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Eolo
recensioni
TEATRO TRA LE GENERAZIONI 2022/IL REPORT DI EOLO con le foto di Massimo Bertoni
IL RESOCONTO DI MARIO BIANCHI E ROSSELLA MARCHI CON UNA NOTA DI KATIA SCARIMBOLO


Guarda le foto di Massimo Bertoni

Dal 22 al 25 Marzo a Castelfiorentino si è svolta la XI edizione del Festival “ Teatro fra le generazioni “ diretto da Vania Pucci e Renzo Boldrini della Compagnia empolese” Giallo mare minimal teatro”. Ancora una volta la manifestazione si è dimostrata non solo una vetrina di spettacoli dedicati all'infanzia ma un crogiolo di possibilità di discussione intorno alla funzione del Teatro ragazzi, ma non solo e di sperimentazione di nuovi progetti ancora in nuce. Il cartellone della manifestazione, apertosi con una nuova versione tecnologica, ma non solo, della celebre fiaba del Brutto anatroccolo” dei pratesi del TPO, ha offerto una ricca e diversificata programmazione con ventisette appuntamenti, cinque prime nazionali, ventotto compagnie teatrali con perfomance , incontri e workshop, che si sono tenuti nelle variegate sale del del Teatro del Popolo. Non potendo relazionarvi con profondità su tutto quello a cui abbiamo assistito, con Rossella Marchi, tralasciando anche molti dei pur meritevoli “studi” che hanno impreziosito il festival ( tra questi curiosissimi di vedere l'esito finale di "Cipì" tratto dal romanzo di Mario Lodi, realizzato dal'inedita e azzardata coppia formata da Zaches e Giorgio Scaramuzzino),sui quali è ancora troppo presto per esprimerci, cercheremo di proporre le suggestioni e anche i personali dubbi operativi che ci sono giunti da alcuni spettacoli, tentando di trovare ulteriori raccordi tra le varie altre proposte di questa edizione del festival.
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Durante “ Teatro fra le generazioni “ è stato presentato il volume Arcipelago teatro ragazzi. Il contributo ci è parso molto importante perchè risulta essere un’inchiesta approfondita sul teatro in Toscana per/con i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, a cura di Francesco Brusa, Nella Califiano e Rodolfo Sacchettini (Altre Velocità) per Cue Press, nato da un'idea di Renzo Boldrini di Giallo Mare Minimal Teatro che ha invitato nel 2017 “ Altre Velocità “ a seguire il festival Teatro fra le Generazioni a Castelfiorentino e a raccontare quel che accadeva. In seguito, grazie alla Regione Toscana e alla Fondazione Teatro Metastasio, è iniziata una ricerca lunga più di due anni che ha messo in campo differenti strumenti: un questionario sul senso artistico del teatro ragazzi (a cui hanno risposto ben 43 realtà toscane), alcune analisi quantitative sulla produzione e la distribuzione, le testimonianze dei protagonisti con saggi di approfondimento e una breve cronistoria. Il volume Arcipelago teatro ragazzi è diventato così un’inchiesta per riflettere su un’area teatrale di straordinaria importanza che oggi, più che mai, continua a interrogarci sul presente e sul futuro.
Durante il Festival vi è stato anche un interessante dibattito a cui hanno dato un contributo diverse voci tra gli operatori presenti con punti di vista molto interessanti, alcuni dei quali in qualche modo coinvolti, coordinato da Giorgio Testa e Giuseppe Anselmo della Casa dello spettatore, sul rapporto guerra e spettatori che ha toccato il rapporto tra l'informazione e il conflitto ucraino russo, che si sta svolgendo dolorosamente in questi giorni.
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Molti gli studi osservati a Castelfiorentino provenienti dal Corso di alta formazione riguardante il Teatro di Figura " Animateria" , alcuni dei quali avevamo già visto in precedenza. Tra quelli che hanno attraversato il nostro sguardo per la prima volta ci sono sembrati molto promettenti Corpo Celeste di Benedetta Pigoni, ispirato ad una storia vera, con al centro i sogni e le fantasticherie di Celeste costretta a letto dalla S. M. A., atrofia muscolare spinale e Ghiuma, l'omaggio alla poetica del maestro Filippe Genty dei bravissimi ed ispirati Federico Meneghel e Sofia Orlando.

