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Eolo
recensioni
CONTEMPORANEO FUTURO A ROMA / SECONDA PARTE
Le nuove recensioni di Rossella Marchi e Vassilij Mangheras

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Ecoci alla seconda parte del Report del Festival Contemporaneo Futuro che si è svolto a Roma dal 13 al 16 Aprile, di cui abbiamo già pubblicato la Prima parte.

FRANCESCO PICCIOTTI / OFFICINA PROMETEO / DIVISOPERZERO-FLORIAN METATEATRO

Si era ben presentato Francesco Picciotti due anni fa al festival Trallallero con il suo “Efesto”. Aspettavamo quindi con un pizzico di curiosità questo “Officina Prometeo”, il suo nuovo lavoro che non ci ha affatto deluso. Anzi, la sua maestria di artigiano artista ha portato in scena qualcosa di veramente prezioso che ha incuriosito gli adulti e le nuove e nuovissime generazioni. Lo spettacolo infatti ha rapito lo sguardo degli spettatori per ogni nuova invenzione che veniva presentata sul palco dal suo creatore. Ed è proprio questa sensazione che abbiamo avvertito per tutta la durata dello spettacolo: il calore che sentivamo era quello della relazione paterna dell’animatore con le sue creature. Si è sentito come ogni personaggio fosse stato costruito nei minimi dettagli con oggetti di uso comune che, assemblati con sapienza, hanno assunto un’identità precisa, ognuno profondamente diverso dall’altro, con una biografia propria, una storia singolare. La storia di Prometeo e del furto del fuoco la conosciamo tutti ma non così. Abbiamo potuto conoscere Ares, Efesto e la splendida Afrodite costruita con una elegante lampada rovesciata, il fratello di Prometeo, Epimeteo costruito con un barattolo di vetro, nella quotidianità del loro vivere e abbiamo potuto amare e ridere di ognuno dei personaggi per le loro simpatiche caratteristiche mentre Prometeo, una ingegnosa caffettiera rovesciata, riportava il fuoco agli uomini beffando Zeus. Stupisce sempre il teatro di figura quando permette di prendere vita a creature immaginate e create dai sogni dei propri padri. Vederle muoversi, animarsi include lo sguardo dello spettatore nella creazione perché improvvisamente anch’egli è parte di quel punto di vista, improvvisamente il suo sguardo vede quello che ha visto l’artista in un semplice oggetto di uso domestico. E l’artista non è più solo nel suo spazio creativo perché ha dato i suoi occhi agli spettatori. E i bambini ridono dandosi di gomito e giocando a riconoscere in quei personaggi così ben interpretati gli oggetti che così bene conoscono e mai si sarebbero immaginati che potessero essere trasformati in creature così divertenti. E’ molto bravo il nostro Francesco Picciotti, attraverso la figura riesce ad esprimersi al suo meglio e interpreta tutti i personaggi con grande capacità aggiungendo anche un lavoro sul suono molto interessante attraverso la campionatura dei suoni che realizza direttamente in scena e che crea atmosfere e suoni precisi per ogni personaggio. Tutto quindi aiuta lo spettatore a riconoscere i protagonisti della storia: il racconto, la visione e il suono. E tutto questo avviene su un tavolo di lavoro ben organizzato e bellissimo a vedersi, il tavolo dal quale le visioni prendono corpo, si fanno materia e rendono tutto possibile, credibile. Abbiamo davvero molto apprezzato “Officina Prometeo” talmente tanto da fare una preghiera al suo creatore: darci un po’ più di tempo alla fine per accompagnarci più dolcemente nel ritorno a quella realtà che vede in un imbuto semplicemente un imbuto e non la bocca di Zeus. Ma sicuramente entrando in cucina d’ora in poi nessuno sarà in grado di nascondere un sorriso.

