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Eolo
recensioni
VIMERCATE DEI RAGAZZI FESTIVAL 2023
LE RECENSIONI DI MARIO BIANCHI,NICOLETTA CARDONE JOHNSON E SAMUEL ZUCCHIATI

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Dal 9 all'11 giugno ancora una volta Vimercate, la cittdina alle porte di Milano  ha ospitato la nuova edizione del Vimercate Festival dei Ragazzi con la direzione artistica, organizzativa e tecnica a Campsirago Residenza, delleAli Teatro, Teatro Invito e ArteVOX Teatro, con i suoi classici tre giorni di teatro, laboratori, arte di strada, giochi e letture dedicati ai piccoli spettatori e alle piccole spettatrici.
La manifestazione è stata anche come da trent'anni a questa parte l’occasione per riunire operatori ed operatrici del settore, bambini e bambine, ragazzi e ragazze e la cittadinanza tutta intorno a spettacoli teatrali e laboratori artistici dedicati al pubblico dei più giovani.
Una nuova edizione che, sulla scia delle precedenti, ha sempre più privilegiato gli spazi all’aperto, la piazza, il contatto con la natura e i parchi, per favorire un rapporto con il pubblico più ravvicinato, intimo, complice e coinvolgente. Molti degli spettacoli infatti sono stati ambientati soprattutto nella bellissima cornice di Parco Gussi ma anche nelle piazze e nei cortili della città, ad eccezione di due spettacoli allestiti in un luogo chiuso.

Il Vimercate dei Ragazzi festival ha presentato 2 debutti nazionali e un’anteprima, 14 titoli che spaziano tra danza, prosa, circo, teatro in natura e happening di teatro partecipato .

Di curiosa e interessante sostanza l’opera d’arte partecipata InVOLO, un’installazione di oltre 150 uccelli di metallo e smalto che hanno abbellito la facciata del Ristorante Dima Bistrot di Via Crocefisso. InVOLO è stata realizzata da centinaia di bambine e bambini della città di Vimercate, guidati dall’artista Rossana Maggi di ArteVOX, frutto di un ricco percorso di laboratori, incontri e scambi durato 12 mesi.
Il progetto è stato realizzato con il contributo di Brianza Acque, di Fondazione di Comunità Monza e Brianza e del Comune di Vimercate, Giovanardi srl che si è occupata della realizzazione tecnica dell’opera.
Il Festival è stato concluso da una grande parata cittadina, momento culmine del Laboratorio “Lo Stormo itinerante” a cura di Kalligeneia Teatro dove i partecipanti dopo tre giorni di workshop hanno esposto per le vie della città le sculture di uccelli da loro realizzati sotto la direzione dell’artista Matteo Raciti, utilizzando materiali poveri come carta, colla e bambù.
Tra gli altri laboratori curiosi il laboratorio Pop del coreografo Nicola Galli, un gioco di esplorazione del movimento e delle possibilità motorie del corpo condiviso con il pubblico dell’infanzia e quello dei lecchesi di  Taiko  dove genitori e figli insieme si sono messi in gioco per imparare a coniugare il suono e il ritmo al movimento e alla voce.
Alcuni gli spettacoli su cui Eolo ha già posto il suo sguardo : “ Farfalle” di Principio Attivo con Otto Marco Mercante, spettacolo composto da tre fiabe che hanno come tema principale la trasformazione, “ Lear e il suo Matto” dove Luca Radaelli con il suo corpo e la sua voce di attore si mette poeticamente in relazione con i burattini di Walter Broggini per narrarci la terribile e triste storia di re Lear raccontata da William Shakesperare, “Miss Lala al Circo Fernando/in a Room durante il quale la straordinaria Marigia Maggipinto, danzando, ci offre ricordi sulla sua collaborazione con la grande Pina Baush, Cappuccetto Rosso dai racconti di Sibylla degli Zaches a cui Samuel Zucchiati concederà un nuovo sguardo e Chiaro di Terra nei Giardini dove Flavia Bussolotto del TAM immerge i bambini nell'incanto della costruzione di un giardino.
Presenti ovviamente anche il Circo con i francesi CIA Rampante e L'happening con Prospero di Stalkerteatro.


