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Eolo
recensioni
IL REPORT DI EOLO SU 'SEGNALI' 2022
LE RECENSIONI DEGLI INVIATI DELLA NOSTRA RIVISTA

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Con lo spettacolo “ Le Rane”,
tratto da Aristofane, diretto e concepito da Marco Cacciola, si è aperta a Milano la trentaduesima edizione di “ Segnali” , il Festival organizzato dal Teatro del Buratto ed Elsinor Centro di Produzione Teatrale con la direzione di Renata Coluccini e Giuditta Mingucci.
Dal 2 al 5 Maggio sono state 19 le compagnie che hanno presentato i loro spettacoli tra il Teatro Fontana e il Teatro Munari. La sera del 4 Maggio si è tenuta l’abituale cerimonia di consegna degli “EoloAwards”, i premi dedicati al meglio del Teatro ragazzi italiano, organizzati dalla nostra rivista, a cui è seguito lo spettacolo " Ccenerentola" di Zaches Teatro, vincitore del Premio come migliore novità, di cui abbiamo già sottolineato le lodevoli peculiarità in un'apposita recensione.
Anche quest’anno, nell’ottica di attenzione e sostegno alle nuove scritture teatrali per le novelle generazioni, vi è stata la nuova edizione del “Premio Segnali alla drammaturgia”, volto alla valorizzazione e allo sviluppo di testi innovativi per il pubblico più giovane. Il fatto che non sia stato assegnato è ancora una volta un sintomo di una crisi di inventiva che avevamo già segnalato, relativa soprattutto alle produzioni dedicate alla prima infanzia.
Moltissimi davvero comunque gli stimoli offerti dalle creazioni a cui abbiamo assistito durante questa trentaduesima edizione del Festival che si sono diramatI in diverse direzioni.
Il festival ha anche ospitato nell’ambito del progetto internazionale di cooperazione “Connectup “ uno spettacolo straniero “Kalashnikow mon amour” della compagnia austriaca “Dschungel Wien”, creazione di Danza realizzata dalla coreografa Corinne Eckenstein con in scena 5 performer e un cantante provenienti dall’Afganistan e dall’Irak  che ha indagato sul concetto di mascolinità nelle società dei due rispettivi paesi e di come viene costruita. “Connectup è un progetto che “mette in atto un'iniziativa culturale internazionale che coinvolge diversificate realtà internazionali, rivolta agli adolescenti, al fine di contrastare il processo di aumento della divisione sociale e culturale in tutta Europa : i teatri e i festival coinvolti mirano a raggiungere una sezione trasversale della società, almeno all'interno dei loro ambiti, riunendo pubblico della classe media con pubblico dal margine della società. Ma la Danza ha trovato posto anche nello spettacolo che ha chiuso il Festival “Icaro e Dedalo”di Arearea che, attraverso la coreografia di Marta Bevilacqua, una delle poche artiste che in Italia si dedica con cura a progetti coreografici di teatro per l’Infanzia, utilizzando dei coni segnaletici stradali che assumono nel corso della performance diversi significati, racconta attraverso la mirata gestualità di Andrea Rizzo, Daniele Palmieri e Alessandro Maione, su musiche di Loscil, Beirut, Grant e Richter, l’antica storia del primo volo sperimentato dall’uomo e del rapporto tra le generazioni.
Due spettacoli poi sono poi stati concentrati nel Progetto “Staff only “ uno specifico viaggio di accompagnamento alla loro creazione definitiva per mezzo del tutoraggio di alcuni operatori presenti al Festival che li hanno visti e incontrato le compagnie : “ I Vestiti dell’imperatore “ del gruppo napoletano Le Scimmie, di cui avevamo molto apprezzato i venti minuti al Premio Scenario Infanzia 2020 e che nel tragitto verso il suo completamento ha sicuramente bisogno di nuovi stimoli inventivi e il più compiuto “Passi “ di Marco De Rossi sulle vicende umane e sportive del marciatore Abdon Pamich, testo vincitore dell’edizione 2021 del Premio Segnali Drammaturgie.
Durante il festival sono stati presentati tre progetti culturali molto interessanti, il davvero bellissimo libro di Francesco Niccolini “Manù e Michè “ il segreto del principe, incentrato sull’amatissimo compositore Gesualdo da Venosa da cui sortirà uno spettacolo curato da Tonio De Nitto, il gioco Taraxè, tratto dallo spettacolo “Esterina cento vestiti “ di Daria Paoletta, vincitore quest’anno del miglior spettacolo per ragazzi sul tema delle Emozioni e “Magic mirror” un curiosissimo percorso fiabesco di Ivonne Capece che ha utilizzato una serie di QR sparsi per le sedi del festival, attraverso i quali sono state riscritte alcune delle fiabe più famose dagli allievi della scuola di teatro di (S) Blocco 5.
Infine è stato presentato anche il secondo studio di “Oltre” di Schedia teatro che fa parte di un progetto più ampio creato meritoriamente dalla Baracca Testoni di Bologna per incrementare l’interesse deficitario del teatro ragazzi italiano verso il mondo dei piccolissimi che abbiamo già evidenziato. Gli spettacoli del festival sono stati seguiti da diversi giovani “critici” tra cui quelli che hanno partecipato al corso organizzato da Assitej, Hystrio e Demetra e dei quali ospiteremo anche in questa sede le osservazioni su alcune creazioni presentate al Festival.