MISS LALA AL CIRCO FERNANDO / IN A ROOM / CHIARA FRIGO - MARIGIA MAGGIPINTO

Sono molti gli spettacoli in cui gli attori, gli artisti sono già in scena e attendono che gli spettatori terminino di entrare e si sistemino sulle poltrone, spengano i cellulari, si facciano gli ultimi saluti, per cominciare. Poi accade alcune volte invece che nel momento preciso in cui si oltrepassa la soglia, magari si è corso un attimo prima di imboccare la porta, si capisca subito di essere già parte di qualcosa, e questa sensazione accompagna i passi, dall’entrata alla seduta, consentendo di lasciar fuori tutto ciò che non fa parte di quello spazio tempo presente. Marigia accompagna ciascuno spettatore e ciascuna spettatrice al suo posto, e mentre li accompagna stabilisce con ognuno di loro quel contatto che crescerà durante tutta la durata della performance. Gli spettatori sono distribuiti a ferro di cavallo intorno ad un grande tavolo di legno dalle gambe molto corte. Il primo semicerchio è composto di bambini e bambine, il semicerchio dietro di adulti. Sul tavolo sono sistemate molte foto, di misura diversa ma ognuna ben ordinata con uno spazio preciso. E Marigia è lì in piedi, dietro il tavolo, vestita di seta arancione, con i capelli neri raccolti in una coda e due occhi neri grandissimi dai quali è difficile staccare lo sguardo. E’ Marigia Maggipinto, danzatrice della compagnia del Tanztheater di Wuppertal di Pina Bausch. Le foto sistemate sul tavolo rappresentano varie situazioni: foto di scena, momenti di vita, ritratti. Con grande semplicità la danzatrice ci spiega il gioco che vuole proporci: chi vuole può scegliere una foto semplicemente indicandola e lei ne avrebbe raccontato la storia sottesa. Comincia subito una bambina che indica una foto e la narrazione inizia. Marigia con grande carisma racconta la sue storie, le sue foto, una dietro l’altra che svelano la vita incredibile di questa artista da quando fu scelta all’ultimo momento al posto di un’altra danzatrice a quando dovette imparare una coreografia in pochissime ore per sostituire la protagonista. E’ bravissima nel narrare con semplicità questi racconti, i bambini e le bambine sono rapiti dalle storie come se si narrassero favole senza soluzione di continuità e gli adulti si emozionano perché conoscono bene il valore e la straordinarietà di quei racconti. La sensazione è quella di essere stati ammessi ad una tavola in cui non si avrebbe mai pensato di poter sedere. Non la storia ufficiale ma i retroscena, le confidenze che fanno sentire lo spettatore un privilegiato per il solo fatto di poter essere lì ad ascoltare. Volteggia Marigia quando si fermano le parole, quando le parole non sono più sufficienti, e i capelli le si sciolgono sulle spalle e la si guarda in ogni gesto significativo nato dal profondo. Finito lo spettacolo una bambina vestita da principessa le si avvicina e l’abbraccia. Le arriva alle gambe e i suoi colori sono esattamente l’opposto di quelli di lei: ha gli occhi di un blu chiaro quasi trasparente e i capelli d’oro. E stretta a lei le dice guardando su: “Anch’io faccio danza!”. Lei ricambia l’abbraccio e risponde: “E allora danza per tutta la vita”.

CRACRA’ PUNK / MARCO LUCCI / TESTO E REGIA DI GIGIO BRUNELLO / FONTEMAGGIORE

Lo spettacolo "Cracrà Punk ", già recensito da Eolo in occasione del festival Incanti, ha avuto un’evoluzione, più compiuta e convincente. pertanto abbiamo scelto di scriverne nuovamente.