Vince il Premio assegnato dalla giuria - composta da dodici ragazzi e ragazze dagli 8 ai 15 anni - Simona Gambaro per lo spettacolo IL VOLO, con la seguente motivazione:
Simona interpreta magistralmente un personaggio al confine tra realtà e fantasia capace di far ridere, commuovere e scatenare emozioni con le ali!
Lo spettacolo è curato con amore in ogni minimo dettaglio e sprigiona una bellezza fuori dal comune. Metafora del tempo che scorre, dell'importanza di saper ascoltare gli amici e della scoperta di chi siamo e di cosa possiamo diventare, lo spettacolo ci ha fatto viaggiare nella storia come se ne facessimo parte attiva e ci ha rapiti tutti dal primo istante!

Ora qui gli sguardi diversi di Mario Bianchi, Nicoletta Cardone Johnson, special Guest Marco Cantori su alcuni degli altri presentati al Festival. Samuel Zucchiati che ha partecipato al corso di Critica teatrale organizzato da Hystrio e Demetra in collaborazione con Assitej ha raccolto le sue osservazioni su altri tre spettacoli

HOME SWEET HOME-CAPITOLO 3
SCOIATTOLO E LEO
Roberto Capaldo


In questa terza avventura del progetto, "Home sweet home ", di Roberto Capaldo, sul tema della casa, con protagonista un piccolo scoiattolo che di nome fa Scoiattolo, l'ambiente che fa da sfondo alla vicenda non è più il bosco ma la città. Nella prima Scoiattolo si metteva in cerca della casa giusta, nella seconda invece si metteva alla ricerca di un ipotetico intruso che si aggirava vicino alla sua, scoprendo con disagio che le orme incriminate erano proprio le sue. Raccontava tutto ciò agli spettatori più piccoli, grazie anche alle luci di Iro Suraci e la drammaturgia e le musiche originali di Roberto Vetrano.
Qua invece in questa terza avventura dedicata ai ragazzi e alle ragazze, protagonista, come detto, non è più il bosco ma la città . È lá che si avventura il nostro Scoiattolo per ritrovare il suo amico Leo, non un leone o un altro animale, ma un vero e proprio bambino, di cui durante l’estate è diventato molto amico. Ma arrivato l’autunno Leo, con l’inizio della scuola, non si fa più vedere ed è per questo che Scoiattolo decide di avventurarsi in città nella speranza di trovarlo. Ma dove trovarlo in uno spazio così grande, di cui non conosce i confini, come farlo in un mondo popolato dai feroci Umani e dalle loro macchine infernali che non si fermano davanti a niente? L’unica possibilità per il nostro Scoiattolo sarà fidarsi di altri animali, alleandosi con quelli che troverà sul suo cammino. È così che appena arrivato in quell'ambiente ostile che è la città si dovrà subito misurare con dei Topi, capitanati da un Capo Topo che la sa davvero lunga, che in cambio di una promessa di facile cibo lo aiuteranno nell’impresa, a cui si aggiungeranno dei Piccioni, anch'essi accomunati dalle stesse urgenze e necessità. Ci avventureremo dunque in un universo dove gli animali la fanno da padroni, che scopriremo poi molto simili agli esseri umani che ci appaiono invece lontani, tutti presi dalla loro quotidianetà. E dopo tante avventure scopriremo che Leo non è sparito, ma ha solo una fastidiosa varicella che lo tiene lontano da tutti. Capaldo, seduto su una semplice sedia, imbastisce un suggestivo racconto, impastato di Dickensiana memoria, in cui regna sovrana l'amicizia, dove il pubblico prescelto può facilmente immergersi, scorgendo davvero vivi, in mezzo alle parole del raccontatore, tutti i protagonisti, quelli animali e quelli umani, nel loro continuo affannarsi per rendere la loro vita migliore.

