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Eolo
recensioni
I FESTIVAL AUTUNNALI 3) TRALLALLERO/LO SGUARDO DI ROSSELLA MARCHI
IN FRIULI DAL 7 AL 15 OTTOBRE

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Dal 7 al 15 ottobre è ritornato in Friuli per la sua tredicesima edizione il Festival internazionale di teatro e cultura per le nuove generazioni “Trallallero”. Dal 2015 ha avuto cadenza biennale: anni pari dedicati prevalentemente alla formazione, anni dispari con maggiore presenza di spettacoli. Dal 2019 è festival internazionale. Trallallero svolge anche un ruolo di vetrina. Quest’anno la manifestazione organizzata con grande devozione dalla piccola compagnia “Teatro al quadrato” ha coinvolto con 18 spettacoli quattro comuni: Artegna,Tarcento, Gemona del Friuli e e Nimis. Ad Artegna abbiamo apprezzato l’evoluzione di “H2Ops!” produzione di Consorzio Balsamico che ha aperto la vetrina per gli operatori, lavoro che abbiamo visto maturato e convincente; il bellissimo lavoro dedicato ai piccoli dagli 0 ai 3 anni del Teatro Koreja “Làqua” una partitura sognante sul viaggio della nascita con due splendide interpreti Emanuela Pisicchio e Maria Rosaria Ponzetta che accompagnano i piccoli con il loro canto melodioso e le immagini che riescono a creare; sempre ad Artegna abbiamo anche visto “Spina Rosa – Elettrofiaba” spettacolo croato della compagnia GKL Rijeka che abbiamo trovato un po’ confuso ma allo stesso tempo coinvolgente per la grande energia dell’attore in scena che costruiva personaggi con tutto ciò che di elettronico trovava, “Biancaneve Show” dei Teatri Soffiati, un progetto ben costruito con la brava attrice Maria Vittoria Barrella che ci racconta la storia di Biancaneve senza edulcorazioni con un finale su cui riteniamo ci siano ancora margini di lavoro; ad Artegna si è chiusa anche la vetrina per gli operatori con la bella storia narrata da Roberto Anglisani “La storia di Nicola che non voleva andare a scuola” un inno alla libertà di crearsi ognuno il proprio futuro per quello che si è; a Tarcento dove abbiamo potuto apprezzare lo studio avanzato del lavoro della Compagnia Arione De Falco dedicato ai bambini e alle bambine dai 5 anni ma anche agli adulti “Le rocambolesche avventure dell’orso Nicola, del ragnetto Eugenio e del moscerino che voleva vedere il mondo e che rese tutti felici” un già convincente lavoro che definiamo “necessario” che ci racconta attraverso una favola semplice del diritto di ognuno di noi ad avere le amicizie e le relazioni che desidera e ci fanno essere felici senza chiedere il permesso a nessuno; sempre a Tarcento abbiamo visto “La casa dei cubi” una produzione degli sloveni Hisa Otrok in Umenosti per i più piccoli con musica da vivo dove la scena composta da numerosi cubi di varie grandezze si trasforma in mondi da scoprire; a Gemona del Friuli (una importante new entry) abbiamo invece visto nel bel teatro restaurato e restituito al territorio la nuova produzione di Silvia Scotti e del Teatro Evento “Yakouba e il leone”, una drammaturgia interessante e preziosa, un romanzo di formazione che però ha ancora bisogno di lavoro e di uno sguardo esterno nella messa in scena; e infine Nimis dove abbiamo visto “La bottega della buonanotte” uno spettacolo de La luna al guinzaglio che tenta di riportare sul palco Rodari ma che secondo noi  non riesce a restituirne la poesia. 

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Teatro al quadrato per l’occasione, tra le numerose collaborazioni, è riuscito a mettersi in relazione con l’Ente Regionale Teatrale del Friuli Venezia Giulia, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Servi di Scena/MateâriuM-laboratorio di nuove drammaturgie e con le scuole del Territorio che sono riuscite a riempire i teatri coinvolgendo centinaia di alunni . Le parole di Giuseppe Ungaretti “Come un acrobata sull’acqua” hanno dato forma all’immagine simbolo di Trallalero 2023, dove un bambino e una bambina giocano a restare in equilibrio su una scenografia a forma di fiume. Un motto benaugurale scelto per questa edizione di Trallallero che in qualche modo ha dato il via all’evento Go!2025, che accenderà i riflettori su Gorizia capitale europea della Cultura.