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LE CANZONI DI RODARI/ VALENTINO DRAGANO- KOSMOCOMICO TEATRO
Valentino Dragano in “ Le canzoni di Rodari” mette in scena le canzoni del famoso Album del 1974 del cantautore Sergio Endrigo, dedicato al mondo poetico del grande Gianni Rodari, ambientandolo in un’aula di scuola con tanto di banco, sedie, cartina geografica, e una lavagna. Il nostro Valentino rimanda ai bambini il mondo rodariano, cantando e suonando, da par suo, ukulele, maracas, sonagli, armoniche, flauti e trombette e, come un antico maestro, come quello che avevamo alle Elementari, racconta l’importanza delle cose di ogni giorno, mescolando didattica e fantasia, pensieri di amore per sé e per gli altri. E così dalla nostra memoria trasmigrano alle nuove generazioni le parole delle più famose poesie dell'altro “ Maestro” quello indimenticabile e indimenticato di Omegna da “Ci vuole un fiore” a “un signore di Scandicci” da “Napoleone” a “Zucca Pelata” presentate in nuova veste, componendo un omaggio al mondo della scuola, agli insegnanti, ai genitori e in definitiva ai bambini e alle bambine che ogni giorno imparano a diventare grandi.

CUORE/ CLAUDIO MILANI - MOMOM
Nel tratteggiare l’incantevole spettacolo di Claudio Milani “Racconto alla rovescia “ sul tema della morte, ma soprattutto sui meravigliosi doni che la Vita ci concede ogni volta, avevamo sottolineato come la tecnologia, attraverso dei semplici, seppur ricercati meccanismi, molto suggestivi, si fosse messa in modo poetico al servizio della narrazione. Nel suo ultimo lavoro “Cuore “ ci pare che avvenga invece l’incontrario: è la narrazione che si mette al servizio della tecnologia per narrare la storia di Nina, una bambina dal carattere alquanto vivace e curioso, che abita con i grandi della sua famiglia in una casa vicino al bosco nel quale incontra la Fata dai Cento Occhi e un fauno, diventato Orco. La Fata vi ha fatto una magia : chiunque entri non può più trovare la strada per uscire, mentre l’Orco mangia il cuore di chi avrà la sventura di incontrarlo. La piccola Nina con la sua grande energia oserà mettersi tra loro, avendo il coraggio di entrare diverse volte nel bosco, riuscendo perfino a non farsi mangiare il cuore e riportando l’armonia dei colori in un bosco tutto grigio. Claudio Milani racconta una storia di fiori, di occhi, di creature portentose, ma soprattutto di emozioni. Ma come premesso, ci sembra che la tecnologia utilizzata per creare dei veri e propri effetti speciali sia eccessivamente invadente rispetto anche a una storia fin troppo arzigogolata e ripetitiva, spesso interrompendo forzatamente il fluire del racconto. È anche vero che l’intenzione dell’artista comasco fosse proprio quella di esplicitarla nel modo più evidente possibile, svelandone direttamente sul palco alla fine anche i più segreti meccanismi. Rimane il fatto, almeno per noi e anche, ci è parso, dalla reazione dei bambini che assistevano allo spettacolo, che “Cuore “ si fa amare soprattutto per la semplice empatia della narrazione inclusiva di Milani e quando la tecnologia si affida a piccoli semplici espedienti, a un piccolo pallone che improvvisamente si svela o a un mare di lacrime, creato da un semplice telo che si gonfia trasportando una piccola barchetta.