3PIGS /COSA E CASA
Campsirago residenza

E se invece di tre porcellini, protagoniste della celebre fiaba, pare di origine inglese, siano tre sorelle porcelline ? E perchè no? Ed è così che in scena nello spettacolo, senza pronunciar parola, vediamo in modo credibilissimo muoversi proprio tre porcelline in carne ed ossa, Barbara Mattavelli, Benedetta Brambilla, Sara Milani. Su drammaturgia di Sofia Bolognini, accompagnate gioiosamente dalle musiche di Luca Maria Baldini, le nostre nuove protagoniste della fiaba si muovono in scena attraverso un gioco in cui i celebri materiali delle case dei loro fratelli più famosi sono ora la paglia, il legno e la terra, biogradabili anche, assai più fragili è vero, ma che si adattano forse teatralmente meglio a diventare essi stessi parte di questa nuova e curiosa avventura. Le nostre tre porcelline fanno molta fatica a costruire le loro case con quei materiali così instabili ed evanescenti che ogni volta cascano, ma con loro sul palco ci giocano, rimandando ai piccoli spettatori il ricordo del grano con cui è fatto il pane, la consistenza soffice della terra da cui nascono i fiori, la forza umile del legno che può sorreggere ogni cosa anche senza le pareti. 3 pigs diretto con divertita e divertente ironia da Anna Fascendini, utilizzando anche il teatro di figura (gli oggetti scenici e le marionette sono Mariella Carbone) con l'apparizione di tre piccoli maialini, una scrofa e un lupo, la cui presenza ovviamente incombe su tutto lo spettacolo, risulta alla fine un gradevolissimo pastische che rimanda in modo gioioso  e intelligente al celebre archetipo fiabesco, aggiungendone nuovi significati.

MARIO BIANCHI



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LA STORIA DI NICOLA CHE NON VOLEVA ANDARE A SCUOLA
Una produzione CSS Teatro stabile di innovazione del FVG


Brevemente la storia, tratta da una fiaba, che si trova sia nella raccolta delle Fiabe Italiane di Italo Calvino, sia nella raccolta di Fiabe Russe di Afanasjev, sia nella raccolta dei Fratelli Grimm  che narra di un bambino, additato da tutti come uno scansafatiche perché non vuole andare a scuola ma che riuscirà con la sua intelligenza a sconfiggere un mago potente e malvagio.
Il filo conduttore della storia – per altro chiara, anche se non semplicissima – è soprattutto a supporto della bravura di Roberto Anglisani, che interpreta efficacemente una pletora di personaggi con caratteristiche peculiari. Così vediamo il padre di Nicola, contadino pugliese, che si trasforma nel vecchio Mago malvagio e subdolo; Nicola, il ragazzino protagonista, che si trasforma in tanti e diversi animali (mirabile il pesce che nuota, senza peso, nell’acqua scura del lago: Anglisani riesce a trasmetterci anche i colori con la sua narrazione!); la Principessa capricciosa prendere le sembianze di medici di diverse nazionalità; il Re malandato diventare il Mago malvagio…
Le situazioni drammatiche che caratterizzano a tratti la storia, vengono stemperate dalla comicità di alcune battute (alcune più godibili dal pubblico degli adulti - e degli operatori, in questo caso - che dal giovane pubblico) e dall’interpretazione dell’attore che, come sempre, predilige il supporto della sua fisicità per diversificare i personaggi. La musica – composta ed eseguita dal vivo da Francesco Bertolini - sebbene in un paio di momenti ci pare preponderante sul testo, si inserisce perfettamente nella narrazione, sottolineando lo svolgersi delle azioni, creando così omogeneità tra i diversi linguaggi.
Uno spettacolo ricco di leggerezza nel messaggio sottile che riesce a trasmettere : l’importanza della fiducia in se stessi, del non lasciarsi abbattere dai giudizi altrui, del coraggio e della perseveranza.
Il Festival di Vimercate ci ha proposto un Roberto Anglisani diverso da quello che siamo abituati a conoscere: leggero, divertente e coinvolgente. Coinvolgente soprattutto nel senso letterale del termine: ha portato il pubblico sul palco ( quattro bambine: ancora una volta a sottolineare quale sesso accetti più facilmente di mettersi in gioco…) per condividere, generosamente, un pezzettino della propria interpretazione della storia. Non si era mai visto.

