & Gretel, e anche qui, Cappuccetto. Il risultato è però ambizioso e non del tutto compiuto, si cerca di affrontare concetti complessi trascurando gli strumenti che la platea bambina ancora non può avere, si rimane quindi perplessi: buone intenzioni ma troppo metaforiche.



Finiamo col fare alcune osservazioni generali che si possono attagliare a vari spettacoli visti, non potendo entrare nel dettaglio di tutti i 15 titoli.

Il teatro ragazzi, chi lo frequenta lo sa bene, si rivolge a un pubblico da curare con la massima professionalità, non tanto perché saranno – forse – gli spettatori del futuro, quanto perché ai piccoli si deve insegnare la bellezza perché la cerchino da adulti. La cura per il raccontare è indispensabile, se si sceglie di parlare ai bambini e ai ragazzi non ci si può adagiare sulla apparente facilità di una fiaba tradizionale ne’ trascurare che l’attenzione si ottiene con la fantasia, con l’originalità e con la capacità di far immaginare, non con la ripetizione e con il sovraccarico. I difetti riscontrati più spesso sono stati la mancanza di ritmo, (una trascuratezza fatale per il pubblico) e la scarsa chiarezza degli intenti: scenografie ricche ma completamente inutilizzate, registri disordinatamente sovrapposti senza costrutto e non senza qualche presunzione, utilizzo di tecnologie cosiddette nuove (abuso di lavagne luminose!) per moda e non per necessità, recitazione non sempre adeguata. Pare banale ma essere bravi attori ancora non è considerato un requisito sine qua non.

Auspichiamo che le giovani compagnie coinvolte nel concorso frequentino i teatri, abbiano la curiosità di vedere i colleghi e coltivino con passione e pazienza un lavoro difficile ma bellissimo.