SBUM-YES WE CAKE / FRATELLI DALLA VIA- LA PICCIONAIA
Uno degli spettacoli più interessanti visti al Festival è stato senza dubbio “Sbum - yes we cake “, scritto e interpretato per i vicentini della Piccionaia dai fratelli Dalla Via, Marta e Diego. Molte volte il Teatro ragazzi, e non solo ultimamente, anche per il grido d'allarme “urlato” soprattutto dalle nuove generazioni, si è interessato con diversi spettacoli della precaria situazione ambientale del nostro pianeta. “Sbum - yes we cake “ cerca di andare più in là, connettendola con il generale deficit di Democrazia e di Informazione, spesso contraddittoria, che piano piano si sta diffondendo in tutto il mondo. “Sbum - yes we cake “ risulta essere dunque una creazione che, mescolando dati di realtà e fantasticherie, pone una riflessione profonda, intrisa di amara ironia sul futuro non solo del nostro pianeta, ma anche della nostra civiltà. Per far questo lo spettacolo utilizza la metafora della torta : “yes we cake “, grida all'inizio dello spettacolo il fantomatico presidente lo Stato Unito del Mondo, affermando che bisogna finalmente far festa perchè per ognuno di noi la sua fetta di torta sta arrivando. Della partita sono tra gli altri anche due Pasticceri, due Costruttori e Due Esperti in comunicazione alle prese con una torta che in definitiva non può essere confezionata perchè non esiste proprio e non può essere divisa da nessuno a parte da chi già la possiede e se la tiene per sé, almeno per un poco. Ecco che così dalla surreale scrittura scenica di Marta e Diego Dalla Via traspare chiarissima la percezione sia del persistente egoismo dell'essere umano che non riesce ancora a comprendere la stupidità dei suoi comportamenti che stanno mettendo a rischio tutte le possibili conquiste, fin’ora acquisite, sia del sottile calcolo del potere che per interessi personali, cerca sempre di più di illudere i propri cittadini pontificando che molto si stia facendo per migliorarne l'esistenza, quando invece ogni cosa è compiuta per il proprio interesse, manipolando anche i dati più concreti che in questo modo non risultano più certi. Solo alla fine Marta Dalla Via, impersonando la manifestante con l'impermeiabile giallo, si concede un attimo di redenzione: Siamo maghi dilettanti con l’illusione di avere il controllo sulle forze della natura ma la verità è che non abbiamo nessun controllo. La verità è che la torta c’entra poco con la festa. La vita non può essere misurata e ridotta in fettine. Abbiamo bisogno di spazi, abbiamo bisogno di sperimentare, di fallire. Siamo in ballo, balliamo. è un gioco, inventiamoci nuove regole. La festa ha bisogno dei nostri corpi, ha bisogno dei nostri pensieri, perchè siamo noi ad essere sacri ad essere magici, ad essere reali, qui e ora. Non è una questione generazionale è una questione di responsabilità. Proprio qui proprio ora. “Sbum - yes we cake “ rivolto agli adolescenti, ma anche in un progetto di discussione e di coinvolgimento ai ragazzi più piccoli, è uno spettacolo coraggioso, una scrittura finemente contemporanea. Una via benvenuta che ravviva e diversifica le proposte di teatro ragazzi.

RUMORI NASCOSTI/ EMANUELA DALL'AGLIO TEATRO DEL BURATTO - CSS TEATRO STABILE DI INNOVAZIONE DEL FRIULI V.G.
In “Rumori nascosti “ Emanuela Dall’Aglio, coadiuvata dal fido Riccardo Paltenghi, inventa un nuovo incanto di teatro di figura, partendo non più da una gonna ma da una grande vestito che piano piano si apre prodigiosamente, mostrando una grande casa con tutti i suoi locali, compresi i suoi abitanti. Una casa però piena di misteri con porte che cigolano, passi misteriosi, persino strani rumori che provengono dai muri. Lucia, la bambina che abita quella casa, che ama il silenzio della notte, che ne ascolta tutti i palpiti e i sospiri, si accorge subito che c'è qualcosa che non va, nonostante che la mamma e il fratellino non se ne preoccupino. Per raccontarci questa strana storia che un po' di sana paura subito ci ha trasmesso, Emanuela ha preso ispirazione, non come i tre precedenti lavori dalle fiabe raccolte dai Grimm (Rosso Cappuccetto, Gretel e Hansel e Gianni e il Gigante) di cui è stata privata in modo burocraticamente arrogante, ma da una fiaba moderna : “Lupi nei muri “di Neil Gaiman del 2003. Ancora come i precedenti presentato da Gallina Cicova, la famosa ricercatrice dell’RRFO, Recupero Reperti Fiabe Originali, lo spettacolo vedrà la nostra Lucia, combattere coraggiosamente contro gli autori di quei strani rumori nei muri che scoprirà essere dei veri e propri lupi che piano piano si erano impossessati della sua casa. La nostra coraggiosa protagonista, aiutata anche dall’inventiva del fratello, riuscirà nell’intento di riappropriarsi della propria casa, scacciando gli intrusi che l'avevano messa a soqquadro. Emanuela Dall'Aglio, utilizzando pupazzi mossi a vista che l'animatrice con il suo compagno di lavoro fa uscire da ogni anfratto della casa ma che si porta anche con sé, dilogandoci in proscenio, impersonando pure una sagace madre emiliana, provetta cuoca, ma anche proiettando magice ombre creatrici di atmosfere, realizza un composito spettacolo di figura dove la paura regna sovrana, impersonata da Lupi dalle strane fattezze e di diverse dimensioni che però cantano anche allegramente “Mambo Italiano”.

