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Eolo
recensioni
PERCURSOS IN PORTOGALLO
MAFRA GAGLIARDI:Dal Portogallo, un progetto culturale,un festival europeo

Un festival che rifiuta l’immagine convenzionale di festival. Un rapporto con il pubblico che capovolge quello consueto: sono gli artisti ad essere stanziali, il pubblico è nomade. Un teatro che assume come formula identitaria la metafora del viaggio.
Ecco “Percursos, festival europeo delle Arti dello Spettacolo per un pubblico giovane” che dal 9 al 24 ottobre ha attraversato il Portogallo da sud a nord. Un progetto che parte da lontano e che raccoglie i frutti di tre anni di lavoro, con l’obiettivo di fare delle quattro città partecipanti - Lisbona, Coimbra, Evola, Viseu - altrettanti luoghi di creazione artistica, in cui realizzare un incontro effettivo tra artisti stranieri (francesi, belgi, spagnoli, italiani), artisti portoghesi e pubblico.
Un pubblico trasversale, che si è andati a cercare non solo nei luoghi deputati, ma nelle piazze, nelle strade, nei musei, nelle biblioteche, negli ospizi dei vecchi, tra i gruppi di adolescenti, tra i bambini delle scuole elementari. Giovane dunque non nel senso anagrafico del termine, ma piuttosto nuovo, inconsueto, disposto a guardare con occhi vergini.
L’intenzione è quella di operare una pratica di decentramento ( fino ad ora mai seriamente attuata nel paese) e nel contempo, dove possibile, effettuare un lavoro di scavo nelle singole città per portare alla luce l’identità e la memoria segreta degli abitanti.
Percursos ha coinvolto 27 Compagnie teatrali ( di cui 13 straniere), per un totale di 241 rappresentazioni in 42 spazi diversi. Ha attirato qualcosa come centomila spettatori. Grandi numeri, insomma, per un’iniziativa di notevole respiro, che non avrebbe potuto attuarsi senza il concorso delle Municipalità e dei Teatri delle quattro città partecipanti, e soprattutto senza il sostegno dei “fondi strutturali” previsti dalla Comunità Europea per i paesi più deprivati sul piano culturale e economico (quali appunto il Portogallo e la Grecia.).
Il merito di questo progetto ambizioso e rischioso va a Madalena Vitorino ( direttrice del Centro Cultural di Belem a Lisbona ) e a Giacomo Scalisi (già direttore del Teatro delle Briciole e organizzatore di Vetrina Europa ), alle loro riflessioni sulla funzione dell’arte nel contesto contemporaneo, alla loro voglia di innovare profondamente la relazione tra artisti e spettatori. “Il progetto – sostiene Scalisi – prende l’avvio da un’idea di arte come bene necessario. L’arte deve incontrare le persone con progetti che nascono dalla realtà sociale e che affrontano discorsi importanti su elementi fondamentali. L’arte può dare una visione alternativa alla società, può porre domande non per ottenere risposte, ma per offrire stimoli, per innescare percorsi mentali…”
Così si è arrivati a questo programma denso di spettacoli, esposizioni e feste di piazza: per partecipavi, occorre viaggiare. Viaggiano gli operatori invitati, ma viaggiano anche gli spettatori comuni, famiglie con bambini, giovani e adulti interessati: per loro, infatti, in ogni week end è stata istituita una rete di collegamento in autobus fra i vari luoghi toccati dal Festival, che permette di assistere agli spettacoli in programma e di visitare la città. Il tutto al prezzo politico di 20 euro.
Ma vediamo il progetto in dettaglio.
Ognuna delle quattro città coinvolte nel corso del 2003 ha offerto la residenza a un artista o a una Compagnia, disposti a “impiantare” un proprio progetto nel territorio, con l’obiettivo di creare una relazione tra il loro immaginario artistico e il tessuto cittadino. Ognuno ha interpretato liberamente lo spirito del progetto, adottando strategie diverse, e naturalmente conseguendo esiti di differente rilievo.