NICOLETTA CARDONE JOHNSON


IL DRAGO A SETTE TESTE
Teatro dell'Orsa

Abbiamo chiesto ad un narratore di razza come Marco Cantori di restituirci il suo sguardo sullo spettacolo dei colleghi del Teatro dell'Orsa.

ll Teatro dell’Orsa ha presentato “Il drago dalle sette teste”, spettacolo itinerante andato in scena nel Parco di Villa Sottocasa, rivolto ad un pubblico a partire dai 5 anni. Il percorso narrativo-musicale s’ispira all’omonima fiaba italiana che ritroviamo nella raccolta di Italo Calvino e in cui si racconta la storia di un pesce incantato, catturato da un pescatore, dei suoi tre figli cavalieri, di una principessa da salvare dal Drago a Sette Teste e di una vecchia strega, che riesce a trasformare le persone in statue.
La regia di Bernardino Bonzani e Monica Morini si sviluppa nella profondità dello spazio che i giovani spettatori devono attraversare, varcando inizialmente la soglia: una tenda che introduce al sentiero fantastico. In lontananza le note di un clarinetto richiamano gli spettatori, mentre gli interpreti sussurrano nelle loro orecchie delle domande iniziatiche: “Ti fidi del tuo nome?”, “Ti fidi dei tuoi passi”?.
In scena, oltre al musicista Gaetano Nenna, ci sono Bernardino Bonzani, Monica Morini, Lucia Donadio, Chiara Ticini, che, oltre a narrare la storia, ne scandiscono le vicende con cori vocali e ritmici, frutto della drammaturgia sonora di Antonella Talamonti. Cori semplici e stimolanti in cui viene coinvolto il pubblico: “Cane, cavallo, spada, schioppo. Galoppo! Galoppo!”
Una proposta che, prendendo spunto da una fiaba tradizionale, risveglia il valore rituale e partecipativo del teatro rivolto ai giovani spettatori (e non solo), immersi nella magia della storia. Le essenziali scenografie sono di Franco Tanzi, mentre la ricerca alla drammaturgia è stata affidata ad Annamaria Gozzi

MARCO CANTORI

AMANDINA
NOEMI BRESCIANI
Di e con Noemi Bresciani
Produzione Fattoria Vattadini
Testi Sofia Bolognini
Con il sostegno di Campsirago Residenza


Noemi Bresciani interpreta Amandina, una bambina dal carattere schivo e timido. Sembra far fatica a interagire con l'altro (il pubblico) e preferisce giocare da sola con le cravatte di papà. Il gioco continua e si trasforma fino a diventare sempre più il gioco del teatro ed è proprio grazie al teatro che Amandina può giocare con la sua timidezza. Non si trasformerà in una bambina spavalda e istrionica. Riuscirà invece a vedere la sua timidezza come qualcosa che non sia un ostacolo. Anche se ritrosa potrà condividere con il pubblico i suoi talenti e gli altri aspetti della sua personalità.
Un gioco scenico a tratti lento costruito per un pubblico dai 3 agli 8 anni, anche se consiglieremmo di non andare oltre i 6. Sembra evidente che buona parte delle energie del processo creativo sia stata usata per esplorare la timidezza e le possibilità di Amandina nell'affermarsi nel mondo. Scopriamo che Amandina è una grande osservatrice, è riflessiva, è un'ottima ascoltatrice, modesta nonostante la grande creatività. Riesce a farsi pochi amici (dal pubblico) ma buoni.
Così facendo capiamo che il tentativo è di insegnare che tutti i timidi hanno qualità nascoste.
Lo spettacolo possiede una drammaturgia molto semplice che a nostro avviso si fa più coinvolgente nella seconda metà della messa in scena, quando i giochi con gli oggetti si concretizzano in un piccolo teatrino fatto di cravatte dove le mani di Amandina debuttano e dove decide di condividere la ribalta con i nuovi amici del pubblico. Prima a nostro modo di vedere presenta diverse lentezze e vicoli ciechi che non portano la performance a strutturare significati e immagini abbastanza forti. Sembra quasi che l'attrice stia cercando di creare una specie di suspance prima che arrivi qualcosa di interessante mentre per noi il tentativo rischia di creare solamente invece una pura attesa.
Con la moltitudine di oggetti che Noemi Bresciani ha in scena, potrebbe arricchire meglio la prima parte dell'inno alla timidezza di Amandina architettando un percorso che parta dalla timidezza, prosegua con l'esplorazione, affondi in piccole creazioni che possano rendere più interessante l'inizio della performance.
D'altronde investire nel teatro d'oggetti non è mai tempo perso, perchè permette di collezionare davvero molti alleati e Amandina potrà così vivere attraverso le cose che ha disposizione nella sua stanza, diventare una burattinaia della sorte di piccoli oggetti-personaggi da cui prenderà a prestito le emozioni per sfuggire alla solitudine.

