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LE RECENSIONI DI VIMERCATE 2013
Gli spettacoli visti da Mario Bianchi e Elena Maestri

Nonostante le grandi difficoltà riscontrate nella sua organizzazione, che ne hanno messo in forse perfino la sua realizzazione, dobbiamo dire che l'edizione di quest'anno del Festival “Una città per gioco”, proposta dalla Cooperativa Tangram a Vimercate per la ventiduesima volta, è stata una delle più indovinate degli ultimi anni, sia per la qualità generale degli spettacoli, sia per il clima che si è instaurato tra i numerosi operatori, che si sono equamente divisi nei tre giorni del Festival , e il pubblico dei bambini e degli adulti di Vimercate. Almeno quattro le creazioni dedicate all'infanzia di grande risalto che hanno caratterizzato questa edizione di “Una città per gioco”( Hana e Momò, Orfeo, Hip, Fuori Misura ) che ha visto anche la presenza di giovani artisti misurarsi per la prima volta sul palcoscenico di un Festival importante.Tra essi abbiamo apprezzato Ilaria Gelmi, che in collaborazione con il Teatro Evento, ha messo in campo una Cenerentola ancora da registrare ma molto particolare, tutta racchiusa in un suo mondo popolato da caffettiere e Pier Paolo Bonaccurso di Teatrop di cui avevamo già sottolineato la bravura parlando del  suo Colapesce visto a Lamezia Terme.

Gigi Zanin della Cooperativa Tangram ha riproposto un suo cavallo di battaglia, “Cordi e il suo re”, riuscita versione del Lear Scespiriano per piccolissimi che, su una bella drammaturgia  di Miriam Alda Rovelli, lascia inalterati le suggestioni e i significati della vicenda, riportandola nei meandri dell'infanzia, aiutato anche da  un utilizzo creativo dei pupazzi.
Il Teatro Prova ha festeggiato i suoi trent'anni di attività con uno spettacolo per la prima volta dedicato  anch'esso ai piccolissimi, per la verità ancora immaturo, nonostante la bravura di Chiara Carrara, che si destreggia tra stoffe di vario colore e consistenza per parlare della bellezza e della difficoltà  del crescere ma che testimonia la volontà di rinnovarsi in un giusto percorso di condivisione con giovani artisti di questa compagnia che ne ha affidato la regia alla esordiente Sara Piovanotto .
Antonio Russo con “Mangia Bello Mangia” ha realizzato un tipico spettacolo di servizio che, attraverso la caratterizzazione di diversi personaggi in stile cabarettistico, vuole mettere in guardia il pubblico sulla sofisticazione alimentare che leggi europee, pilotate da interessi molto precisi, favoriscono in maniera sempre crescente, invece di salvaguardare la nostra alimentazione, mettendo in discussione un intero sistema alimentare.. e così alla fine dello spettacolo chi si arrischia più a mangiare da Mc Donals?

Ma veniamo ad approfondire i nuovi spettacoli  più significativi.

Ass. Cult. UltimaLuna e Teatro Invito (Lecco)
IN CAPO AL MONDO – IN VIAGGIO CON WALTER BONATTI
Di Luca Radaelli e Federico Bario con Luca Radaelli


Di forte rilevanza ci è sembrata anche lo spettacolo dedicato agli adulti che il Festival riserva abitualmente ai suoi spettatori.
Luca Radaelli, dopo averci commosso creando una vera e  propria veglia per Eluana Englaro, ritorna alla narrazione pura, aiutato dal fido Maurizio Aliffi alla chitarra che ne accompagna con calibrata accortezza le parole, per narrarci l'epopea di un eroe solitario Walter Bonatti, non solo alpinista ma anche esploratore e fotografo.   Attraverso le parole di Radaelli e le immagini che si riflettono in modo singolare su degli semplici scatoloni che vengono mossi all'occorrenza e sul suo stesso corpo, ripercorriamo tutte le sue imprese a partire dalle mitiche scalate al Cervino e al Dru, fino alla tragica esperienza del K2( che Radaelli descrive e accompagna con accorata partecipazione), per poi passare alle esplorazioni nella natura selvaggia e incontaminata a contatto di popolazioni tribali di cui rimangono sui numeri del settimanale Epoca le straordinarie testimonianze. Seguendo così le imprese di Bonatti e le testimonianze di chi gli è vissuto accanto( ma non solo, utilizzando metafore e anche contributi esterni come i bellissimi versi di Mario Luzi nel finale dello spettacolo) la sua  biografia  piano piano si trasforma accortamente ed emozionalmente in una filosofia di vita, una vita sempre protesa a cercare di conoscere e superare i propri limiti, novello Ulisse contemporaneo Uno spettacolo appassionato e significativo su un piccolo eroe dei nostri tempi.



