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Eolo
recensioni
GIOCATEATRO 2023 A TORINO
IL REPORT DI MARIO BIANCHI IN COLLABORAZIONE CON ROSSELLA MARCHI E UNA RECENSIONE DI LAURA ROTTOLI

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Dal 19 al 21 aprile si è svolta alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino la ventisettesima edizione del “Giocateatro”’, il festival di teatro per le nuove generazioni che quest’anno, con la direzione artistica di Emiliano Bronzino, ha presentato al pubblico degli operatori 15 spettacoli, selezionati tra oltre cento candidature provenienti da tutta Italia. Qui abbiamo rivisto con piacere il significativo spettacolo su Liliana Segre “Fino a quando la mia stella brillerà” testo scritto da Daniela Palumbo, prodotto da La Piccionaia con in scena Eleonora Panizza diretta da Lorenzo Marangoni. Tra gli spettacoli il racconto condotto in lingua inglese dal sempre ottimo David Remondini “The strange case of Mr. Stevenson” una narrazione dedicata a ragazzi e ragazze delle scuole superiori, che entra nei meandri della mente del famoso autore dando vita ai suoi personaggi. Lo spettacolo, presentato dal Teatro del Buratto, continua così la sua linea produttiva creata da Laura Pasetti dedicata al Teatro in Inglese.
Tra le iniziative formative si è tenuto il “Chain Reaction Dialogues” una delle attività più caratterizzanti di “Reazione a Catena”, il progetto nato nel 2019 in seno al tavolo dei festival di Assitej Italia che ha l’obiettivo di mettere in contatto i direttori artistici dei festival di Teatro per le nuove generazioni e gli operatori del nostro paese con alcune delle realtà estere più interessanti che operano nel campo del teatro per l’infanzia e la gioventù.
Una edizione del Giocateatro per nuove creazioni ricche di molti stimoli a volte anche troppi e non ben orchestrati e di sperimentazioni ancora spesso da registrare: ben vengano comunque azzardi benefici che portino il teatro ragazzi verso direzioni non ancora o poco visitate. Ci colpisce come sempre maggiormente riscontriamo difficoltà drammaturgiche insite in diversi spettacoli, e come spesso le creazioni più riuscite siano ancora una volta narrazioni di artisti che hanno confermato il loro estro e la loro capacità in questa particolare forma di linguaggio.




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NARRAZIONI

Q COME SQUOLA/ COMPAGNIA CHIEREGATO/GUIDOTTI

Sarà forse un caso ma il teatro ragazzi italiano ha ricominciato a parlare di scuola e di come l’insegnamento in generale debba ripartire dalle esigenze culturali in stretto rapporto con quelle sociali dei ragazzi e delle ragazze. Dopo i significativi spettacoli “Fuori classe” della Pulce, “Gli Equilibristi” del Teatro dell’Argine, “E la felicità prof?” dei Teatri di Bari e la creazione dei bellunesi di Tib Teatro dedicata ad Alberto Manzi, il Maestro d’Italia della celebre trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi”, abbiamo assistito con piacere e curiosità a “Q come scuola” una nuova creazione che, attraverso il disagio disobbediente di un’adolescente, mette il dito nella piaga di un’istituzione immutabile. Abbiamo del resto sperimentato anche noi per oltre vent'anni come la scuola sia spesso indietro con i tempi che corrono molto più veloci di lei e come gli alunni non si sentano per nulla a loro agio in un luogo dove le loro esigenze non sono rappresentate a dovere e dove le regole dell'apprendimento non adempiono minimamente alla loro funzione.
Scritto e diretto da Luca Chieregato, nello spettacolo Rossella Guidotti interpreta, con naturalezza e senza artifici, Giovanna un'adolescente all’apparenza respingente, anche per ragioni che scopriremo essere molto personali, refrattaria ad ogni tipo di regola e che non ama la scuola perché tra i banchi, invece di apprendere, ha imparato ad annoiarsi terribilmente. Scopriremo, andando avanti nella narrazione, che Giovanna è invece una ragazza responsabile e nel suo piccolo anche matura. Vedremo infatti, tra una disavventura e l'altra e tra una sospensione con mattinata trascorsa nell’ufficio del preside e una visita notturna nella scuola, che quando sarà scelta dal comitato studentesco per rappresentare gli studenti, si troverà pronta a dettare nuove regole, stimolando anche i compagni più riottosi a cercare di rinnovare almeno qualcuno dei dettami che impediscono alla scuola di essere in sintonia con dei giovani esseri umani che hanno bisogno di crescere, essendo consapevoli di far parte di un mondo più grande di loro. Così “Q come scuola” oltre che scattare una fotografia impietosa sull'istituzione scuola, riesce anche ad essere un diario molto personale di un'adolescente, ad un certo punto rimasta sola, alla conquista di una sua personale e autonoma identità in cui i ragazzi possano identificarsi.