NARCISO / ECO DI FONDO
Chi potrebbero essere oggi Narciso ed Eco, i protagonisti del celebre mito che vede come protagonista il famoso bellissimo cacciatore greco e la bellissima ninfa, si chiedono Giacomo Ferraù e Giulia Viana con in scena Marco Rizzo, attraverso l’allestimento multimediale e tecnico di Lorenzo Crippa. In “Narciso “ i nostri due autori ipotizzano il title role come uno dei tanti ragazzi che si isolano vivendo immersi nel mondo fittizio del computer. Capitato per caso nello studio dello zio inventore, il nostro protagonista si mette a giocare con le sue portentose invenzioni, andando su e giù con il tempo, stimolato da un ‘Eco” che non potrebbe avere che le fattezze di una petulante Alexa, che lo mette in guarda sulle sue azioni. Ad un certo punto però il nostro adolescente si immerge così tanto negli schermi che costellano lo studio che ad un certo punto si trova davanti un alter ego a cui è permesso tutto e in cui volentieri si riconosce ma che man mano gli mangia l’anima . È in questa seconda parte che lo spettacolo si fa amare, dove la metafora di Narciso prende forma in modo forte e compiuto, trasportandola nel sentire contemporaneo. Forse troppo tardi, in una creazione che cerca di far riflettere seppur in modo un po'scolastico i ragazzi anche sul concetto di tempo e di come sia importante utilizzarlo in modo producente perché alla fine passa troppo in fretta per sprecarlo banalmente. Si poteva forse osare di più, anche perchè Narciso non matura delle scelte personali, ma nel suo immaginarsi da grande, ricalca troppo le orme dello zio paterno. Marco Rizzo fa del suo meglio per interpretare un adolescente ma spesso il bamboleggiamento e l’eccesso espressivo diventano, man mano che la storia si dipana, risultano davvero controproducenti , togliendo spessore ad una storia, che pur utilizzando una metaforizzazione molto stimolante, ha comunque  bisogno di trovare ancora, secondo noi, la sua giusta messa a fuoco.