 Teatrolinguaggi  (Ancona)
OH! ORFEO – Una favola barocca (dai 6 ai 15 anni)
Regia Fabrizio Bartolucci con Sandro Fabiani, Giulia Bellucci, in video Fabrizi BartoluccirTeatrolinguaggi  (Ancona)


Sandro Fabiani e Fabrizio Bertolucci continuano il loro pecorso unico e singolare  nel  melodramma proposto per l'infanzia , dopo aver messo in scena “Flauto Magico” “Barbiere di Siviglia” “Nozze di Figaro” e “Turandot “per entrare di petto in uno dei massimi capolavori di Claudio Monteverdi  “L'Orfeo”  favola in musica, su libretto di Alessandro Striggio. la cui prima rappresentazione,  avvenne all'Accademia degli Invaghiti di Mantova il 24 febbraio 1607.

Nell'opera del “divino Claudio”, considerata il primo vero capolavoro del melodramma, si narra della discesa all'Ade del famoso cantore Orfeo, compiuta per riportare in vita l'amata Euridice, perita per il morso di un serpente. Per narrarlo ai bambini Bartolucci e Fabiani prendono spunto dal fatto che il grande cantore abbia perso la voce : Non riesce più a cantare, nè a raccontare la sua storia e di conseguenza nemmeno a spiegare perché non ha più voce.
Come si fa dunque a narrare la meravigliosa storia di Orfeo se non coinvolgendo sul palco, oltre che Euridice(forse un po'troppo petulante), anche due bambini del pubblico che faranno da contraltare ai protagonisti della storia, mentre  sul palco uno schermo ogivale, coperto di cellofan che diventa " fonte" di meraviglie, propone agli spettatori immagini che la musica di Monteverdi rende incantate. Da lì emergono  il mondo incontaminato dove si muove Euridice, i prodigi del Dio Apollo, un divertentissimo Caronte testoriano e, giustamente, con nuova accortezza drammaturgica, invece di Plutone, una maga proterva ed insensibile che solo la musica di Orfeo riesce a commuovere.
Seppure ancora in rodaggio, pur tra qualche ingranaggio tecnico ed il coinvolgimento dei bambini ancora da registrare,  la versione per ragazzi  di questo straordinario capolavoro barocco rappresenta un'ulteriore ottima riuscita dei marchigiani di Teatro Linguaggi nel loro intento di avvicinare i bambini ad un mondo assurdamente ritenuto ostico per loro come il melodramma.






Quelli di Grock (Milano)
FUORI MISURA – Il Leopardi come non ve l'ha raccontato nessuno  DiValeria Cavalli CONAndrea Robbiano REGIA Valeria Cavalli, Claudio Intropido


Come si possono raccontare la dolorosa vicenda umana e lo stupefacente estro poetico, inzuppato di dolore, ma, nonostante tutto, intriso continuamente di vero e proprio amore per il creato, di Giacomo Leopardi? E come si fa a narrarli, essendo poi, così apparentemente lontani da noi, ad un pubblico di ragazzi, oggi ?
La compagnia milanese  Quelli di Grock vi è riuscita pienamente in questo bellissimo spettacolo che ottiene tra l'altro così facendo, il risultato di coniugare in sé  anche tutte le sfumature dell'animo umano. Lo fa attraverso le avventure  del giovane Andrea che, nonostante il 110 e lode in lettere e filosofia  e un promettente futuro come insegnante, per vivere, è costretto a lavorare in un call center. Un giorno, però, finalmente, il nostro eroe riceve l'incarico di una supplenza, proprio nella scuola media da lui frequentata da ragazzino. La professoressa che deve sostituire ,e qui c'è l'inghippo, gli lascia l'arduo compito di spiegare ai ragazzi "Vita e opere di Giacomo Leopardi". Così Andrea, anzi il Professor Roversi, forte anche dei consigli del  portinaio della sua casa, l'Algerino Selim, all'inizio timido ed impacciato supplente alle prime armi,  affronta pian piano di petto i ragazzi, ovverossia il pubblico che ha davanti, coinvolgendolo con la sua presenza sul palco ma soprattutto con le armi della passione. 
E così il poeta di Recanati, sempre fuori misura,  perchè piccolo, gobbo ed inviso anche a sé stesso,  acquista piano piano una conformazione diversa ma sempre più grande , così gigantesca che ancora oggi lo fa amare in tutto il mondo e soprattutto agli allievi del professor Roversi che lo richiamano per diverse volte... sulla cattedra. Il borgo selvaggio, la voglia  disperata di fuggirlo, il tormentato rapporto con il padre Monaldo e con l'altro sesso infatti vengono analizzati dal nostro professore  avvicinandoli sempre all'esperienza dei ragazzi, forse anche perchè, in fin dei conti, alla loro età, l'inadeguatezza, il desidero e la paura d'amare, la sensazione di essere sbagliati, di essere "fuori misura", insomma, appartengono loro nel medesimo modo.
Un monologo divertente, tenero e originale, scritto in modo impeccabile da Valeria Cavalli( forse troppo lunga la prima parte di avvicinamento a Leopardi, rispetto alla lezione vera e propria) recitato da un bravissimo Andrea Robbiano che farà riflettere il così detto pubblico di riferimento, ma non solo quello, sull'importanza della poesia, dell'arte ma anche sulla necessità e il valore della Scuola e dello studio.
MARIO BIANCHI