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DANTE E LA DIVINA COMMEDIA..... DUE POSSIBILI PROGETTI


Abbiamo visto nell’anno appena trascorso in quante maniere in teatro si possono proporre la figura del Divin Poeta e la profonda essenza del suo celeberrimo poema in modo appetibile e consono ad un possibile più vasto pubblico senza per quello abbassarne il tono e gli accenti. Al Festival ne abbiamo viste ben due, diversissime tra loro, per modi e approcci. Nel primo, addirittura, in un progetto del friulano Css, realizzato con i luganesi del Lac, vi ci siamo immersi dentro. “Nel mezzo dell’inferno “ infatti risulta essere un’esperienza diretta di realtà virtuale, coniugata a una progettazione architettonica dello spazio e del suono in 3d, dove diretti da Fabrizio Pallara, che ne ha curato anche la drammaturgia con Roberta Ortolano, indossando dei visori, siamo stati catapultati veramente“ Nel mezzo dell’Inferno “. Accompagnati da Dante e dal di lui maestro Virgilio, abbiamo incontrato anche noi le tre celeberrime fiere che contraddistinguono l’inizio del viaggio, abbiamo oltrepassato la famosa porta dove avremmo dovuto lasciare ogni speranza, ci siamo confrontati con Caronte, siamo stati nel Limbo, abbiamo osservato sospesi nel vuoto le anime dannate, abbiamo incontrato Paolo e Francesca, Ulisse, e su un vero e proprio ascensore siamo discesi nel Cocito tra i traditori a conoscere Belzebù in persona per poi risalire a vedere le stelle con l’armata presenza di Beatrice. Nel mondo ricreato dal bellissimo progetto, omaggiando Gustave Dorè, con le musiche di Okapi, abbiamo vissuto in solitaria davvero un’esperienza unica e speciale, abbiamo creduto davvero con timore di cadere ogni volta nel vuoto, ma rapiti da cocente bellezza potremmo veramente dire a tutti dire con certezza di essere stati all’Inferno e non in una palestra di una scuola di una piccola città della Toscana.

Diverso ovviamente l’approccio di Renzo Boldrini per il suo “Bambini all’inferno” dove, aiutato dal fido Tommaso Taddei, compie lo stesso viaggio dell’Alighieri, utilizzando le armi apparentemente più spuntate della parola. Nel medesimo modo senza necessità di alcun paio di occhiali il teatro elargisce lo stesso i suoi portentosi frutti, trovando il suo naturale sviluppo nell'immaginazione degli spettatori. Su un semplice leggio e due grandi quaderni che nascondono piccole meraviglie, il nostro vulcanico raccontatore, utilizzando un un impasto di dialetti e rigorosamente in rima, offre il divin poema ad un pubblico di ragazzi mai abbassandone il tono e i significati, ma adeguandone gli accenti con piccole ma significative invenzioni, dove ancora una volta il teatro di figura la fa da padrone.
Piccole sagome colorate, semplici maschere di carta, apposte sul viso per definire altri personaggi, si muovono sul bordo del piccolo palcoscenico, formato dai due grandi quaderni, complici anche piccoli effetti speciali quali fuochi, fischi, rumori improvvisi . E così anche in “Bambini all’inferno “‘ incontriamo Virgilio, Paolo e Francesca, Ulisse, diavoli di ogni risma e fattura, dotati di corna e creature fantastiche, tenendo desta l’attenzione di un pubblico così particolare che in questo modo entra in punta di piedi ma divertendosi nella complessità delle terzine dantesche.

SEI STATO TULA PICCIONAIA AGRUPATION SERRANO

Interessante la collaborazione tra Carlo Presotto della compagnia italiana Piccionaia e quella Spagnola Agrupacion Serrano, per molti versi affini, nell’impostare “Sei stato tu “ creazione di stampo performativo che utilizza il video la videocamera in diretta, il corpo e la voce di tre attori Yele Canali, Stefano Capasso, Innocenzo Capriuoli per un viaggio nel tempo sul tema della responsabilità, coniugato al rispetto dell’altro. Tutto parte da un fatto accaduto nel cortile di una scuola dove un ragazzo ha rotto gli occhiali di un compagno mentre un altro è rimasto a guardare. Una sorta di macchina del tempo, che il teatro ci permette di utilizzare, ci fa scoprire tutte le pretese ragioni di quel gesto, tutte i punti di vista dei tre personaggi, interagendo con il pubblico che può intervenire nel vario gioco degli avvenimenti. Lo spettacolo termina dove è iniziato ponendoci una serie di domande : se potessi tornare indietro nel tempo. se potessi cambiare il passato, rifarei quel gesto, oppure alla rabbia sarebbe più giusto opporre il dialogo con il confronto delle reciproco delle idee. All'interessante progetto forse occorrerebbe, oltre che la giusta fredda ma meritoria analisi da laboratorio dei fatti, forse anche una maggiore empatia emozionale con l’immaginario e i personaggi che “Sei stato tu “ ci pone davanti.