LA GUERRA DEL SOLDATO PACE/FONDAZIONE TEATRO RAGAZZI E GIOVANI DI TORINO - FONDAZIONE SIPARIO TOSCANA
Emiliano Bronzino mette in scena, avendo come dramaturg Paola Fresa, il romanzo dello scrittore britannico Michael Andrew Morpurgo “La guerra del soldato pace “ del 1970. Siamo a Ypres, il 24 giugno 1916, ore dieci e cinque, siamo al fronte dove inglesi e Francesi combattono contro il nemico tedesco. In una specie di flusso della memoria la narrazione dell’efficacissimo Daniele Marmi, che impersona Tommaso, Tommo che di cognome fa' davvero Pace , il protagonista della storia, ci trasporta quasi subito, lontano da questo luogo nefasto, in una pacifica famiglia inglese da cui escono vivissimi dal ricordo i suoi componenti. Ecco i due fratelli di Tommo : il dilettissimo Charlie, con cui ha passato mille avventure, l’altro, Big Joe, più grande e grosso di loro, ma rimasto bambino, che ride sempre e se ne sta sul suo albero a cantare “Arance e limoni “, la madre sempre in cerca di un lavoro per sfamare la famiglia, la nonna, o meglio la zia della mamma, detta Lupo, e forse si può immaginare perchè e poi Molly, la meravigliosa compagnia di giochi, che diverrà la sposa di Charlie. Nei ricordi di Tommo, troneggia anche la figura del Colonnello, l'autoritario padrone di quasi tutto il villaggio, per cui anche il capofamiglia lavorava. Già e il papà di Tommo, Charlie e Big Joe? Il papà dei ragazzi non c'è più, a ricordarcelo vi è in mezzo alla scena un grande tronco d’albero che ha spezzato la sua vita e della quale Tommo si sente un po' colpevole, e di cui sentiremo spesso il tonfo, una specie di rumore del Destino. Nelle parole di Tommo scorre la vita di tutti i giorni, il passare del tempo, la relazione tra i personaggi, resi con grande efficacia dalla narrazione di Marmi, impastata di nostalgico rimpianto per una vita all'aria aperta, per un affetto forte e sincero, mentre il tronco e i cavalletti su cui poggia nella narrazione acquistano diversi significati. Nostalgia, certo, perchè, poi arriva la guerra ed il tono dello spettacolo cambia registro. Siamo nel 1916 e Tommo e Charlie benché giovani devono, vogliono, partire per il fronte. E qui la vita dell'amatissimo Charlie si interromperà, non già per colpa di una bomba, ma della stupidità della guerra e degli esseri umani che ancora oggi la fanno, senza un reale perchè, sulla pelle di uomini, di ragazzi come i fratelli Pace. Ma lo spettacolo non racconta ai ragazzi solo la stupidità della guerra, ma, fuor di ogni retorica, anche di amore e di affetto, un affetto che continuerà anche dopo la morte: il figlio di Charlie e Molly, si chiamerà Tommaso, Tommo!

GARO' - UNA STORIA ARMENA DI PINO DI BELLO ANFITEATRO-UNOTEATRO
Il Protagonista di Garò, l'ultimo spettacolo firmato da Pino Di Bello per Anfiteatro con in scena Stefano Panzeri, è un uomo armeno, Garò Surmelyan che abita a Shevàn un piccolo villaggio di montagna. La sua storia non ce la racconta lui in persona ma un Meddah, un antico tradizionale narratore armeno che adattando un lungo tessuto riesce ad innestarsi con maestria negli altri personaggi, parlando in vece loro. Garò Surmelyan è morto e per poter riposare in pace come tutti gli altri morti ha bisogno della verità e che la sua storia venga raccontata interamente per essere di monito per quelli che verranno. Garò Surmelyan è una povera anima triste seduta sulla cima di una montagna : il nostro Meddah le se avvicina volando e incomincia a raccontargli la sua storia, munito anche del suo tradizionale bastone che gli serve per raccontare e di 3 mele. Gli racconta della sua nascita, dei riti e delle feste realizzati per capire quale sarebbe stato il suo destino, gli narra del suo matrimonio predestinato, della paura dei Curdi, della morte di Arpìk e del loro bambino, del suo primo incontro con Anahit e della sua partenza per l'America dove vi rimase per sedici anni e anche del suo ritorno. Il Meddah continua a ricordare all'anima di Garò, che ha perso la memoria a causa di una fucilata in testa, anche del suo nuovo matrimonio con Anahit, un matrimonio festeggiato per sette giorni e sette notti tra canti, balli, fiori e montagne di cibo.Tutto è intriso nella tradizione armena di Fiaba e di Nostalgia, ma ora al Meddah tutto ciò non servirà più, ora bisogna raccontare la cruda verità. Ecco che si spoglia del tessuto e del bastone e si mette a narrare per filo e per segno della deportazione e della eliminazione di un milione e mezzo della sua gente, perpetrate dall'Impero ottomano tra il 1915 e il 1916 : ora è necessario ricordare le indicibili sofferenze del popolo armeno, delle atrocità commesse su un preciso disegno dai Turchi e dai Curdi su un popolo indifeso che ha dovuto lasciare le proprie case e mettersi in cammino verso il nulla.
Ma l'anima di Garò vuole sapere, anche di sé stesso e della fine della sua famiglia e il Maddah gli disse che era fuggito dietro a un uccellino perdendosi nell'immensità del creato ma lo conforta anche raccontandogli della pietà di una donna non armena ma turca e musulmana, Meliha e del marito Yussuf che hanno raccolto il figlio chiamandolo Haik, come il primo Armeno e che alla fine, Haik ha saputo di essere il figlio di Garò e di Anahit Surmelyan del villaggio di Shevàn, Armeno. Pino Di Bello attraverso la narrazione sempre misurata e limpida nella sua ricercata sacralità di Stefano Panzeri imbastice una sorta di immersione nella cultura e nella storia di un popolo martoriato, restituendocene il mondo, i riti e le usanze, facendo nel contempo uscire dalla memoria, spesso sopito, un genocidio che non possiamo dimenticare affinchè non debba ripetersi. Ma lo sappiamo che è inutile perchè l'essere umano ama sempre ripetersi nelle sue peggiori esternazioni, e ancora oggi ne abbiamo un esempio chiarissimo.
MARIO BIANCHI