HANA’ E MOMO’ – Principio Attivo Teatro
Principio Attivo Teatro (Lecce)
Regia Cristina Mileti con  Cristina Mileti e Francesca Randazzo

Un’ode alla fantasia. Ecco la bella sensazione che lascia lo spettacolo di Principio Attivo.
Hanà e Momò sono due bambine che giocano, e finalmente giocano come vorremmo che i bambini ancora facessero: con pochi oggetti e materiali poveri ma con tantissima fantasia. I due personaggi sono vicini all’animo infantile perché universali nella loro buffa sfida a chi prevale nella gara del gioco. Le due attrici, Cristina Mileti e Francesca Randazzo sono sedute ai due capi di un grande cerchio fatto di sabbia: l’una pettina la sabbia, la tiene in ordine, se ne ritiene padrona, e l’altra tenta di scardinare quest’ordine, sconfina nello spazio non suo, fa incursioni fuori dalle regole di un codice dettato dalla bambina apparentemente meno ingenua. Hanà e Momò usano un linguaggio tutto loro, rarefatto, costruito troncando le parole e trascurandone le ultime sillabe, un alfabeto inventato ma comprensibile, che tutti i bambini presenti capivano e che ha contagiato anche gli spettatori adulti. Tanta ironia in un lavoro davvero ispirato e nel quale l’espressività delle interpreti è fondamentale. Una storia semplice in cui i fogli di carta igienica diventano gabbiani, le mollette per capelli farfalle, i bastoncini di legno si trasformano in alberi di navi pirate. Anche lo sviluppo del rapporto tra i personaggi è ben costruito: un’iniziale rivalità, sempre giocosa, finisce per mutare in complice amicizia quando Hanà e Momò capiscono di dover unire i loro indizi per completare la mappa del tesoro. Una bella prova di arguta leggerezza che incanta i bambini e diverte i grandi.


QUESTA ZEBRA NON E’ UN ASINO – Storia di un’amicizia più forte della guerra
Teatro dell’Archivolto (Genova) Di e con Giorgio Scaramuzzino


Questa zebra non è un asino e questa storia per ora non è uno spettacolo. Non ancora, almeno. Giorgio Scaramuzzino presenta un lavoro ancora in costruzione, basato sulla vera storia di Talal, un ragazzo che vive nella striscia di Gaza e che in questa terra difficile diventa amico di una zebra, nello zoo del villaggio, distraendosi quando e quanto può dalla complicata situazione che lo circonda. L’animale diverrà protagonista di un episodio simbolo di un’amicizia importante tra il protagonista e il guardiano dello zoo.
Lo spettacolo si rifà alla Convenzione ONU del 1989 sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, a leggerne alcuni articoli è chiamata sulla scena una bambina, la cui presenza non è però ancora ben amalgamata con la struttura dello spettacolo. Scaramuzzino riesce a non essere troppo retorico, ma deve ancora trovare la cifra giusta perché il suo rapporto con la bambina (o bambino, ogni volta “l’attore” cambierà) non risulti solo funzionale ad una meccanica lettura di questa speciale Costituzione i cui principi, come ci verrà un po’ scolasticamente raccontato, sono tutti infranti. Nello spettacolo si inseriscono tre belle storie, tre piccoli racconti, che come sempre Scaramuzzino racconta con molto mestiere, con una capacità narrativa indubbia,  questi elementi però risultano ancora slegati tra loro e non ben collegati col senso complessivo di una storia che ha le potenzialità per essere molto densa e più emozionante.