PAPAGHENO PAPAGHENA PEM HABITAT TEATRALI

Papàgheno Papaghena una produzione di Pem Habitat teatrali messo in scena dalla compagnia Trioche è un divertente pastiche cabaret teatrale con al centro tre immaginari pappagalli, Lulù, Pepè e Cocò che si sono messi di buona lena per scrivere un' opera che diventerà immortale, anche se già scritta da Wolfgang Amadeus Mozart e che anche noi potremmo cantare e, confessiamo, sgangheratamente cantiamo, conoscendola a memoria. Divertendosi e baruffandosi tra loro, fra goffi tentativi e impensabili soluzioni, costretti per un misterioso sortilegio a finire di comporla, ce ne sveleranno i contorni, intonandone magnificamente anche alcune arie, finché Il Lacrimosa del suo vero autore li libererà finalmente da dove loro malgrado erano rinchiusi.Nicanor Cancellieri, Irene Geninatti Chiolero, Franca Pampaloni, imbastiscono con la regia di Rita Pelusio un curioso pastiche tra opera, circo e cabaret di gustosa fattura.

PAPERO ALFREDO ATG/Teatro Pirata

Nella memoria di molti adulti e ragazzi di tutta Italia rimane uno spettacolo di burattini del Teatro Pirata di Jesi che ha girato per molto tempo tutta l’Italia e non solo : “Il tesoro dei pirati “ Ecco che diversi anni dopo Simone Guerro, alias Bruce, continuando l’avventura teatrale di quella compagnia vuole rimettere in piedi lo stesso spettacolo, facendosi aiutare da un nuovo burattino, non un pirata ma ma ... un papero , sì proprio un papero che si chiama Alfredo . È un’occasione unica dopo mesi e mesi che il lavoro si è fermato a causa della Pandemia, ma a questo burattino che è figlio dei suoi tempi, di questi tempi, non interessano minimamente nè le avventure picaresche nè il tesori nascosti, ma la musica Rap, il free style , le challenge. Lui è un perfetto Youtuber e non vuole sentire ragione e quindi fa di tutto per sabotarne la realizzazione, Scritto da Simone Guerro e da Daria Paoletta, di cui intuiamo tutta la creatrice ironia, anche per merito di un’idea scenografica di Diego Pasquinelli che in quel mitico spettacolo era presente “Papero Alfredo “ si configura come un omaggio all’arte millenaria dei burattini, creando nel contempo un ponte tra le diverse generazioni, non solo tra chi ha costruito i due spettacoli ma anche tra i piccoli spettatori di ieri e di oggi . Simone Guerro si destreggia argutamente tra vocalità rap, lazzi e tenerezze per riconsegnarci un personaggio strabordante forse, petulante sicuramente, ma ricco di sincerità, di stupori e capricci come del resto lo sono i bambini .