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JANIS. TAKE ANOTHER LITTLE PIECE OF MY HEART / TEATRO DEL BURATTO

E’ davvero un azzardo, pensavamo, proporre uno spettacolo su Janis Joplin ad un pubblico di ragazzi adolescenti. Inafferrabile, inarrivabile e assolutamente straordinaria, difficile da raccontare nella eccezionalità della sua vita, unica e irripetibile. Difficile pensare di andare al di là della contemplazione che ancora di più segna la distanza tra un noi e un LEI. E invece questo spettacolo spiazza perché la scelta che fa è esattamente quella contraria: raccontare Janis in modo inedito, tenendo in sordina tutto quello che da lei sottolinea una lontananza e puntando a ciò che invece la rende prossima, compagna di banco, vicina di casa. Una convincente Marta Mungo si propone sul palco come molti di noi potrebbero riconoscersi: adolescente, incompresa e per questo ghettizzata e presa in giro, bullizzata con una sensazione infinita di inadeguatezza e allo stesso tempo in contatto con l’urgenza di misurarsi con la libertà. Ma ecco che piano piano prende forma sul palco una storia, quella di Janis, quella inedita, quella che sottostà alla storia che poi tutti conosciamo e i due percorsi quasi si sovrappongono in un’esperienza comune. Attraverso documenti, pezzi di diario, video, che per chi conosce e ama Janis Joplin sono un tuffo al cuore, e la storia narrata con un taglio intimista dall’attrice sostenuta dal tecnico/narratore in scena Davide Del Grosso che firma anche il testo e la regia, si attraversa la vita dell’adolescente Janis fino agli ultimi giorni di vita che la vedono ancora giovanissima donna alle prese con i suoi fantasmi e i suoi demoni sempre più inaffrontabili mentre, parallelamente, scorre la sua incredibile apertura al mondo, alla musica, il suo riuscire a far coincidere totalmente il suo terrore e la sua vitalità in quella voce, in quella spinta quasi sovrannaturale. Un pregio grande ha questo spettacolo: portare un’artista così rivoluzionaria nella vita degli adolescenti di oggi. Raccontare che è vissuta, aprire l’ascolto a qualcosa che forse in tempi moderni si è rivisto solo con Amy Winehouse. Forse è da chiarire meglio la posizione del tecnico/narratore, forse ci si può ancora interrogare se sia proprio necessaria la figura di mediazione di Marta che racconta un’adolescente che si misura con la vita di Janis Joplin, considerando che ciò che lo spettacolo si propone è proprio creare quel riconoscimento tra lo spettatore adolescente e l’artista, ma non si può non riconoscere che la nuova produzione del Teatro del Buratto sia quasi un’assunzione di responsabilità che rende questo spettacolo un lavoro interessante e coraggioso .