WONDERME
Progetto e regia di Ketti Grunchi
Con Francesca Bellini e Delfina Pevere

La scelta di mettere in scena questo spettacolo sotto a un pino centenario del parco sottocasa ha sicuramente contribuito a dare senso di meraviglia e stupore. La meraviglia ha continuato a essere protagonista del racconto progettato da Ketti Grunchi, anche se secondo noi  sono pochi i momenti in cui questo meccanismo, fatto di meraviglia e stupore, è compiutamente espresso.
Siamo accolti in uno spazio circolare e già inizia la magia. Un fantastico cerchio di rametti ricorda la pista del circo e subito mi vien da pensare che il processo creativo si potrebbe essere ispirato alla forma circense che fa leva sulle emozioni semplici e sulla meraviglia, appunto riguardo all'esotico e all’insolito. In questo caso forse l'esotico è la natura che ci circonda.
Dopo un breve approccio al pubblico le due attrici Francesca Bellini e Delfina Pevere mostrano 2 personaggi che reagiscono ad ogni cosa come se la vedessero per la prima volta: pigne, foglie, rami, nuvole. Persino sensazioni o emozioni sono provate per la prima volta e cercano di guidare le due protagoniste nel gioco e anche nella scoperta dell’altra.
Non ci convince molto però sino in fondo la scelta di non portare questo gioco drammaturgico e scenico fino alle sue conseguenze più lontane. La meraviglia secondo noi  viene raccontata ma poi non è esplorata fino alla fine. Dove potrebbe portare il continuo stupirsi di tutto ciò che non conosciamo? Che ruolo ha la meraviglia nella crescita e nella conoscenza di noi stessi?
La meraviglia dovrebbe essere protagonista suprema nella messa in scena, vista la denuncia del titolo. Essa è però messa spesso in pausa. Prima dovrebbe avvenire per costruirsi una casa che poi invece giocherà una funzione marginale nella storia. Infatti in quella casa non torneremo più e non peserà sui nostri destini. Poi la meraviglia per ciò che ci circonda viene dirottata su un hang, strumento musicale che produce suoni davvero poetici. Man mano il pubblico di bambini viene invitato ad entrare nel cerchio per fare esperienza dell'hang al centro della pista e a ognuno di loro nell'attesa  viene consegnatoun mini-hang.
Siamo partiti dallo stupirci su tutto ciò che la natura offre e poi ci siamo concentrati soprattutto sui suoni di questo strumento dal raffinato design? Forse secondo noi è troppo poco. Il pino centenario e la natura che rappresenta, sono passati troppo  in secondo piano.