SASSO / SOLARES FONDAZIONE DELLE ARTI

Alla candida Gelsomina nel film di Fellini “La strada” il Matto, che di mestiere fa il funambolo, prendendo un semplice sassolino per terra  ribadisce come anche le piccole cose abbiano nel mondo la loro enorme importanza. “Non lo so a cosa serve questo sasso, ma a qualcosa deve servire. Perché se tutto è inutile, allora è inutile tutto. Anche le stelle, almeno credo…”. Il maestro di teatro Maurizio Bercini, con le parole della fida Marina Allegri, ancora una volta nel suo modo fervido di suggestioni apparentemente strampalato e sfuggente di fare teatro che mescola poesia, utilizzo immaginifico degli oggetti , teatro di figura e musica (parafrasando anche Gianni Rodari che aveva visto in un sasso, gettato in uno stagno con tutto quello che riesce a smuovere, possibilità di meraviglie), partendo da un semplice sasso, compone una appassionata narrazione intorno a questa minuscola parte del mondo. Perchè, come fa il sasso nell’acqua, così questa parola, apparentemente insignificante, permette a Bercini di girovagargli intorno, creando suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni. Ricordi come quando il nostro narratore era piccolo e il sasso riusciva a tenerlo in un pugno, mentre ora che è diventato un uomo si perde nella sua mano. E così, se il sasso serve per rompere le noci e ci serviva per rompere i vetri alle finestre e poi scappare quando eravamo piccoli, immensamente più grande diventa la luna che ci guarda da lontano che il Mago Bercini con semplicissimi mezzi riesce a far comparire sul palco. E similmente ci dice che anche il Pianeta dove viviamo è un gande sasso che dobbiamo imparare a rispettare anche se il sasso non è come noi: noi sperimentiamo la morte mentre lui vive in eterno. Nel fiume in piena delle parole di Bercini vi è posto anche per un ballo con una grande burattina, prima di andarsene dal palco, illuminandosi e stringendo fieramente nel pugno quel sasso da cui può nascere persino una rivoluzione. Servì anche agli Ebrei per sconfiggere i Filistei: con la sua fionda il piccolo Davide sconfisse il gigante Golia.

KIRGHIZISTAN BOY/ PANDEMONIM TEATRO/ TIB

Walter Maconi in “Kirghizistan Boy”, coraggiosa coproduzione di Pandemonium teatro di Bergamo e TIB di Belluno, diretto da Daniela Nicosia che ne scrive anche il testo, traendolo dal romanzo “Continuare” di Laurent Mauvigner, in modo davvero potente, contrassegnato da molte diversificate suggestioni, narra il viaggio salvifico di una madre e di un figlio, Sylvie e Samuel, tra le distese del Kazakistan.
La madre, separatasi da un marito senza ideali, vi conduce il figlio che si trova in un periodo di grande instabilità e confusione, ondeggia tra apatia e aggressività e per cercare di distoglierlo dalle dinamiche della sua quotidianità pensa che l’incontro con riti, linguaggi e tradizioni molto diverse dalle loro possa essere un utile cambiamento. Questa decisione però metterà alla prova ambedue attraverso incontri e avventure spesso anche pericolose. Lo spettacolo, che seguiamo con attenzione e trepidazione per un’ora e un quarto, racconta, per filo e per segno, questo viaggio che alla fine si tramuterà in un’autentica esplorazione dell’anima, che regalerà loro sia l’opportunità di conoscersi davvero, ma soprattutto di sentirsi, entrambi, in sintonia col mondo. Il figlio, oltre che conoscere una parte di sé fino ad allora inesplorata, si troverà alla fine a decidere addirittura di restare in quello “strano” paese, ora non più respingente, accanto alla madre malata. Walter Maconi con questo spettacolo, giunto a parer nostro alla maturazione come narratore, dopo la già eccellente prova sostenuta in “Via da lì, storia del pugile zingaro”, è aiutato nel suo percorso narrativo dalle scene e costumi di Anusc Castiglioni e dall'ambiente sonoro non invasivo, ma di grande e felice espressività di Paolo Fogliato. Il suggerimento che ci sentiamo di lasciare è quello di proporre questa davvero importante narrazione in due modi: interamente, raccontando per filo e per segno il romanzo in tutti i contesti, oppure fermandosi nel suggestivo momento di quando madre e figlio si tuffano felici nel mare. Lì, a nostro avviso c'è già tutto ciò che di profondo si doveva dire.