Antonio Catalano , per esempio, ha ambientato la sua “Saga dei viaggi di Ulisse”nella piazza centrale di Evora, invitando tutta la popolazione a rivivere l’epopea dell’eroe omerico attraverso la visita a una serie di padiglioni contenenti oggetti, mappe, informazioni sulla vita di Ulisse: un vero e proprio “museo sentimentale” messo su dall’artista con l’ironia surreale che gli è propria. Si potevano ascoltare episodi dell’infanzia di Ulisse raccontati da Penelope in persona; o vedere i sassi lanciati da Polifemo e il suo stesso antro, l’otre dei venti, il planetario delle costellazioni e altri “oggetti evocativi”. Tra i più sorprendenti, numerose gigantografie delle mitiche Sirene: che erano in realtà le immagini dei vecchi dell’Ospizio di Evora, trasformati in Sirene grazie all’aggiunta di lunghe code sinuose dipinte da Catalano. “Ho voluto rendere omaggio alla vecchiaia”– spiega l’artista - “ perché le voci dei vecchi sono come quelle delle Sirene: bellissime, ma inascoltate”. Lui, Catalano, in due settimane di soggiorno nell’Ospizio di Evora, le ha ascoltate, queste voci e ha incontrato personaggi straordinari. Ora queste Sirene dal volto antico e struggente le vorrebbe Clint Eastwood per il suo Museo della città dell’Arte; ma prima passeranno al Piccolo di Milano che ospiterà l’ultimo spettacolo dell’artista. Intanto a Evora narratori portoghesi (formati da Catalano) facevano da guida tra i vari padiglioni e sulla piazza si alternavano musiche, balli, rappresentazioni di burattini: il tutto in un clima da fiera popolare d’altri tempi.
Lo spagnolo Antonio Portillo ha lavorato invece – a Evora e a Viseu – con 14 bambini tra gli otto e i dodici anni e le loro famiglie, sul tema del tempo: quello che, sulla scia della storia di Momo di Michael Ende, gli “uomini grigi” sono pronti a rubare a ogni essere umano. Per poter conservare la memoria del proprio passato, ogni bambino ha seppellito un oggetto significativo in un luogo della propria città. Si è formata così una specie di mappa del tessuto urbano in chiave affettiva, che segnalava i luoghi-custodia dei ricordi di ciascuno. Su di essi, un anno dopo, è sorto un albero/scultura, un “albero della memoria”, a cui hanno contribuito i genitori, portando un altro oggetto, significativo del loro rapporto con i figli: il che ha contribuito ad accendere tra adulti e bambini un dialogo nuovo, veicolato dalle tracce ritrovate di una comune esperienza.
Il francese Michel Laubu , creatore delle singolari marionette che abitano l’immaginario paese di Turakia, ha stabilito la sua residenza a Coimbra. In quest’ antica città universitaria, è consuetudine che gli studenti si raccolgano in “repubbliche”, ciascuna dotata di un suo nome e di un suo regolamento. In queste “repubbliche”, dopo aver aperto il suo laboratorio ad animatori del teatro locale, Laubu ha portato il suo “spettacolo da appartamento” sulla vita in Turakia, in doppia versione, alternativamente francese e portoghese. Gli stessi animatori portoghesi hanno partecipato allo spettacolo creato per il festival, “Visita guidata al Polo Nord”, un’opera visuale, in cui ancora una volta prende vita il “mondo alla rovescia”di Turakia, abitato da creature goffe e stordite, con un proprio fantasioso linguaggio.
A Viseu ha operato la Compagnia fiamminga Laika , diretta da Peter De Bie. Dopo un prolungato soggiorno in città per familiarizzarsi con la cultura del posto, gli attori di Laika hanno incontrato quelli del Teatro Regional da Serra de Montemuro , una piccola Compagnia che vive isolata a Campo Benfeito, un villaggio di montagna . Ne è nata una felice collaborazione che si è concretata nella co-produzione di uno spettacolo presentato al Festival con grande successo: “Hotel Tomilho”. “Spettacolo/viaggio con vista panoramica sulle emozioni umane” dice il sottotitolo: azzeccatissima definizione di quello che è un percorso ludico all’interno di un fatiscente quanto improbabile albergo, in cui lo spettatore è libero di tracciare il suo personale itinerario, entrando in una stanza piuttosto che in un’altra. Lo attendono stralunati personaggi che comunicano le loro storie di vita attraverso esperienze sensoriali più che con parole. Circola, in quest’Hotel Tomilho, un’aria surreale di dolce follia in versione dark. In cucina un cuoco sadico obbliga gli spettatori a bere acqua sporca e a lavare i piatti. Dal frigorifero e dall’armadio di una camera da letto, un televisore interloquisce ossessivamente con i visitatori. Nel sottotetto una seducente ragazza cieca coinvolge gli spettatori in ambigue avances amorose: mentre un’altra stanza ospita un’ allarmante imbalsamatrice, che vive circondata dalle sue mummie, compresa quella dell’amato marito, di cui - annuncia garrula –in questo modo si è assicurata la continua presenza.