I RACCONTI DI SIBYLLA - CAPPUCCETTO ROSSO /ZACHES TEATRO
Regia e drammaturgia Luana Gramegna

Con Enrica Zampetti

Una ricercatrice, una naturalista. E' il personaggio evidentemente ispirato a Maria Sybilla Merian che esplora il bosco per trovare importanti esemplari per la sua collezione di bruchi particolari e rarità della natura. Li dispone in una teca portatile accanto ai fagioli di Jack e alle ghiande appartenute ai tre porcellini. E qui la scienziata e illustratrice diventa narratrice e custode di storie fiabesche.
Eccitatissima, sembra aver trovato un rarissimo bruco dalla pelle rubescente e, sorpresa delle sorprese, è un filo. Un filo di lana rossa. Un filo di lana rossa coperto dagli aghi di pino e il terriccio che porta fino a... un piccolo cappuccetto rosso. Inizia la storia della famosa bambina e, in prossimità di un ceppo di legno, si alza una minuscola cappuccetto rosso alta una spanna e nulla più. Una piccola bimba che esplora una foresta pericolosa, misteriosa e meravigliosa.
Ovviamente entra in scena il lupo che da prima è sotto forma di testa-pupazzo, usato anche in un altro cappuccetto rosso di Zaches, poi piccolo lupo a misura di bambina-alta-tre-mele-o-poco-più. Vista la recente esperienza con altri animali nel bosco sembra che ci si possa fidare di questo nuovo amico, ma si dimostrerà una scelta fatale. Il lupo la precede, mangerà la nonna e poi lei. Fine.
Non c'è un lieto nel finale del racconto di Sibylla. Non intervengono cacciatori o salvataggi all'ultimo minuto. La bambina e la nonna pagano il prezzo della loro superficialità e tutti si spegne con il ricordo di una macchia di sangue su un fazzoletto.
Lo spettacolo sfrutta perfettamente gli elementi naturali, nascondendo tecniche, fili e ammennicoli vari. Persino la musica sembra provenire dal bosco e non dalle casse nascoste dietro il tronco dell'imponente albero che fa da scatola scenica e i cui rami sono a tratti sipario e a tratti perfetto arlecchino.
Un cappuccetto rosso reso immensamente poetico grazie al teatro di figura, con i movimenti della bambolina tecnicamente curati (non possiamo dire lo stesso del lupo). Un cappuccetto rosso dal sapore gothic e con un pizzico di "gore" grazie a una goccia o due di sangue. Non ha guastato e il pubblico se lo è gustato.

SAMUEL MAVERICK ZUCCHIATI

IN UN SUCCESSIVO MOMENTO EOLO PUBBLICHERA' ANCHE LE RECENSIONI DEI BAMBINI DELLA REDAZIONE DEL FESTIVAL NEL PROGETTO DI ARTEVOX "ORA TOCCA A ME", SOSTENUTO DA FONDAZIONE CARIPLO
































AMANDINA
NOEMI BRESCIANI
Di e con Noemi Bresciani
Produzione Fattoria Vattadini
Direzione tecnica e disegno luci Andrea Rossi
Costumi Stefania Coretti
Testi Sofia Bolognini
Voce Stefano Bresciani
Sound Design Diego Dioguardi
Violoncello Manele Marani
Ispirato all'omonimo libro di Sergio Ruzzier
Con il sostegno di Campsirago Residenza