MARIE/ONDA TEATRO

Silvia Elena Montagnini, che conosciamo già come valente narratrice del gruppo torinese “Onda teatro”, in “Marie”, questa volta ci racconta con la sua inconfondibile cifra, intrisa di vitale ironia, l’incredibile storia di Maria Salomea Skłodowska, una donna e scienziata di eccezionale valore, capace di vincere, in un mondo dominato dai maschi come quello scientifico, ben due Nobel, uno per la fisica nel 1903 e un altro per la chimica nel 1911. Nel racconto, reso vivido e incalzante dell’attrice, accompagnata nell'impresa da un semplice telo capace di illuminarsi per esprimere tutta la sua capacità di ricercatrice di andare oltre l'infinito, seguiamo tutto il percorso esistenziale e inventivo di Marie Curie. La vedremo quindi trasferirsi dalla natia Polonia a Parigi e poi, tra mille discriminazioni e difficoltà, la seguiremo dalla laurea all’incontro con il collega e suo futuro sposo Pierre Curie, alla scoperta, dopo fatiche inenarrabili, del Radio. Dopo la morte del marito, comincia una nuova vita per Marie ma la sua passione per la scienza tramandata anche alle figlie non scema e cinque anni dopo vincerà il secondo Nobel. Viene ricordato anche il suo generoso impegno durante la guerra mondiale in aiuto dei soldati feriti, partecipando anche alla formazione di tecnici ed infermieri. La nostra “Marie” ci permette dunque di attraversare 80 anni di Storia, della nostra Storia, attraverso gli occhi di una donna, ostinata, refrattaria ad ogni tipo di regola e convenzione. Una donna che ha dato la vita per una disciplina impervia e dai contorni pericolosi, che è riuscita a farsi largo in un mondo maschile respingente, ma che alla fine, anche se molto tempo dopo, è riuscito a riconoscerle tutti i meriti conquistati con fatica, inumandola nel Pantheon di Parigi, dove sono sepolti tutti i grandi del paese che l'ha accolta.

AL DI LA’ DEL MURO/ CIENINOD'INTRONA

Già dalle prime immagini abbiamo intuito che “Al di là del muro” avesse un profumo di stampo francese, con quell'antinarratività così evidente, quel gusto dell'immagine surreale, così rara nel nostro teatro ragazzi che si nutre soprattutto di altri linguaggi.
E infatti la concezione e la regia di questa creazione è stata nelle mani di Nino D’Introna, attore, autore e regista che conosciamo da tempo immemore, per diversi anni emigrato in Francia dove ha diretto meritoriamente il Centro francese di Teatro ragazzi di Lione. Nello spettacolo D'Introna, con l’aiuto di due efficaci interpreti come Angelique Heller e Helene Pierre e l’apporto fondamentale di Patrick Najean e del suo universo sonoro, riesce a creare una immaginifica dissertazione sul concetto di Muro.
In scena due personaggi, due esseri reali e astratti al tempo stesso, si ritrovano, costruiscono, distruggono e vivono davanti e attorno a un muro. Qui interessa poco sapere cosa c’è al di là del muro ma ci intriga soprattutto immaginare quali altre suggestioni il muro ci può suggerire: una difesa? Una parete su cui si possono disegnare, come è stato fatto nel corso dei secoli sino dalla preistoria e dagli abitanti dell'isola di Creta, mondi incantati? Oppure un supporto contro il quale appoggiarsi quando si è stanchi? Oppure? Angelique ed Helene con l’aiuto della luce, del silenzio, della musica e di immagini video, trasformeranno il muro ogni volta in qualche cosa di diverso, arricchendo il pubblico dei ragazzi di una nuova grande varietà di rimandi, di riverberi inusitati. Le grandi scatole che formano il nostro immaginifico muro, arriveranno perfino sino all'inizio di “2001 Odissea nello spazio” il famoso film di Kubrick, con i suoi monoliti in un mondo popolato da scimmie.