IO PARLO CON IL NASO – Teatro Pirata (Jesi)
Regia Simone Guerro con Silvano Fiordelmondo

Il naso. Da Rostand a Gogol il naso è parte anatomica di grande interesse letterario. Teatro Pirata confeziona uno spettacolo dove il naso è causa di un difetto di pronuncia del protagonista, da adolescente il difetto è motivo di sofferenza perché origine di una diversità non sopportabile mentre si sta crescendo, ma che da adulto diviene una cifra inconfondibile che lo rende unico.
Il protagonista è Silvano Fiordalmondo che racconta la sua vera storia, narrata “parlando con il naso”. Lo spettacolo è pieno di delicatezza, di un calore profondo che affiora prepotentemente dal testo, dalla regia, da una leggerezza che muove il sorriso.
Silvano ironizza non solo sul suo difetto ma sul suo cognome, sulla sua famiglia, è un uomo che ha superato la difficoltà di un piccolo handicap giocandoci e che ora ne può anche fare sfoggio. Io parlo con il naso è però troppo legato alla biografia del protagonista, è incollato alla particolarità di una vita da teatrante, che in troppe cose è condivisibile solo da chi gli è collega. I burattini con le fattezze degli altri Pirati sono molto divertenti per gli addetti ma non altrettanto per chi non li consce personalmente. Il pubblico di Vimercate (e delle vetrine in generale) è un pubblico familiare, in un certo senso: tutti sono fortemente apparentati da situazioni, guai, fatiche, esaltazioni gemelle ad ogni latitudine e questo tesse un morbido tappeto di affetto nei confronti di uno spettacolo che parla di un amico, in fondo, e di una vita che ci somiglia. Bisogna però pensare agli spettatori veri, i ragazzi che devono vedere il senso centrale di questo lavoro: la vittoria su una diversità mutata da problema a “segno particolare” positivo, una caratteristica che hanno in pochi, come un nome bizzarro ma che non si dimentica. Questo aspetto rimane invece un po’ costretto, a vantaggio di un eccessivo sbilanciamento sulle note personali.
Alcuni oggetti utilizzati in scena sono esilaranti (gli occhiali con baffi mobili) altri più macchinosi che utili (la struttura della baracca che si gira), le musiche strizzano assai l’occhio, anzi l’orecchio,  ai coetanei di Fiordalmondo.


HIP – Una piccola storia con le ali – Anfiteatro e Controluce
Regia Giuseppe di Bello con Naya Dedemailan e Marco Continanza

 

Naya Dedemailan e Marco Continanza sono un’affiatata coppia di anziani coniugi, ancora innamorati e teneramente affezionati anche ai difetti dell’altro. I due raccontano la loro storia a una giornalista (per l’occasione la bella e professionale nella sua finzione Mirella Mijovic) - la cui presenza fisica in scena non è indispensabile - che, muta, prende compìti appunti seduta ad un tavolino,

La storia di Mondo e Lella è una storia specialissima, poetica, strana e anche un po’ inquietante: il marito, fanatico di ornitologia, in una delle sue escursioni nel bosco, trova un esserino misterioso, sembra una bambina… ma… ha le ali! Allora è un angelo? Nemmeno, perché le braccia le mancano. Forse un uccello, allora. Fatto sta che Mondo, con le sue bretelle nostalgia, se la porta a casa. La moglie è inizialmente spaventata ma la coppia finirà per adottare la creatura, la chiameranno Hip, il suo primo suono emesso, e la cresceranno con trucchi e abiti che non mostrino agli altri la sua diversità. Hip, parla in un modo particolare usando solo la vocale i, come per Hanà e Momò e per Io parlo con il naso - anche se meno sostanziale – c’è un elemento di differenza legato al linguaggio, come ci esprimiamo ci distingue, eccome!

La bambina/angelo volerà via da Mondo e Lella, come in effetti fanno tutti  figli, metaforicamente parlando, ma Hip deve anche seguire la natura di essere “volante”, il suo liberarsi ha quindi anche un significato legato alla sua unicità ontologica, che deve essere salvaguardata.

La coppia Continanza/Dedemailan funziona molto bene, Lella è più concreta, “caccia su”, come diremmo qui al nord, il marito Mondo, tanto ingenuo e trasognato, la buona regia di Pino Di Bello e due attori perfettamernte in parte creano situazioni di battibecchi matrimoniali brillanti e spiritosi, all’interno di una casa dall’aspetto contadino, con i panni stesi e una verandina, anch’essa tanto aggraziata.