A PESCA DI EMOZIONI / ECCENTRICI DADARO'
Delizioso spettacolo dedicato alla fascia dei più piccoli dai 3 anni d’età, la nuova produzione degli Eccentrici Dadarò colpisce il pubblico di grandi e piccini. Proprio così, perché nella semplicità del racconto, c’è una sapienza fatta di esperienza, competenza e ricerca che permette al lavoro di scivolare via in 50 minuti, che corrono come il vento, lasciando una scia di emozioni e leggerezza di cui si ringrazia per tutto il resto del giorno. Questo lavoro nasce da tre artisti Umberto Banti, Simone Lombardelli e Dadde Visconti ed è stato parte di un programma di intervento rivolto alle famiglie con figli che attraversano momenti di difficoltà. E’ un lavoro che parla di emozioni. Che aiuta ad identificarle, a riconoscerle e a gestirle. La messa in scena è semplice e colorata: due davanzali a fondo palco con una fioriera davanti che invece di accogliere fiori vede svettare palloncini colorati. Due buffi personaggi aprono le finestre e si affacciano sul mondo ognuno con la propria predisposizione e reagendo agli stimoli esterni: la musica, una tazzina che cade, qualcosa che li spaventa. E ad ogni cambio emotivo corrisponde un palloncino con un colore ben preciso che prende posizione sulla testa. Una volta capito il meccanismo comincia la storia. I due buffi personaggi, uno giallo e uno azzurro, non si conoscono ma amano entrambi andare a pesca in bicicletta. Ed è divertente vederli sfrecciare per lo spazio scenico con in realtà soltanto un manubrio ma vedendo un corpo che diventa un tutt’uno con la restante parte della bicicletta che però non esiste in una serie di gag esilaranti dal registro clownesco. Finalmente si arriva in riva all’acqua e improvvisamente, al momento di posizionare la propria sediolina, si accorgono uno della presenza dell’altro. E da questo momento l’incontro diventa una esilarante competizione su chi riuscirà a spuntarla ad avere il posto migliore e a creare le condizioni ottimali per pescare serenamente. Ma, si sa, la convivenza è tutt’altro che facile: uno dei due fa rumore e l’altro si arrabbia, uno dei due ha da mangiare e l’altro guarda, uno dei due ha le esche migliori e l’altro si intristisce. Ma arriverà un momento in cui i due si accorgeranno che uniti si va più lontano e ci si diverte molto di più. E’ interessante la riflessione che suscita questo spettacolo. I primi cinque minuti che sono evidentemente quelli in cui, con il pretesto della presentazione dei personaggi, viene spiegato il meccanismo dei colori viene vissuto dall’adulto quasi con un leggero disinteresse giudicante che considera didascalica questa spiegazione: si potrebbe iniziare subito con la storia, si potrebbe pensare. Ed invece quei primi cinque minuti dedicati alla costruzione dell’alfabeto comune con cui leggere tutti insieme la storia sottendono ad una cura, ad un amore, ad una conoscenza del mondo infantile che in qualche modo chi fa teatro per l’infanzia dovrebbe sempre avere. Ci si sente coccolati, rispettati e compresi nei propri tempi. Ci si sente divertiti e alleggeriti dal dovere di una elaborazione intellettuale: l’elaborazione c’è ma si estende ad un livello emotivo che aiuta a far propria la storia di quei due personaggi e a riconoscere che ognuno di noi, dentro, è davvero molto colorato.
ROSSELLA MARCHI

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VARIATIONS/ MARIONETTE DE FILIPPO
A volte capita, girando i festival, di rivedere più volte lo stesso spettacolo e di ritrovarsi involontariamente a seguirne l’evoluzione, a cogliere varianti apparentemente minime, ma sostanziali per calibrarne il senso.
Variations della Compagnia Di Filippo Marionette nel giro di un anno o poco meno è cambiato moltissimo da questo punto di vista. Nato durante la pandemia nel tempo obbligato della stasi, lo spettacolo, come dichiara il titolo, inanella una serie di “variazioni” giocate sulle potenzialità espressive ed emozionali di un’unica marionetta. Una sfida, tra virtuosismo e invenzione continua. Tanto più che Remo e Rhoda, le due anime della compagnia, si erano prima sempre misurati su un arco dramrgico essenziale, su “numeri” da Varietà poetico, dove la levità delle microstorie inanellate fosse specchio di quella delle marionette: leggerezza di creature di sogno che per definizione sfuggono alle leggi della gravità. A questo deve aggiungersi che Remo e soprattutto Rhoda hanno maturato un loro particolare punto di forza nel rapporto diretto col pubblico, quasi una complicità figlia del teatro di strada e di un’innata solarità. Da queste premesse nasce Variationes - un esperimento in origine, si diceva - in bilico sul crinale di una doppia situazione: quella sviluppata a partire da quell’unica marionetta e quella che intercorre tra i due animatori. Trovare il punto di fusione è stata (ed è) una scommessa nella scommessa, che impone un cambio di mentalità: abbandonare l’accadimento dichiarato a favore della rappresentazione. In altri termini indurre alla ridefinizione della figura del marionettista in scena come personaggio compiuto. Non più Remo e Rhoda che presentano le loro creature, ma un altro Remo e un’altra Rhoda che in un contesto privato, intimo, giocano a infondere vita a una marionetta progressivamente assemblata. La marionetta è quasi strumento, mezzo, per raccogliere i fili che i due personaggi umani portano addosso e che rimandano metaforicamente a emozioni del loro vissuto. Certo in scena si seguono le vicende di quella creaturina che suscita grande tenerezza, ma in realtà questa altro non è il legame segreto che unisce i due personaggi umani, il punto di convergenza di quei loro fili destinati a incontrarsi e annodarsi.
Pare questa la strada imboccata dallo spettacolo nel corso delle tante repliche e ancora probabilmente si svilupperà, mettendo a fuoco non tanto ciò che i due personaggi in scena fanno compiere alla marionetta, ma quanto questa fa compiere ai due personaggi.
Spettacolo dalle potenzialità seducenti di là dal virtuosismo di grande eccellenza.
ALFONSO CIPOLLA