Noemi Bresciani interpreta Amandina, una bambina dal carattere schivo e timido. Sembra far fatica a interagire con l'altro (il pubblico) e preferisce giocare da sola con le cravatte di papà. Il gioco continua e si trasforma fino a diventare sempre più il gioco del teatro ed è proprio grazie al teatro che Amandina può giocare la sua timidezza. Non si trasformerà in una bambina spavalda e istrionica. Riuscirà invece a vedere la sua timidezza come qualcosa che non sia un ostacolo. Anche se ritrosa potrà condividere con il pubblico i suoi talenti e gli altri aspetti della sua personalità.
Un gioco scenico a tratti lento costruito per un pubblico dai 3 agli 8 anni, anche se consiglio di non andare oltre i 6. Sembra evidente che buona parte delle energie del processo creativo sia stata usata per esplorare la timidezza e le possibilità di Amandina nell'affermarsi nel mondo. Scopriamo che Amandina è una grande osservatrice, è riflessiva, è un'ottima ascoltatrice, modesta nonostante la grande creatività. Riesce a farsi pochi amici (dal pubblico) ma buoni.
Così facendo capiamo che il tentativo è di insegnare che tutti i timidi hanno qualità nascoste.
E' di certo un merito visto che un carattere timido è per lo più descritto inadeguato e non funzionale alla società. Il timido sembra per lo più condannato a invidiare chi timido non lo è. Un grazie quindi a Fattoria Vittadini per la scelta di investire su un aspetto della personalità che interessa tra il 27 e il 60% degli individui a seconda del paese di origine.
Una drammaturgia molto semplice che carbura nella seconda metà della messa in scena, quando i giochi con gli oggetti si concretizzano in un piccolo teatrino fatto di cravatte dove le mani di Amandina debuttano e dove decide di condividere la ribalta con i nuovi amici del pubblico. Rimane la prima parte dello show che presenta diverse lentezze e vicoli ciechi, senza arrivare a un dunque o a strutturare significati o immagini abbastanza forti. Sembra quasi che l'attrice stia cercando di creare una specie di suspance prima che arrivi qualcosa di interessante, anche se, lo sappiamo benissimo, la suspance si crea nel momento in cui qualcosa di interessante sta già accadendo ma è velata dall'impossibilità di sapere cosa sia. Qui il tentativo rischia di creare invece una pura attesa.
Forse Andersen potrebbe essere di aiuto, con la sua novella dal titolo La stanza dei bambini del 1865: Gli attori non mancano mai, se si prende quel che si trova - disse il padrino - Ora costruiamo un teatro. Qui mettiamo un libro, qui un altro e un altro ancora, di sghembo. E ora tre sull'altro lato, ed ecco che abbiamo le quinte! Quella vecchia scatola che c'è lì, può fare da telone di fondo.
Una pipa scassata e un guanto spaiato sono i primi personaggi di quella commedia e il resto vien da sé. Forse, con la moltitudine di oggetti che la Bresciani ha in scena, potrà arricchire la prima parte dell'inno alla timidezza di Amandina architettando un percorso che parta dalla timidezza, prosegua con l'esplorazione, affondi in piccole creazioni che si complessifichino fino all'opera finale che è tanto piaciuta al pubblico.
D'altronde investire nel teatro d'oggetti non è mai tempo perso, perchè permette di collezionare davvero molti alleati e Amandina potrà così vivere attraverso le cose che ha disposizione nella sua stanza, diventare una burattinaia della sorte di piccoli oggetti-personaggi da cui prenderà a prestito le emozioni per sfuggire alla solitudine.

WONDERME
Progetto e regia di Ketti Grunchi
Con Francesca Bellini e Delfina Pevere

La scelta di mettere in scena questo spettacolo sotto a un pino centenario del parco sottocasa ha sicuramente contribuito a dare senso di meraviglia e stupore. La meraviglia ha continuato a essere protagonista del racconto progettato da Ketti Grunchi, anche se secondo noi non sono pochi i momenti in cui questo meccanismo fatto di meraviglia e stupore si è inceppato.
Siamo accolti in uno spazio circolare e già inizia la magia. Un fantastico cerchio di rametti ricorda la pista del circo e subito mi vien da pensare che il processo creativo si potrebbe essere ispirato alla forma circense che fa leva sulle emozioni semplici e sulla meraviglia, appunto. per l’esotico e l’insolito. In questo caso l'esotico è la natura che ci circonda.
Dopo un breve approccio al pubblico le due attrici Francesca Bellini e Delfina Pevere mostrano 2 personaggi che reagiscono ad ogni cosa come se la vedessero per la prima volta: pigne, foglie, rami, nuvole. Persino sensazioni o emozioni sono provate per la prima volta e cercano di guidare le due protagoniste nel gioco e anche nella scoperta dell’altra.
Non mi convince molto però la scelta di non portare questo gioco drammaturgico e scenico fino alle sue conseguenze più lontane. La meraviglia viene raccontata ma poi non è esplorata fino alla fine. Dove potrebbe portare il continuo stupirsi di tutto ciò che non conosciamo? Che ruolo ha la meraviglia nella crescita e nella conoscenza di noi stessi?
La meraviglia dovrebbe essere protagonista suprema nella messa in scena, vista la denuncia del titolo. Essa è però messa spesso in pausa. Prima per costruirsi una casa che poi giocherà una funzione marginale nella storia. Infatti in quella casa non torneremo più e non peserà sui nostri destini. Poi la meraviglia per ciò che ci circonda viene dirottata su un hang, strumento musicale che produce suoni davvero poetici. Man mano il pubblico di bambini viene invitato ad entrare nel cerchio per fare esperienza dell'hang al centro della pista. Siamo partiti dallo stupirci su tutto ciò che la natura offre e poi ci siamo concentrati solamente su questo strumento dal raffinato design. Il pino centenario e la natura che rappresenta, sono passati in secondo piano.
Nell'attesa che un bambino alla volta faccia esperienza di questo curiosissimo attrezzo musicale vengono anche consegnati dei mini-hang. In questo modo l'attesa per il proprio turno per entrare nel cerchio a suonare quello più grande diventa più sostenibile.