Lo spettacolo racconta una storia complessa, perché insieme alla tenerezza e alla poesia c’è un forte senso del dolore da separazione, acuito dalla singolarità di questa creatura strana, forse Mondo e Lella credono ormai ad una storia di fantasia, che raccontano per darle realtà, la realtà di un desiderio.

La forza dello spettacolo sta nei due personaggi, ben dipinti, come in un quadro dei Macchiaioli, con molta attenzione alle cose piccole, ai dettagli, alla luce che illumina volti e caratteri delle persone, immersi in ambienti quotidiani nonostante vivano (o raccontino) storie fuori dal comune. Proprio la sincera interpretazione degli attori e lo humour del rapporto tra i due permettono loro di rappresentare una vicenda di per sé strampalata e un tantino melensa. Dal punto di vista recitativo solo alcuni punti calano un po’ di ritmo che confidiamo sarà rinsaldato con le prossime repliche.
Il quadro di una famiglia squinternata, colorata con pennellate che accarezzano.

ELENA MAESTRI


PUNTI DI VISTA



Luna e Gnac (Bergamo)
STORYTELLERS (per tutti)
Regia Pierangelo Frugnoli con Michele Eynard, Federica Molteni, Pierangelo Frugnoli, Manuel Gregna



E' vero che non tutti posseggono la capacità di poter narrare compiutamente ? E' vero che raccontare le proprie emozioni è importante.? E' vero che raccontando possiamo insegnare agli altri e arricchire noi stessi di nuove esperienze? E' vero che un'azione può apparire diversa a seconda di chi la racconta.? A tutte queste domande risponde con naturalezza e  ironia la nuova creazione di Luna e Gnac “Storytellers”
In una cornice da teatro musicale Michele Eynard, Federica Molteni, Pierangelo Frugnoli, Manuel Gregna  sono quattro attori-clown che narrano attraverso gustosi siparietti  e divertenti tormentoni  le disavventure di Michele, che vorrebbe tanto portare i suoi ascoltatori dentro la storia che da tempo sogna di raccontare ma di cui ogni volta ingarbuglia nessi e parole. Una storia che immette lo spettatore ( smontandole e rimontandole) in situazioni che ha vissuto mille volte e di cui può osservare tutti i risvolti capace di ironizzare sulle paure e le insicurezze di ognuno di noi,esorcizzandole.
Lo spettacolo piano piano diventa così una specie di breviario semplice e immediato sui modi del narrare,  attraverso una girandola di situazioni esemplificatrici che utilizzano in maniera scanzonata  tutti i codici della comicità.  
M.B.



STORYTELLERS – Luna e Gnac

Come si racconta una storia? Quanti modi ci sono per farlo? Molti,  Luna e Gnac e i suoi quattro attori cercano di mostrarci un compendio di queste modalità, per esempio con lo stesso fatto visto e raccontato da più punti di vista, una sorta di Esercizi di stile, con buona pace del grande Quenod… Per non parlare di Rashomon e Kurosawa…
Purtroppo lo spettacolo è realizzato con poca cura e senza originalità, gli sketches sono visti e rivisti, i costumi e le scene hanno l’odore delle cose prese in soffitta, un po’ di risulta e tutto ciò non giova ad un’intenzione senz’altro buona ma che, oggi, non si può più supportare con pressapochismo.
L’idea di dare centralità alla storia è giusta, anzi sacrosanta, e lo diciamo anche in ragione di tanti casi di drammaturgia maltrattata segnalati su Eolo, ma Storytellers denuncia la malattia dimostrandone di esserne affetto! Quello che ci viene ammannito non è una storia, ma un catalogo, un po’ stantio, di gag più o meno riuscite, citiamo senz’altro la spassosa ironia parodistica dei luoghi comuni della narrazione come il racconto popolare nella stalla.
Riconosciamo che non narrare ma mettere in scena i meccanismi della narrazione sia una scelta consapevole, crediamo però che il tema – importante - sia stato affrontato con troppa superficialità: il pescatore che mente sulla dimensione della trota pescata o l’ascensore come luogo di forzato imbarazzo sono situazioni talmente Classiche (con la c maiuscola) da essere ormai elementi che, per risultare originali, possono soltanto essere sovvertiti con un colpo di genio.
Troviamo insomma che Storytellers possa mantenere il tono scanzonato e cabarettistico guadagnando più cura nei dettagli, dando maggior dignità all’argomento trattato ed eliminando qualche effetto comico telefonato di troppo.
E.M.