Momento centrale delle giornate dedicate agli operatori è stato “Criticare ad Arte”, l’attività di formazione per compagnie e operatori e operatrici offerta dal Festival. Dal 10 al 12 ottobre, con un incontro introduttivo (“Sguardi critici dis-armati”) dedicato oltre che ai professionisti del teatro anche agli insegnanti, Criticare ad arte è proseguita con la visione e successivo dibattito strutturato di tre spettacoli selezionati per questa specifica attività. Una prima fase, fra agosto e settembre, che si era già svolta al Mulino Nicli e ha visto due masterclass rivolte a giovani attori e attrici e organizzatori desiderosi di approfondire le proprie competenze nel teatro per le nuove generazioni (progetto Blooming) e una residenza per la creazione di un nuovo spettacolo che coinvolge sempre artisti under 35, italiani e sloveni.

Non potendo approfondire tutti gli spettacoli presenti al Festival, alcuni dei quali erano già stati intercettati in altri festival o manifestazioni, Eolo attraverso lo sguardo di Rossella Marchi ne ha scelti 5 esemplificativi delle forme e dei Linguaggi per le nuove generazioni presenti al Festival.



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SPHERA/TEATRO DI CARTA

Interessante lavoro della compagnia Teatro di Carta che ci accompagna in un viaggio immersivo. Veniamo infatti accompagnati dentro una sfera bianca, una grande mezza luna, dove ci accomodiamo seduti a terra per metà del perimetro. Lo spettacolo, destinato ai più piccoli e alle loro famiglie e per massimo 20 persone alla volta, è un delicato cammino alla scoperta del mondo. L’atmosfera iniziale è quasi circense: un uomo vestito come un prestigiatore chiama quello che potrebbe essere un figlio ma anche la sua più grande attrazione, Gioppy, che però non ha nessuna intenzione di obbedire al padre/capocomico. Gioppy vuole girare ed incontrare il mondo. Ed ecco che il mondo comincia a percorrere la sfera. Bellissime le ombre animate da Chiara Carlosi che rappresentano tutto quello che si può incontrare in un viaggio intorno al mondo: case, animali, fiori, alberi e uccelli di ogni tipo. L’atmosfera dentro la Sphera è di grande meraviglia, sembra di essere nell’ingranaggio di un enorme carillon visivo e sonoro dove le voci dei bambini che riconoscono le sagome colorate riecheggiano e fanno da sfondo. Il ritorno di Gioppy e la sua partenza su di una nave è lo sfondo per avviare un’altra storia questa volta sulla paura. Siamo in una foresta e quel che gira sulle pareti è un bosco scuro che racconta una storia di coraggio, questa volta però proiettando le ombre dall’interno. La visione è molto suggestiva e piacevole per tutta la durata della performance ma riteniamo che lo spettacolo abbia ancora una struttura un po’ frammentaria e debba ricercare un collegamento più convincente tra le storie che racconta e i due personaggi. A spettacolo finito, Sphera lascia comunque la bella sensazione di aver fatto un viaggio magico, guidati da Gioppy e da Marco Vergari che con grande bravura ci accompagna nel cammino e all’uscita.

L’AMORE DELLE 3 MELARANCE/LA BOTTEGA BUFFACIRCOVACANTI


Come portare La Commedia dell’arte in uno spettacolo dedicato alle nuove generazioni? La Bottega Buffa Circovacanti lo ha fatto con buon successo. La storia che si racconta è “L’amore delle tre melarance” di Carlo Gozzi e quello che vediamo in scena è un adattamento ben fatto da Luciano Gottardi. In scena i classici personaggi della commedia dell’arte: dal dottor Balanzone a Pulcinella da Colombina al nostro Arlecchino/Zanni che riuscirà a salvare il principe dalla sua infinita tristezza. Perché il problema è proprio questo: il principe non riesce più ad essere felice e dopo aver percorso infinite strade tutte fallite per recuperare la felicità, decide di sentire il dottor Balanzone, interpretato magistralmente da Laura Mirone, che, dopo averlo visitato non senza aver strappato buonumore a tutta la platea, gli prescrive appunto l’amore delle tre melarance. Ma dove trovare queste tre melarance? L’incarico lo prenderà il servo Zanni/Arlecchino, interpretato da una brava Veronica Risatti, che comincerà il suo viaggio alla ricerca delle tre melarance. Le cercherà in un mercato dove troverà un mariuolo Pulcinella che proverà a mettere insieme mele e arance per spillare soldi al malcapitato Zanni. Ma le tre melarance non si trovano al mercato bensì al castello, abitato dalla cattivissima Strega Pantalona. Un soldo dietro l’altro il nostro Pulcinella prenderà tutti i soldi al nostro Zanni ma sarà molto utile perché in cambio gli darà tre cose utilissime che gli consentiranno di entrare nel castello e prendere le tre melarance: un panetto di sugna, una scopa di saggina e infine una borraccia d’acqua. Zanni si metterà in cammino ed una volta arrivato al castello potrà ungere i cardini del portone che finalmente ben oleati lo lasceranno entrare, potrà bagnare per bene la corda ormai talmente secca da essere inutilizzabile e potrà regalare la scopa di saggina alla povera serva che puliva il forno con i suoi capelli. La serva, riconoscente per il bel regalo, darà a Zanni le istruzioni per prendere le tre melarance e sottrarle alla strega ma quest’ultima, una volta accortasi del furto, chiamerà la corda per fermare Zanni ma la corda, anche lei riconoscente per essere stata bagnata dopo tanto tempo, non fermerà Zanni e non lo farà nemmeno il grande portone, grato di essere stato unto come da molto non gli accadeva. Zanni quindi riuscirà a scappare con le tre melarance anche se, scapestrato com’era, ne aprirà una delle tre causandone la morte. Con le due melarance tornerà dal principe e gli restituirà il sorriso. La struttura e i personaggi crescono e sviluppano la loro storia in modo coerente e ben comprensibile nonostante gli accadimenti siano tanti e il ritmo sostenuto. Lo spettacolo, adatto ad un pubblico delle elementari ma divertente anche gli adulti, mantiene un ottimo ritmo per tutta la sua durata anche se, a nostro avviso, il finale andrebbe leggermente ridotto nella sua lunghezza e offre linguaggi preziosi come il canto dal vivo e la commedia dell’arte, linguaggio raramente utilizzato nel teatro per le nuove generazioni.