HANSEL E GRETHEL/TEATRO NEL BAULE

Molto intrigante nei suoi azzardi, ancora da ridefinire la versione da salotto di Hansel e Grethel portato in scena dai napoletani del Teatro del baule. La sfida di Sebastiano Corticelli e Simona Di Maio e del loro servo di scena Dimitri Tetta è quella di raccontare la celeberrima storia dei due fratelli lasciati nel bosco in balia del buio e di una terribile strega, non per mezzo di una narrazione classica o di una teatralizzazione con personaggi, bensì attraverso una partitura di voci, oggetti e luci. E così, utilizzando un grande tavolo, dei copricapi, dei giocattoli di pelouche, delle scarpe, dei tronchi di legno e soprattutto delle vecchie abatjour, la storia prende forma, mentre un servo di scena, a nostro avviso a volte un po’ invadente, accomoda, sposta, dona luci cangianti, rumori, musiche scritte per l'occasione. Come detto precedentemente lo spettacolo è coraggioso ma riteniamo che sia arricchito da troppi segni che spesso imbrogliano lo sguardo dello spettatore e che avrebbero forse bisogno di uno sguardo esterno per essere sfoltiti, più sorvegliati e armonizzati. Il gesto, per quanto ben eseguito rischia infatti di diventare un esercizio di stile e di perdere la sua capacità narrativa quando la sua reiterazione è troppo insistita e si distacca dal suo significato. Comunque una creazione interessante su cui consigliamo di continuare a lavorare per poterla rivedere cresciuta in un'altra occasione.

IL SOGNO DI STELLA/NONSOLOTEATRO

Marianna Batelli e Alessandro Rossi, danzatrice e narratore, sono nella vita Marito e Moglie e hanno una bellissima bimba che si chiama Stella. Nel loro spettacolo, aiutati anche dalla voce di Stella, che in qualche modo diventa così anche coautrice, narrano nella prima parte dello spettacolo, con la dolcezza che solo una famiglia che si sta formando può avere, il loro primo incontro, il loro sposalizio e la nascita di una bambina assai curiosa che ogni sera ai suoi genitori prima di dormire poneva sempre la stessa domanda: “Mi racconti una storia?”. E ogni sera o il papà o la mamma, ma più spesso tutti e due insieme, le raccontavano una storia. La storia che Stella preferiva, quella che lei amava tanto e perciò la più raccontata era quella con l'orco e la libellula. Ma alla fine della storia, dopo il bacio della buonanotte, arriva il momento tanto temuto da Stella: il buio e in quel silenzio si materializza la paura che Stella cercava in ogni modo di vincere, rimanendo silenziosa sotto le coperte, quella paura che separa la fine della storia dall’inizio del sogno.
Sarà proprio la storia tante volte ascoltata dell’orco e delle libellula ha fornire la formula magica degli stessi personaggi e ad accompagnare Stella verso la sua personale vittoria contro la paura. Basta solo una semplice formula a scacciarla, una formula che ha in sé tutti i germi benefici del teatro: “Parola che vince, parola che danza, scaccia via l'orco dalla mia stanza. Parola chiara, parola bella, illumina il buio come una stella. Parola che vola, parola vincente, crea una luce nella mia mente. Parola che canta, parola che cura, accendi una fiaba senza paura”. Il sogno di Stella alla fine si configura come uno spettacolo gioiosamente autobiografico, di tenera sostanza, che collegando in scena danza e parola, in modo naturale ed immediato, narra ai bambini sia un rito quotidiano in cui riconoscersi, sia una storia di semplice e spontanea fruibilità. “Il sogno di stella” è una storia semplice e ben narrata dai convincenti attori che, con una semplice composizione di panche bianche, riescono a rievocare tutti i passaggi della vita e della fiaba che raccontano con giusta efficacia.

