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recensioni
S-chiusi a Parma
Il report di Cira Santoro

Qualche giorno fa in un talk show hanno raccontato di una piccola città al confine con la Slovenia, in cui i negozi di vicinato stanno chiudendo uno dopo l'altro. Davanti alle serrande chiuse hanno chiesto a una donna: 'E adesso?' e lei ha risposto: 'E adesso ci sarà il buio perché ogni negozio che rimane aperto è luce che illumina la città, ogni negozio che chiude spegne quella luce'. 
Quella città non era Parma e quella strada non era via Nino Bixio, anche lei fino a qualche anno fa piena di negozi di vicinato, ma le loro storie sono uguali. Anche qui la luce si è spenta e alla magia di una lunga e tortuosa strada dalle palazzine basse e immersa con i suoi muri gialli nella foschia tipicamente emiliana si è aggiunta la tristezza delle serrande abbassate, delle insegne spente, delle poche vetrine accese che ricordano i denti di una bocca sdentata. Via Nino Bixio è nel centro storico di Parma, situata oltretorrente, in quella parte della città popolare, rossa, che ha fatto la resistenza, a ridosso del Parco Ducale. Una parte della città che forse proprio per queste caratteristiche ha subito molto pesantemente la crisi. Un commerciante diceva che è stata come una malattia contagiosa che, partita da una bottega, lentamente si è allargata a tutta la via. Una pandemia che mentre abbassava serrande, allontanava la gente. E quelli che continuavano a passare sembravano ciechi, indifferenti alle poche vetrine ancora aperte.  


Il Teatro delle Briciole nel fine settimana tra il 29 novembre e il 1 dicembre ha riaperto alcune di quelle vetrine con il progetto S-chiusi Viaggio teatrale nei negozi “chiusi per crisi” di Via Bixio con l'obiettivo di "riaccendere" la memoria su una ferita della città, per contribuire a innescare uno scatto di riflessione e sensibilizzare l’opinione pubblica, per ripensare le cause e le ragioni di quella ferita, per spingere l’immaginazione a individuarne i possibili rimedi'. Il progetto, diretto e curato dalle indomite Flavia Armenzoni e Alessandra Belledi è stato promosso dall’ Associazione Micro Macro, dal Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti, dagli Assessorati alla Cultura e alle Attività Produttive del Comune di Parma, con il contributo della Fondazione Monte di Parma e Consorzio Gestione Centro Città,  con il patrocinio del Corso di laurea in servizio Sociale dell`Università di Parma e in collaborazione con la Confesercenti Parma e Unipol Assicurazioni. Una rete di soggetti straordinaria visti i tempi, che evidentemente è stata in grado di cogliere la sfida e di capire che, in un momento come questo, il teatro è uno dei pochi strumenti a disposizione  capace di ricostruire coesione sociale. Le Briciole, nella loro capacità di immaginare “imprese difficili”, hanno chiamato a raccolta dieci realtà teatrali chiedendo loro di riportare la vita e le persone in quei negozi chiusi, di rimettere in moto, anche se solo per un fine settimana, le camminate lungo la via, alla ricerca di una performance, di una visione o degli angoli meno visibili della strada dietro le orme del walk show di Carlo Infante. I lavori presentati credo siano andati oltre le aspettative di qualunque spettatore: si sono viste brevi azioni teatrali compiute che, ognuna a suo modo, ha evocato il principio di necessità di quei luoghi ed è andata molto oltre la memoria del loro vissuto.

I santi di Chiara Renzi e Daniele Bonaiuti si sono offerti alla visione degli spettatori/casi disperati invitandoli a esprimere un desiderio da appiccicare con un post-it su un grande muro; Federico Brugnone, Davide Giordano e Daniele Muratore, i vincitori dell'ultimo Scenario Infanzia, hanno provato a dare un taglio agli stimoli urbani per portare lo spettatore in un percorso sensoriale vicino alla natura; Loredana Scianna del Teatro Europa, ha comprato ricordi in cambio di un centesimo per appropriarsene e trasformarli, ricordando con questo gesto simbolico che non si vuole negare il denaro, ma riportarlo al suo mero valore di scambio; Emanuela Dall’Aglio con Massimiliano Sacchetti hanno aperto un piccolo negozio di animali fantastici; Oscar Accorsi e Mauro Casappa di Ottoelectro hanno riportato in vita, attraverso i suoni, la bottega di un fabbro; Antonio Catalano ha costruito una piccola bottega sentimentale sul pane;  Elisa Cuppini un negozio in cui le scarpe hanno percorso secoli ai piedi di personaggi fiabeschi o mitologici; Maurizio Bercini e Marina Allegri, insieme ai giovanissimi Rocco Biazzi, Maria Sole Antonietti, Zeno Bercini e William Wache Fabrice una bottega dell'anima, in cui liberarsi delle eredità sbagliate per ricostruirsi come comunità, a partire da un fuoco intorno a cui sedersi e un bicchiere di vino caldo da bere insieme prima di andare via; Savino Paparella ha aperto un fruttivendolo con la frutta e verdura che gli hanno tirato addosso in tanti anni di carriera da attore-cane; mentre gli inossidabili barbieri del Teatro Necessario hanno invaso una vera bottega con tanto di vecchio barbiere, molto perplesso davanti ai trattamenti a cui sono stati sottoposti i suoi clienti. E come in una normale passeggiata di shopping, gli spettatori potevano entrare nelle botteghe, fermarsi, curiosare, saltarne una, aspettare il proprio turno per entrare e intanto fare delle chiacchiere, fermarsi al bar vicino a bere qualcosa di caldo, scambiandosi consigli, visioni, emozioni. E che fossero tutti un po' emozionati si è visto alla chiusura dei “negozi”, quando nessuno voleva tornare a casa e il fuoco dei Bercini è diventato una specie di calamita intorno a cui continuare ad abitare quei luoghi. 


Il Teatro delle Briciole, che come la maggior parte delle realtà teatrali del Paese è stato duramente colpito dalla crisi, ha dimostrato con questo progetto che proprio quando sembra che tutto stia per crollare si può rialzare la testa e che il teatro per primo può individuare delle strade per ricostruire ciò che si rischia di perdere per sempre, a partire dalla comunità di appartenenza.   Un'operazione lodevole questa di S-chiusi, non solo perché rimette al centro la città e le sue relazioni in uno dei suoi momenti più difficili, ma soprattutto perché, con questo progetto il teatro si riappropria di una funzione Politica in senso alto, si oppone al modello di città globale fatta di grandi agglomerati commerciali separati dai luoghi della vita quotidiana, diventa generatore di cittadinanza,  motore di riflessione, luogo di resistenza. La follia creativa di Flavia e Alessandra ha dimostrato che per superare questo momento, o almeno per darsi la forza di affrontarlo senza rassegnazione non serve chiudersi a riccio tentando di salvare il salvabile, ma è necessario aprire tutte le porte, uscire fuori, mescolarsi e mescolare, andare nei luoghi in cui la crisi è visibile, nei luoghi diventati bui per riaccendere la luce. Il teatro non può sostituirsi alla politica e lunedì 2 dicembre quei negozi hanno richiuso le serrande e le utenze sono state di nuovo staccate, ma ha individuato una strada, speriamo contagiosa e capace di  riaccendere le luci ovunque, anche in quella piccola città di confine.