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STORIA DI AMORE E D’ALBERI / SIMONA GAMBARO - INTI
Il remake dello spettacolo di Francesco Niccolini e Luigi D’Elia, interpretato da Luigi D’Elia oltre 10 anni fa, ha trovato oggi una nuova vita ed una diversa poetica (altrettanto coinvolgente) nell’interpretazione di Simona Gambaro.Un personaggio sparuto e carico dei più svariati oggetti entra in scena. All’inizio con difficoltà ed incertezza, poi sempre più partecipe, ci racconta le disavventure tragicomiche di se stesso - angelo custode pasticcione punito da Domineddio - e chiede agli spettatori un consiglio su come comportarsi.
Lo spettacolo, estremamente poetico, si avvale di una scenografia essenziale, portata in scena come bagaglio dal nostro personaggio, che illustra simbolicamente - ed in modo perfetto - le 3 storie raccontate: il pagliaccio divorato dai leoni (che fa sì che inizi la punizione dell’angelo), la vita di un giardiniere improvvisato ( dal testo di Jono “L’uomo che piantava gli alberi”), la breve storia di una poetessa con le scarpe strette.
La drammaturgia riesce a far entrare fluidamente una storia nell’altra, complice sia l’incontro con il “datore di lavoro” dell’angelo - che permette di dare al pubblico l’informazione sulla punizione comminata – sia il coinvolgimento del pubblico volto ad aiutare il protagonista, attraverso una canzone corale, a ricordare il suo racconto.
Essenziale ed efficace l’uso, limitato, delle luci, che riescono ad evocare l’Altissimo solo attraverso un fascio di colore.
Con Luigi D’Elia era la storia ad essere protagonista, attraverso una narrazione struggente; con Simona Gambaro il protagonista è il personaggio: che commuove e che si vorrebbe prendere in braccio, consolare e rassicurare sul suo futuro. In poche parole uno spettacolo che ha preso una luce nuova nel medesimo modo efficace e coinvolgente
NICOLETTA CARDONE JOHNSON

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SOLITARIUM / TEATRO DISTINTO
Del particolarissimo spettacolo di Daniel Gol ecco le impressioni critiche di Alessia Moretti ed Eleonora Blandini che hanno partecipato al corso di Critica teatrale nel Teatro ragazzi organizzato da Assitej e Hystrio con l'apporto di Demetra. Come accaduto per Giocateatro le raccoglieremo tutte più avanti nella sezione Stelle Lontane.

Una storia d’amore sul pianerottolo di casa :  vediamo due amanti timidi e delicati che piano piano di scoprono e si conoscono fino ad innamorarsi e diventare un tutt’uno.
Pochissime parole accompagno la crescita di questo spettacolo, fatto di sguardi, suoni e movimenti. Una pulizia impeccabile e la bravura dei due attori donano allo spettatore 50 minuti di fiato sospeso e di tenerezza. La semplicità dei piccoli gesti permette di immedesimarsi in quel timore di mostrarsi all’altro per paura di sentirsi inadeguati e giudicati.
La scenografia viaggia e cresce insieme alla storia: prima le porte rappresentano quasi un ostacolo per poi diventare solo un mero passaggio verso l’altro.
ALESSIA MORETTI

Uno spettacolo di poche parole :  Due vite in parallelo, quelle di un uomo e una donna che tentano il primo approccio di conoscenza l’uno con l’altra. Due vicini di casa, separati da due porte all’apparenza chiuse, ma che si rivelano aperte, dopo una titubante prova di rapportarsi gli uni con gli altri. Tramite un rapanello, come fosse un passaggio di testimone, si mettono in contatto, superando mano a mano la timidezza e la paura del giudizio. In questa danza sull’insicurezza, si vede sbocciare un amore delicato, privo di secondi fini, dove l’importante è riuscire ad andare oltre la confortevole solitudine, per approcciarsi alla relazione umana. Da una produzione di Teatrodistinto, con autore e regista Daniel Gol e gli attori Sebastiano Bronzato e Chloè Ressot, che eseguono una danza accattivante, sempre consona con diversi attimi in cui si ritrovano ad eseguire movimenti in sincrono.
ELEONORA BLANDINI








LE FOTO DI MASSIMO BERTONI





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