PINLOCK/ SCIARA PROGETTI TEATRO/CIENINOD'INTRONA/ FONDAZIONE TRG

Quante volte ci hanno raccontato in Teatro la storia di Pinocchio ma a memoria forse nessuna con così tanta tenerezza d'accenti e divertenti metafore come in “Pinlok” con Nino D’Introna e Stefano Dell' Accio, che in scena impersona un uomo che è chiuso forzatamente in un appartamento a causa del lockdown, lontano dalla sua città e dai suoi affetti per impegni di lavoro. Lavora indefessamente interloquendo animatamente con il suo manager, il Dottor Mangiafù, che non vuole concedergli il trasferimento, vicino a casa. Come spettatori ci sentiamo subito empaticamente partecipi della sua solitudine che cerca di interrompere parlando dal suo balcone con Remigio, il vicino di sotto, e con l'amico Lucio che, come sua natura, disobbedendo è uscito di casa beccandosi, come un asino, pure una multa. Di certo poi non si fa da mangiare, ma ordina ogni volta una pizza. Per fortuna c'è poi Alexa, un simil Grillo parlante, che lo stimola continuamente a non fare sciocchezze ma a fare del suo meglio. Della partita saranno anche un piccolo Pinocchio con cui dialogare e una Balena che gli arriverà come regalo. Ma nella sua vita esiste Azzurra, la compagna, con cui chatta continuamente e che gli comunicherà di aspettare un figlio. Pur con varie interruzioni tra i padroni di casa e il signor Volpe e la signora Gatto che hanno una tremenda paura di non essere pagati, il suo unico pensiero sarà per quel figlio che tra poco nascerà: sarà maschio o femmina? Quale sarà il suo futuro? E immagina, anche attraverso quel suo computer sempre acceso, i primi passi, le sue esigenze, avendo tanta ansia di non essere all'altezza di un compito così gravoso e in ansia all’idea di farlo entrare in un mondo in disfacimento. Sarà così che ad un certo punto il nostro Geppetto, perchè (forse) di lui si tratta, finito il lockdown lascerà quell'appartamento per ritornare a casa dalla sua Azzurra, una fata senza forse poteri magici, ma con cui dividerà la vita e con cui crescerà con tanto amore il suo Pinocchio. PINLOCK alla fine si configura come uno delicato spettacolo per tutti, intriso di gioia surreale sulla figura paterna, sui suoi timori, sulle sue gioie, sulle sue speranze.

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LA REPUBBLICA DI PLATONE /FONDAZIONE TRG

La Fondazione Teatro ragazzi e giovani ritorna ancora meritoriamente a parlare di Filosofia ai bambini, 40 anni dopo “ La caverna” di Giovanni Moretti e 15 anni dopo “ Favolosofia” di Pasquale Buonarota e Alessandro Pisci.
Nel 1984 in una scuola che ospitava l’intero progetto Moretti ricreò un’enorme caverna, composta da vari cunicoli che si aprivano in grotte più piccole che fungevano da stazioni del percorso. Condotti alla chiarore di torce, i bambini dal buio attraverso varie suggestioni ( marionette incatenate, ombre, oggetti rituali e una colonna sonora che mescolava la voce di Platone/Moretti a rumori e versi di animali) giungevano nelle diverse stazioni che formavano teatralmente la caverna, dove erano state raffigurate nel tempo le paure dell’uomo. Oltre l’ultima porta si trovava l’inganno estremo : Non più l’ombra del teatro, ma la vera luce del sole.

Diversi anni dopo Favolosofia, il pregevole e stimolante progetto della Casa del teatro ragazzi e Giovani, diviso in 3 sezioni: La favola dei Cambiamenti (2008), La favola delle occasioni (2009), La favola della Bellezza (con Lucio Diana 2010) che accompagnò, in modo foriero di suggestioni, bambini e ragazzi per diversi anni. Lo stesso Centro teatrale torinese torna con una nuova trilogia ad occuparsi di Filosofia, traendola da Platone. Del nuovo progetto abbiamo visto al festival le prime due sezioni alle prime repliche: La Caverna delle Meraviglie e Il Gioco dei destini incrociati, diretti da Emiliano Bronzino.