SCUSA/COLLETTIVO CLOCHART


“Scusa” è uno spettacolo di danza per le nuove generazioni prodotto dal Collettivo Clochart per la regia e drammaturgia di Michele Comite e le efficaci coreografie di Hillary Anghieri. “Scusa” racconta la storia di un rapporto, quello di due sorelle interpretate dalle brave Lara Ferrari e Viviana Pacchin, mosso continuamente da gelosie, invidie e litigi ma anche da ritorni, perdoni e affettuosità. Proprio come accade in tutte le famiglie. Il loro rapporto rispecchia quello dei genitori di cui sentiamo solo le voci registrate: i dialoghi sono pieni di recriminazioni e astio di uno verso l’altra. Due genitori che non vanno d’accordo e si accusano a vicenda della litigiosità delle figlie arrivando fino ad avere il rimorso di averle concepite. Ma alla fine saranno proprio le figlie a trovare la via, non ben chiara per la verità, per arrivare a perdonarsi vicendevolmente e a capire quanto sia prezioso per l’una avere l’altra. Lo spettacolo è molto piacevole da punto di vista delle coreografie, dei costumi con le lettere attaccate, delle scene che si avvalgono di cubi luminosi anch’essi con stampate le lettere che aiutano a comporre le parole chiave dello spettacolo. Si evince però secondo noi quasi un interesse maggiore per la parte coreografica che per quella drammaturgica. Pensiamo infatti che ci sia qualche occasione mancata: si parla ad esempio della colpa, un argomento assai importante e complesso che andrebbe ben affrontato ma che in realtà non viene mai approfondito.  Le bambine si danno vicendevolmente la colpa di tutto ciò che avviene tra di loro ma non emerge mai una riflessione su questo aspetto. Addirittura la colpa diventa una cosa bella da possedere nel momento in cui una delle due sorelle la elogia e fa cenno di volersela tenere stretta e anche l’altra allora la vuole e la desidera. Diventa quindi un argomento vuoto che invece avrebbe potuto sviluppare il suo potenziale. Tutto lo spettacolo racconta un rapporto che ogni bambino e bambina vive quotidianamente con il mondo che li circonda ma non riesce ad andare oltre, non aggiunge secondo noi  una necessaria parte riflessiva che porterebbe  il bambino o la bambina a interrogarsi su quello che ancora non ha sperimentato oppure su cui non ha ancora riflettuto. Perché una delle protagoniste non deve desiderare la morte della sorella? Semplicemente perché non si fa. Nulla è spiegato, nulla ci racconta il percorso di quel “Scusa”. Anche le voci registrate dei genitori oltre ad essere aggressive e ciniche non aggiungono nulla allo spettacolo, forse quasi distraggono dal rapporto tra le due sorelle sul quale invece vorremmo concentrarci. Inoltre le bambine utilizzano l’una verso l’altra parole quali “Alzheimer” e “demente”, malattie come fossero ingiurie e anche questo non ha alcun ravvedimento, alcuna spiegazione che possa restituire il valore di quello che viene detto e fatto sul palco. Insomma nello spettacolo non viene sviluppato alcun perché ma soltanto un tant’è.