Da notare: lo spettacolo è stato rappresentato ad Anversa ( sede di Laika) e a Viseu – e in ognuno dei due luoghi c’è stato uno scambio di ruoli: quello che in Belgio facevano gli attori portoghesi, a Viseu facevano i belgi. Da Campo Bienfeito è passata anche Letizia Quintavalla, del Teatro delle Briciole, e ha ambientato su un prato vicino al villaggio una versione di Rasho Mon con gli attori del portoghese Teatro Regional. Gli abitanti del luogo (quaranta persone in tutto, in gran parte anziani,) hanno costituito il pubblico e la giuria invitata a esprimersi su colpevolezza o innocenza di ciascuno dei tre personaggi coinvolti nella vicenda: il tema complesso del rapporto tra verità e menzogna sul quale la regista sta riflettendo da qualche tempo e che avrà un seguito in altre situazioni.
A Lisbona e a Viseu “Children, Cheering, Carpet” di Francesco Gandi e Davide Venturini del Teatro di Piazza o d’Occasione ( una produzione del Teatro Metastasio di Prato) ha ospitato una ballerina portoghese: la leggerezza della danza inserita in un atelier multimediale. O meglio : proposta di un viaggio dentro una natura simulata nell’interfaccia di un computer, cinque spazi virtuali, ognuno riproposto secondo la simbologia giapponese del giardino. Un prato, un ruscello,un ponte, una distesa di fiori, il mare. La ballerina invita gli spettatori a camminare su un tappeto lattescente (un tappeto da danza orientale)e a entrare in diretto contatto con le immagini e i suoni digitali, interagendo con essi: un dispositivo tecnologico permette infatti ai sensori contenuti nel tappeto di reagire alla pressione del piede. Gli spettatori sono così “dentro” uno spazio scenico, immersi in un’esperienza sensoriale che si avvale di stimoli percettivi multipli. Lo spettacolo non è solo un percorso ludico : apre una pista di ricerca e di riflessione sul rapporto con le nuove tecnologie, stimola una serie di interrogativi sulle forme di creatività che possono derivare dall’interazione tra il contatto corporeo e il paesaggio digitale.
“Bechtout” della Compagnia francese Baro d’Evel è ancora uno spettacolo “tout public”. Il titolo significa press’a poco un invito: “Siediti!” Infatti si sta incollati sulle panche, in una palestra trasformata in chapiteau da circo, a guardare chi sta invece in piedi e salta, corre, si arrampica, fa acrobazie, suona strumenti musicali, canta si slancia in alto e…vola. O almeno, è come se volasse. Un’ora e quindici minuti di grande divertimento, offerta da cinque artisti che hanno messo splendidamente a profitto il lavoro svolto nei corsi quinquennali di nouveau cirque a Chalons sur Marne. Il loro è uno spettacolo pieno di ironia e di leggerezza, sul filo dell’assurdo . Mai una caduta di ritmo, mai un calo d’energia. I magnifici cinque che cercano di volare operano associazioni inedite tra categorie mentali diverse e usano gli oggetti in modo im/pertinente, sottraendoli alla loro funzione d’uso per farne personaggi sorprendentemente nuovi.
“Radio Ping Pong “ è invece uno spettacolo musicale “per ascoltare e giocare”. La Compagnia belga che lo presenta ( Muziektheater Transparant ) ha una grande abilità nell’improvvisare una “musica istantanea”, vale a dire modellata sullo svolgimento dell’azione scenica: degli attori, ma anche dei numerosi piccoli spettatori che accorrono sul palco a fare esperienza diretta di suoni e di gesti. E’ questa corrispondenza tra movimento e suono, tra scena e musica che affascina i bambini. Come sapienti pifferai di Hamelin, gli artisti portano il pubblico a immergersi in un universo sonoro di cui fanno intravvedere i meccanismi e gli incanti segreti. Un approccio efficace e festoso ai linguaggi musicali.
Il cartellone di Percursos era affollato di numerose altre proposte interessanti, di cui non è possibile dar conto in questa sede. Aggiungerò solo che il progetto si concluderà l’11 dicembre al Centro Cultural de Belem di Lisbona, con una convocazione di tutti gli artisti impegnati insieme ai testimoni che nei vari luoghi li hanno accompagnati. Si proietterà un film documentario sul percorso, e il video girato da Letizia Quintavalla a Campo Benfeito. Soprattutto si discuteranno le varie fasi del progetto e si cercherà di farne un bilancio complessivo, con uno sguardo al futuro. Certamente non sarà possibile ripetere l’esperienza nel suo complesso, ma raccoglierne l’eredità per procedere nella stessa prospettiva, questo forse sì. Almeno sarebbe augurabile.





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