1 LA CAVERNA DELLE MERAVIGLIE

“La caverna delle meraviglie”, il primo capitolo sulla stimolante drammaturgia di Paola Fresa, è uno spettacolo finalmente e meritoriamente dedicato ai piccolissimi, in cui, partendo dal mito della caverna di Platone, i bambini e le bambine accompagnati da Mariajosé Revert Signes, attraverso un complesso percorso, scenograficamente curato da Francesco Fassone, compiono un vero e proprio viaggio alla scoperta del mondo. Mariajosè accoglie i bambini fuori dal teatro, subito recepito come luogo delle meraviglie: è lei che impersona la Filosofia e che li prepara al percorso che li porterà alla conoscenza delle cose per cui vale la pena vivere. Sarà in quel luogo misterioso che i bambini e le bambine scopriranno attraverso un fittizio gioco di ombre, che alla fine si materializzeranno, la vera realtà delle cose meravigliose che la vita ci regala, aiutati da una sorta di guardiani della Caverna che li inviterà a non distruggere le ricchezze di quel mondo che hanno appena conosciuto.
Si può parlare a dei bimbi piccolissimi di Filosofia, di Platone ? Certo che lo si può fare! E lo spettacolo intende dimostrarlo. “ La caverna delle meraviglie” alle sue prime repliche si fa amare per le molte profonde domande e suggestioni che pone al suo pubblico e per la sua natura di percorso iniziatico di coraggiosa sostanza che invita i bambini e le bambine a considerare come il mondo in cui vivono sia così multiforme nella sua bellezza e che debba essere conservato.

A nostro avviso ci sono diversi aspetti su cui ancora lavorare. L'approccio della guida/Sofia verso i bambini, ci piacerebbe molto meno accomodante, più misterioso. Molto belli di converso i richiami musicali delle presenze arcane nascoste nella caverna. Accattivante il gioco delle ombre, sia quello degli animali (topo, del gatto e del cane ) sia quello creato autonomamente da Sofia e poi costruito con l'uso della lavagna luminosa tutti tesi a illustrare ai bambini ciò che la natura ci offre, ma troppo insistito e che a nostro avviso dovrebbe essere molto meglio armonizzato ( troppo in alto, troppo piccolo), facendo delle scelte che facessero comprendere meglio quel continuo entrare e uscire dal velo che custodisce i misteri della caverna da parte della performer.
Curiosissimi i Robot (un poco simili ai Giganti della Montagna di Pirandello) costruiti con i bidoni dell'immondizia, il cui simbolo, immaginiamo, rivolto al pubblico dei bambini, sia quello di aver più cura del nostro pianeta, andrebbe esplicitato con più forza.
Al di là di questi appassionati personali consigli per una creazione dai contorni meritori, lo spettacolo vuole porsi coraggiosamente nell'ottica di parlare in modo immaginifico anche ai piccolissimi di cose che parrebbero a loro negate ed invece assai necessarie per una crescita curiosa e appagante.

2 IL GIOCO DEI DESTINI INCROCIATI

Il secondo capitolo del progetto “Il Gioco dei destini incrociati” scritto da Francesco Niccolini è invece dedicato ai ragazzi più grandi e vede in scena la collaudata coppia di attori, davvero molto efficaci, Pasquale Buonarota e Alessandro Pisci, che già ci avevano accompagnato con il progetto “Favolosofia “. In scena simbolicamente viene narrata la storia di un re, despota e crudele e di uno Schiavo, a cui il monarca ha portato via tutto: la terra, la moglie, i figli, la libertà. Quand’ecco che lo schiavo predice la morte al suo signore. Così i due vivono legati da quel vincolo tutta la vita sino a che giunge il momento in cui lo schiavo mette al corrente il re che il momento è arrivato. Ma quando si tratta di fare l'ultimo, pietoso gesto simbolico ovvero mettere sotto la lingua del re la moneta che gli permetterà di pagarsi il viaggio nell'aldilà, lo schiavo tentenna finché il re riapre gli occhi e, ritornato dal regno dei morti, racconta allo schiavo tutto quello che ha visto: descrive l'aldilà, il ruolo della Necessità, l’incontro con Caronte e con Ade, ma soprattutto come funziona il misterioso gioco dei destini che a seconda della sorte può anche mescolare le carte. Niccolini confeziona una storia esemplare che entra nel mito, a nostro avviso non sempre chiara in qualche passaggio intermedio, sorretta da una scenografia che si adatta in modo funzionale al gioco dei due efficaci interpreti e che porta meritoriamente il pubblico dei ragazzi a ragionare sull'esistenza umana e sulla sua precarietà, su come ogni cosa può improvvisamente cambiare, su come sia assolutamente necessario che anche in ogni nostro piccolo gesto ci debba essere sempre la cura e l'onestà per chi ci sta accanto.