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IL LUNGO GIORNO DI MASTRO EZECHIELE/CONTROSENSOTEATRO

Ris-vegliare il ricordo. Questo ci ha regalato lo spettacolo “Il lungo giorno di Mastro Ezechiele” prodotto da Controsenso Teatro con Alberto Branca, Mastro Ezechiele, e Massimiliano Grazioli ovvero Giacomo Crisantemi. Dal cognome di quest’ultimo possiamo già immaginare dove ci troviamo: siamo in un cimitero e quelle che vediamo sono le tombe dei personaggi delle favole. Troviamo la tomba di Barbablù, quella del Grillo Parlante, quella della Regina di Biancaneve e la tomba del Lupo di Cappuccetto Rosso. Due personaggi, il custode del cimitero e l’apprendista sono i nostri protagonisti. Ed è proprio il nostro apprendista becchino che solleverà un problema: in cimitero ci si annoia. Non succede mai nulla. Sarà Mastro Ezechiele a dimostrare al nostro Crisantemi come il cimitero sia invece il luogo dove si tiene vivo il ricordo. Ogni tomba infatti ha una storia e la ripercorriamo con Mastro Ezechiele che la racconta al suo apprendista e a noi nella versione della fiaba originale. E improvvisamente tutti questi personaggi prendono vita e il cimitero diventa davvero il luogo del vivi-do ricordo. Il registro ironico racconta tutte le fiabe con grande leggerezza che strappa il sorriso restituendo però sempre il peso delle parole dette e dei pensieri che dietro si nascondono. Il finale raccoglie tutto quello che è stato seminato nello spettacolo: il ricordo non è un pensiero polveroso o antico, è invece cosa viva che ci consente di mantenere accanto a noi anche chi non c’è più e i cimiteri sono luoghi di narrazione perché sono pieni di storie e di memoria. E sarà proprio quando l’apprendista becchino rievocherà la filastrocca che la nonna sempre gli narrava che Mastro Ezechiele capirà che Giacomo Crisantemi è pronto per prendere il suo posto perché ha compreso il cuore pulsante di quel luogo. Lo spettacolo ha il profumo dell’artigianalità, di una drammaturgia ben scritta, dell’urgenza di raccontare qualcosa. La scena è molto efficace e pulita. Le tombe dei personaggi delle fiabe hanno ognuna la caratteristica che contraddistingue il suo o la sua occupante: una grande bocca per il Lupo, lo specchio e la corona per la Regina di Biancaneve, una barba blu che scende dalla torre di un castelletto per Barbablù e una grande “G” luminosa con un’antenna sul tetto per il Grillo Parlante. Gli attori sono bravissimi a mantenersi tra l’ironia che allarga il sorriso e la poesia che è propria del rimembrare, di quello sguardo al passato che diventa presente perché si materializza nel ricordo. Da questo spettacolo si esce riconciliati, ognuno con la propria storia e i propri lutti ma con uno strumento in più di consolazione.

LA PRIMA STORIA/TEATAR MJESEC

Un lavoro su un argomento complesso ma portato semplicemente, quello della compagnia Croata Teatar Mjesec che con “La prima storia” porta sul palcoscenico dell’auditorium delle scuole il Libro della Genesi. Un grande tavolo di truciolato coperto di segatura apre il grande gioco della creazione: sarà proprio da lì che l’indefinito si trasformerà in definito e prenderà la forma di piante e animali e infine dell’Uomo che inizialmente proverà a conoscere questo mondo di vegetali e di animali, troverà un suo modo per entrarci in relazione ma quando ognuno di loro troverà la compagnia del proprio simile l’Uomo rimarrà solo e comincerà a desiderare di trovare anch’egli la compagnia di qualcuno che gli assomigli. E sarà proprio dopo un lungo sonno che al suo risveglio si troverà accanto la Donna. Sarà felice di questo incontro e insieme andranno alla scoperta del mondo: saliranno sugli alberi, cavalcheranno gli animali, giocheranno con tutto ciò che trovano. Ma ci sarà quell’albero, l’unico albero il cui frutto non avrebbero dovuto toccare, che, com’è noto, li porterà al crollo da quel bellissimo paradiso che si ridurrà poi ad un cumulo di macerie sulle quali i nostri protagonisti rimarranno in bilico. E fin qui la storia è magistralmente raccontata con le immagini, le relazioni tra le sagome e poche parole e raccoglie gli sguardi interessati e stupiti del pubblico che vede trasformarsi da sotto quella segatura tutto l’universo che conosciamo. Lo spettatore attraversa momentaneamente il disappunto sulla figura della Donna che, come dice il Libro della Genesi, convince l’Uomo a mangiare il frutto dell’albero proibito diventando “colpevole” ma ecco che arriva quel finale che non ci aspettiamo e riapre tutto ad una lettura diversa: in bilico sul cumulo di distruzione che hanno creato mangiando il frutto proibito, Uomo e Donna si cercano, tentano di ritrovarsi, di unire le loro mani. E contemporaneamente dicono l’Uno all’Altra una sola parola: “Scusa”. Ci si alza dalla platea corposamente pensierosi. Ringraziando l’arte di saper raccontare e illuminare.

ROSSELLA MARCHI






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