I RACCONTI DI SIBYLLA - CAPPUCCETTO ROSSO
Regia e drammaturgia Luana Gramegna
Scene, costumi, luce e ombre Francesco Givone
Musiche originali Stefano Ciardi
Attrice Enrica Zampetti
Assistente alla regia, tecnico audio e luci Gianluca Gabriele
Assistente scene, costumi e ombre Alessia Castellano
Costumi Giulia Piccioli
Produzione Zaches Teatro



Una ricercatrice, una naturalista. E' il personaggio evidentemente ispirato a Maria Sybilla Merian che esplora il bosco per trovare importanti esemplari per la sua collezione di bruchi particolari e rarità della natura. Li dispone in una teca portatile accanto ai fagioli di Jack e alle ghiande appartenute ai tre porcellini. E qui la scienziata e illustratrice diventa narratrice e custode di storie fiabesche.
Eccitatissima, sembra aver trovato un rarissimo bruco dalla pelle rubescente e, sorpresa delle sorprese, è un filo. Un filo di lana rossa. Un filo di lana rossa coperto dagli aghi di pino e il terriccio che porta fino a... un piccolo cappuccetto rosso. Inizia la storia della famosa bambina e, in prossimità di un ceppo di legno, si alza una minuscola cappuccetto rosso alta una spanna e nulla più. Una piccola bimba che esplora una foresta pericolosa, misteriosa e meravigliosa.
Ovviamente entra in scena il lupo che da prima è sotto forma di testa-pupazzo, usato anche in un altro cappuccetto rosso di Zaches, poi piccolo lupo a misura di bambina-alta-tre-mele-o-poco-più. Vista la recente esperienza con altri animali nel bosco sembra che ci si possa fidare di questo nuovo amico, ma si dimostrerà una scelta fatale. Il lupo la precede, mangerà la nonna e poi lei. Fine.
Non c'è un lieto nel finale del racconto di Sibylla. Non intervengono cacciatori o salvataggi all'ultimo minuto. La bambina e la nonna pagano il prezzo della loro superficialità e tutti si spegne con il ricordo di una macchia di sangue su un fazzoletto.
Lo spettacolo sfrutta perfettamente gli elementi naturali, nascondendo tecniche, fili e ammennicoli vari. Persino la musica sembra provenire dal bosco e non dalle casse nascoste dietro il tronco dell'imponente albero che fa da scatola scenica e i cui rami sono a tratti sipario e a tratti perfetto arlecchino.
Un cappuccetto rosso reso immensamente poetico grazie al teatro di figura, con i movimenti della bambolina tecnicamente curati (non possiamo dire lo stesso del lupo). Un cappuccetto rosso dal sapore gothic e con un pizzico di "gore" grazie a una goccia o due di sangue. Non ha guastato e il pubblico se lo è gustato.

SAMUEL MAVERICK ZUCCHIATI







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