VERSO B/TEATRO DEL PICCIONE

Come PINLOK anche Verso B si interroga, ma in modo del tutto diverso, sulla figura del padre.
Paolo Piano e Dario Garofalo del Teatro del Piccione in veste di antichi affabulatori conducono il pubblico dei ragazzi verso la mitica città di Babele, famosa per la sua torre che avrebbe voluto, sfidando Dio, arrivare al cielo. Sulla bella drammaturgia di Flavia Gallo, la compagnia genovese si imbeve di una curiosa e poco sperimentata suggestione del teatro per l’infanzia: ispirandosi infatti ai testi e alle immagini di “Una Bibbia” di Philippe Lechermeier e Rebecca Dautremer avvicina il pubblico dei ragazzi in modo fantasmagorico ad alcune delle storie più interessanti del celeberrimo testo sacro, così pieno di simboli e di stimoli misteriosi.
Protagonisti di questo vero e proprio viaggio verso BI, città che scopriremo più tardi essere Babele anche se non sarà mai menzionata, sono un padre e un figlio, in un rapporto reso vivido e significante sul palco. Il padre (Paolo Piano) ed il figlio (Dario Garofalo), incedono verso quella città di cui hanno sentito solo il nome, un nome che non sanno nemmeno pronunciare, volendo fuggire dal loro mondo dominato da epidemie, carestie, migrazioni, guerre, un mondo che in fondo ricorda molto anche il nostro.
E mentre camminano tra giorno e notte, tra visioni e suggestioni che rimandano ai loro racconti, al pubblico vengono narrate le storie di Abramo ed Isacco e della Torre di quella mitica città e della sua meraviglia di cui hanno sentito solo parlare. Raccontano di Abramo, il primo patriarca biblico, che aveva 100 anni e di sua moglie Sara di 90 a cui Dio concesse loro, nonostante l’età, di avere un figlio dal quale, di generazione in generazione, si sarebbe giunti al Messia. E Dio mise alla prova Abramo dicendogli : “Prendi suvvia, tuo figlio, il tuo figlio unico che ami tanto, Isacco, e fa un viaggio nel paese di Moria e là offrilo come olocausto su uno dei monti che io ti designerò” E cosi Abramo si mise in viaggio.
Il nostro padre sul palco non racconta precisamente al nostro figlio come andò a finire, gli dice solo che Dio non fu così crudele da permettere poi ad Abramo di uccidere Isacco e non gli spiegherà nemmeno chiaramente come finirà con la torre, perché in realtà non lo sa ancora ma il padre e il figlio arriveranno ad assistere alla sua distruzione, restituitaci sul palco con grande suggestione. Una distruzione che alla fine sappiamo però fu benefica, perchè riuscì a mescolare in modo proficuo tutte le lingue del mondo. Finiti poi i racconti, vicino ai nostri due protagonisti ecco apparire una bambina, scelta precedentemente con cura tra il pubblico, simbolo perfetto di come la vita necessariamente debba proseguire in un ciclo continuo che non può essere fermato. In questo modo il pubblico dell’infanzia è immerso in un mondo sconosciuto, mitico di cui possono avvertire i misteriosi contorni, ascoltando storie inusitate che si perdono nella notte dei tempi ma che rimangono sempre vive e presenti nel libro dei libri, la Bibbia. Assistendo a questo spettacolo ci si rende immediatamente conto del grande lavoro dei due attori. Ci hanno molto colpito la complicità, la profondità dei due personaggi che lasciano vedere in trasparenza come la loro costruzione sia passata per molti strati sedimentati di studio. Le loro identità lasciano intravedere un’età anagrafica veramente vissuta, una stanchezza del trascinarsi che ha raccolto davvero sulla pelle la polvere delle strade sabbiose percorse. Hanno davvero una storia su palco, quel padre e quel figlio. Una storia che dura da più di 2.000 anni.