Una storia che affonda le radici nella notte dei tempi poggiando su qualcosa che da sempre è una spinta irresistibile: la ricerca di chi ci ha messo al mondo. Bebè è un bambino in viaggio su un aereo guidato dalla cicogna Tiresia verso il palazzo reale. Il Re Punch III e la Regina Giuditta stanno aspettando infatti un figlio ma guardando in aria si accorgono che l’aereo supera il regno e passa oltre. La cicogna Giuditta si è infatti addormentata sui comandi ed arriva, senza accorgersi, al Polo Nord. Lì il suo risveglio sarà tremendo: il fagotto con il bimbo non si trova più. E’ caduto proprio davanti alla casa di Ada, la Morte che vedendo il fagottino piangente non riesce a metter freno al suo senso materno e lo porta a casa promettendo a se stessa di crescerlo soltanto fino al sedicesimo anno d’età. Intanto disperata la cicogna Tiresia si aggira per il Polo Nord cercando il bambino e improvvisamente si rende conto che l’unica che poteva averlo trovato era Ada. Si reca quindi a casa sua pregandola di restituirle il neonato ma Ada, ormai pianamente entrata nei suoi panni di madre, si rifiuta di consegnarlo e fa scendere sulla testa della malcapitata cicogna una maledizione: non avrebbe più potuto spiegarsi con le parole ma avrebbe emesso soltanto il suo naturale Cra Cra fino al sedicesimo anno d’età del bambino. In questo modo non avrebbe potuto svelare a nessuno il suo segreto. Bebè, così Ada la Morte decide di chiamare il bambino, cresce e si appassiona alla musica punk tanto da farsi crescere una vistosa cresta blu sulla testa. E’ triste Bebè perché vorrebbe conoscere suo padre e sentendo i ripetuti appelli alla radio del re Punch III si convince di essere proprio lui il bambino che stanno cercando e vuole mettersi in viaggio. Chiede quindi alla madre chi l’avesse portato lì e Ada inventa la storia di una strana mula con le orecchie gialle per non svelargli il segreto della cicogna Tiresia e dare quindi indicazioni a Bebè su dove andare per ritrovare i genitori. Sarà la rievocazione del suo essere bambino, un alter ego che si metterà in viaggio al posto di Bebè adolescente, a riuscire a trovare i genitori grazie alla straordinaria propensione a risolvere indovinelli che gli consentiranno di rispondere all’enigma posto all’entrata del castello dove potrà finalmente trovare le sue origini. Questa possibilità di sdoppiare il tempo, di far coesistere tempo presente e tempo passato, evocano una straordinaria lettura simbolica: è nell’infanzia che si può trovare la chiave per risolvere o almeno dare una spiegazione alle dissonanze che accompagnano il nostro diventare grandi. E’ il sé bambino che cura il sé adulto. Il teatrino divertentissimo dove tutti i personaggi ad un certo punto si ritrovano al castello di Re Punch III, si conclude con il compimento dei sedici anni di Bebè che finalmente lo liberano dalla mamma Morte e lo riportano lì dove in origine doveva stare. Lo spettacolo, magistralmente interpretato da Marco Lucci con i suoi bellissimi burattini e le trovate geniali alle quali ci ha abituato, una su tutte una palla trasparente posta in alto sulla baracca dove vediamo l’aereo guidato dalla cicogna Tiresia letteralmente volare in una tempesta di neve, si misura con un testo complesso scritto da Gigio Brunello, in cui si intrecciano le storie di tantissimi personaggi. Si resta davvero colpiti da tanta bravura: riuscire a restituire tanta profondità e complessità all’interno di una baracca non è cosa semplice davvero. Eppure Marco, in questa nuova produzione di Fontemaggiore, anima tutti i personaggi con una bravura che incanta. Ogni tanto sembra ci si possa perdere per i mille fili gettati ma piano piano, nel corso del racconto, ogni filo viene ripreso e portato a tessere con grande abilità una storia che non ha tempo.

ROSSELLA MARCHI 

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CALIFORNIA UNDER ROUTINE / COLLETTIVO BALADAM B-SIDE / LA PICCIONAIA 