ALICE IN WWWONDERLAND/FONDAZIONE TRG

Lo schermo del cellulare non è forse per molti giovani ma diciamolo, pure per noi, un pozzo senza fine in cui troppo spesso cadiamo credendo di trovarci delle meraviglie inaudite? Così succede all'adolescente, protagonista della nostra storia, tutta intenta a perdersi nel suo cellulare, incurante delle attenzioni liberatorie del padre che vorrebbe passare con lei una giornata all'aria aperta. Ma il povero padre non potrà farcela e se ne andrà sconsolato. E sarà allora che, come in una famosa altra storia a cui lo spettacolo attinge, arriverà per lei il Bianconiglio che riuscirà a portarla in un mondo strano dove a volte si troverà grande e a volte piccola, incontrerà un nugolo di personaggi che, in modo bizzarro ma foriero di molte domande, la faranno riflettere sui pericoli e le meraviglie della sua età, in cerca di una propria identità, dove non si è ancora grandi ma non si è ancora piccoli, in cui ci si chiede cosa non vorremmo mai perdere di quello che siamo stati e cosa vorremmo già avere del mondo degli adulti che ci accoglierà. Nel procedere della storia, la nostra protagonista cercherà di darsi delle risposte riuscendo a comprendere i rischi di un mondo spesso effimero ma accettandolo per quello che è. Sarà così che alla fine potrà comprendere come sia bello veramente passare una giornata con papà, un’occasione che accade davvero raramente nella vita di tutti i giorni. Nell'evidente segno meritorio di omaggio alle creazioni della loro Maestra  Luigia D'Agostino, Claudia Martore che inventa anche le scene sulla drammaturgia di Micol Jallam, con in scena i fidi Claudio Dughera, Letizia Russo, Simone Valentino, i costumi di Silvia Brero e il supporto video Daniel Lascar, costruisce uno spettacolo coloratissimo, fin troppo chiassoso, di divertente e di immediata fruibilità. Alle prime repliche, troppi, secondo noi, i segni e i personaggi che si susseguono sulla scena che andrebbero meglio armonizzati in rapporto con le note didascaliche che troppo spesso fanno capolino nello spettacolo.

A Laura Rottoli che ha partecipato al Corso di Critica teatrale organizzato da Assitej in collaborazione con Demetra abbiamo chiesto di approfondire la visione dello spettacolo dei siciliani di Piccolo Teatro Patafisico.

CORVINA E LE SETTE MONTAGNE/PICCOLO TEATRO PATAFISICO

È dal punto di vista della matrigna di Biancaneve, Corvina, che viene narrata la celebre fiaba dei Fratelli Grimm, in un flusso di coscienza a tratti cupo e tagliente, ripercorrendo la propria storia di vita, il difficile rapporto con la madre, la paura e la difficoltà nella solitudine in cui lei si trova a crescere. La gelosia e il desiderio di rivincita sono i sentimenti che muovono Corvina portandola a realizzare il suo sogno di diventare regina; ma questo non le basta.
La brama di essere amata ed essere vista come ‘la più bella del reame’ o di essere semplicemente vista, porta Corvina alla pazzia portando il pubblico a domandarsi quale sia il confine, quella linea sottile, se esiste, che divide i buoni e i cattivi, le vittime e i carnefici.
Molto interessante, anche se ancora da rendere meno macchinosa, l'idea del costume-scenografia creato da Sabrina Vicari che è nello stesso momento costume e macchina scenica con oggetti utili ad evocare i vari personaggi della fiaba tutti indosso all’unica attrice in scena, Gisella Vitrano, aiutando così a sottolineare maggiormente il fardello emotivo della protagonista.
Alla fine però ci piacerebbe che la figura della protagonista risultasse più empatica per i piccoli spettatori, magari infondendo nello spettacolo anche qualche momento di maggiore leggerezza, alleggerendo così l'atmosfera troppo cupa che lo pervade.

LAURA ROTTOLI





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