Veniamo accolti nello spazio esterno del Teatro India da uno strano individuo vestito da surfista che ci raccomanda di indossare degli occhiali da sole, successivamente i bambini vengono direttamente coinvolti nell’apertura di una porta che ci introduce in un luogo in stato di abbandono, attraversiamo un’altra porta e ci ritroviamo all’interno di una sala teatrale, ma solo dopo averne varcato la soglia scopriamo di averlo fatto rompendo dei sigilli, avendo spezzato, quindi, un qualche incantesimo che teneva a bada, nel luogo disadorno, un’entità sovrannaturale: la Borda.
Dal quel momento ci si prepara a compiere un rito sciamanico collettivo: siamo obbligati a fare determinate azioni, a dire determinate parole, al fine di riuscire, incolumi, a contenere la furia di quella presenza maligna, annidata fuori dalla sala. Finalmente pronti a questo incontro sovrannaturale, torniamo, cauti, nello spazio abbandonato che ora sappiamo essere abitato da quella strana entità… Ma quello che ci troviamo davanti non è nulla di spaventoso, l’attesa viene disattesa, la paura viene smorzata: la Borda è una dolcissima ragazza che ha bisogno di uscire da quel luogo nel quale si trova rinchiusa da tempo. È arrivato il momento di decidere se liberarla o meno.
Veniamo quindi riportati nella sala teatrale e qui avviene l’impensabile, ogni costruzione artistica viene meno per ritrovarci a dialogare in prima persona con gli interpreti del lavoro (Selene Demaria, Antonio Tony Baladam, Elena Pelliccioni, Guido Sciarroni ) e anche con la ragazza che interpreta la Borda, e, così, a scegliere, insieme a loro, un finale che andremo a comporre e rivivere ripercorrendo la scena e la location precedente. Attori e spettatori, insieme, agiscono e scelgono.
Tra finzione e realtà, tra il “qui ed ora” e il già definito, la storia si rimescola, si diluisce per restituirci lo stupore di una creazione inedita e collettiva.
“California under routine”è l’ultimo lavoro del Collettivo BaladamB-side al debutto dopo che il progetto di venti minuti aveva avuto una menzione al Premio Scenario Infanzia. Il lavoro nasce dall’esigenza autoriale di relazionarsi con il tema del linguaggio, ovvero confrontarsi con quello che, ancora oggi, viene utilizzato come principale funzione comunicativa.
Molte volte la parola viene usata per cambiare le realtà ed è proprio qui che parte la ricerca di Antonio “Tony” Baladam,regista dello spettacolo che ha creato la drammaturgia con Elena Pelliccioni.
I bambini tra i 6 e gli 11 anni hanno appena iniziato a giocare con la lingua, lo fanno in famiglia o tra pari e, con l’arrivo della scuola, stanno anche sperimentando per la prima volta, nuove modalità di comunicazione. Stanno imparando che con la parola si può fingere.
Partendo dallo svuotamento della scena, California under routine pone l’accento sul concetto di presenza che si oppone al concetto di rappresentazione, spingendolo al suo limite, il patto narrativo viene smontato per avvicinare i piccoli spettatori in una dimensione immersiva. Ciò che accade avviene in quel momento e basta, la loro presenza è necessaria e fondamentale alla costruzione dello spettacolo, tutto è frutto di un evento sempre e solo nel “qui ed ora”. I bambini, si ritrovano così, inconsapevolmente, ad essere non solo spettatori ma “attori-autori” dello stesso evento narrativo.
La ricerca di Antonio verte proprio sull’allenare non solo la capacità di raccontare qualcosa ma anche di farla accadere in quel momento.
Tra attese, disattese e momenti di confronto ci si ritrova dentro la costruzione del lavoro stesso per poi chiedersi cosa sia accaduto veramente.
Cos’hanno in comune dei surfisti con gli occhiali da sole, un’entità non terrena e uno sciamano? Forse niente, forse tutto.
Lo spettacolo spezza il rapporto frontale per regalarci una dimensione immersiva/policentrica che pone una riflessione profonda sulla superstizione e sulla manipolazione della realtà. Ma alla fine cos’è veramente il teatro se non un sogno, un attimo di verità, un’esperienza effimera che permane..
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CENERENTOLA REMIX/ FABIO CHERSTICH / TEATRO DI ROMA-TEATRO NAZINALE

Un’ossessione, la voglia di catturare il tempo, di provare a non dimenticarsi mai di qualcuno. Questi sono alcuni dei temi portanti dello spettacolo. Cenerentola Remix di Fabio Cherstich ci porta all’interno del famoso immaginario della fiaba, resa nota dai fratelli Grimm, senza prescindere da un inequivocabile sguardo sulla realtà che ci circonda. Cenerentola, interpretata da Annalisa Rimardi, non accetta la morte della madre ed è convinta di poterla tenere in vita mantenendo il suo ricordo, si ritrova così vittima di una sindrome di controllo quasi ossessiva- compulsiva e pertanto è imprigionata in azioni ripetute che servono a contenere il suo disagio emotivo. Il padre, Julien Lambert, si rivela una figura debole e inadeguata, seppur ci consente di intravedere il legame con la figlia; la matrigna, Giulia Sucapane, ossessionata dal successo e dalla giovinezza finisce per condizionare le sue stesse figlie, ben interpretate da Giuseppe Benvenga e Alessandro Pizzuto (che sostengono anche il doppio ruolo di principe azzurro e re) trasformandole in vittime della società, ossessionate dai selfie e dai social. Cenerentola è convinta di meritarsi tutto quel dolore e solo la fatina, Evelina Rosselli, che parla attraverso gli elettrodomestici prova a convincerla del fatto che anche lei può meritarsi un momento di felicità. Lo sguardo sull’adolescenza è delicato e ci porta attraverso una risoluzione del conflitto non banale e senza alcun tipo di retorica fiabesca. Una sovrabbondanza di elementi scenografici -non sempre utili al racconto- non altera in ogni caso la visione e la percezione da parte dello spettatore. Ne emerge così un racconto moderno, molto attento al ritmo, capace di divertire ed intrattenerci, anche grazie all’uso delle canzoni, in un susseguirsi di eventi a volte capaci di indurre stupore. Lo spettacolo è ben interpretato e la narrazione è abilmente sostenuta. Consigliato ad un pubblico dagli 11 anni.

VASSILIJ MANGHERAS 



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