I 7 CONTRO TEBE I SACCHI DI SABBIA

Dopo “Dialoghi con gli Dei” e “Andromaca” I Sacchi di Sabbia con il fraterno aiuto di Massimiliano Civica visitano, a modo loro, alternando l'alto e il basso, tragedia e commedia, cercando di sfuggire alla parodia sempre latente, il mondo mitico dell'antica Grecia, in questo caso la tragedia Eschilea “I Sette contro Tebe”. “I Sette contro Tebe raccontano la dolorosa storia di Eteocle e Polinice, i gemelli, figli di Edipo, dove dopo un flebile accordo per regnare a turno su Tebe, Eteocle rompe il patto, facendo catturare il fratello e allontanandolo dalla città. Polinice allora stringe un patto d’alleanza con il Re degli Argivi per vendicarsi di Tebe e del fratello. La tragedia di Eschilo inizia qui, con l’esercito argivo giunto davanti alle 7 porte di Tebe, governate ognuna da un temibile guardiano a cui verrà contrapposto un valoroso tenace nemico. Nessuno avrà la meglio e i due fratelli saranno costretti a battersi, rimanendo entrambi uccisi. Prendendo spunto dal fatto che le donne del coro, in attesa di notizie sull'esito della battaglia, prima intonano un canto pieno di paura e poi di pianto, lo spettacolo si immagina, in sintonia con lo spirito dello spettacolo, che finalmente le donne vogliano ridere, sbeffeggiandosi della guerra. Qundi “I Sette contro Tebe “ dei Sacchi di sabbia attraverso un coro femminile molto particolare, formato da Gabriele Carli ed Enzo Iliano, che si esprime attraverso dialetti toscani e campani, con il contraltare narrativo di Giulia Gallo, rimbrottato da un Eschilo (Giovanni Guerrieri) un poco incazzato per essere in qualche modo tadito, scandito dall'alternarsi dei 7 duelli, ci restituisce in modo gioiosamente contemporaneo, senza tradirne lo spirito, un testo ancora oggi attuale.

FIGURINE OFFICINE T.O.K.

Una bella e gradita sorpresa è stata infine “ Figurine” di Officine T.O.K. di Ines Cattabriga e Elisabetta Dini con Elisabetta Dini che ne scrive anche la drammaturgia con il sound design, le scene e le animazioni di Ines Cattabriga che già conoscevamo per il suo segno inventivo in alcuni degli spettacoli di Giallomare. In scena Elisabetta Dini è Luna, una ragazzina che vorrebbe, diventare una calciatrice: si una donna che vorrebbe giocare a Calcio come professionista ! Ma Luna ha scritto il suo Destino in fronte essendo nata  l'8 giugno del 1990 proprio quando l'Italia vince i mondiali e quando in cielo c'è una luna grossa grossa e splendente. Luna però non sa bene cosa le conviene davvero essere e così durante lo spettacolo la vediamo confrontare i suoi sogni con le persone che la circondano che le appaiono come figurine sullo schermo grande della vita. La zia, i nonni, la maestra e la mamma le parlano dei loro sogni e di quale futuro vorrebbero per lei. Luna è frastornata, per cui addirittura chiede conforto alla sua omonima, quella che sta in cielo, perchè la mamma le diceva sempre che i sogni li avvera tutti la luna. E la luna le sta accanto raccontandole anche una fiaba. Alla fine Luna comprende che è giusto fare esperienza seguendo i consigli degli altri ma quello che più conta è soprattutto sapere dentro di sé cosa è giusto voler essere e fare, anche perchè no ? Diventare una calciatrice. ! “ Figurine” risulta essere una bella e credibile storia di formazione dove ogni ragazzo,ogni ragazza, all'alba del momento delle loro scelte importanti vi si possono facilmente riconoscere attraverso una narrazione di semplice poetica sostanza.
MARIO BIANCHI

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LA BELLA ADDORMENTATA NEL BOSCO – CSS

Ancora una buona produzione del CSS di Udine per la regia di Fabrizio Pallara che cura anche l’adattamento di questa celebre fiaba che conosciamo tutti “La bella addormentata nel bosco”. Un piccolo spazio scenico da osservare con attenzione per tutti i piccoli dettagli che contiene e che quindi richiede uno spazio di visione che sia raccolto e intimo. La versione della fiaba che ci regala la credibile Nicoletta Oscuro è inedita perché ci porta il racconto dal punto di vista dell’ottava fata: quella che il re e la regina non hanno invitato al ricevimento per la figlia nuova nata. Ed è un punto di vista davvero interessante perché questa fata, certo non buona ma non poi così antipatica, ci porta a comprendere insieme alla settima fata bianca che "tesse" il racconto, come si costruiscano e si sviluppino le fiabe: proprio attraverso la figura nera della storia tutti i personaggi hanno la possibilità di esprimere al meglio le proprie peculiarità e far emergere chiaramente la distinzione tra il bene e il male. Ma il bene non potrebbe mai sprigionare tutta la sua intensità se non fosse contrapposto al male. La presenza dell’ottava fata diventa quindi determinante, necessaria, affinché il racconto possa sviluppare tutta la sua forza, permettendo allo spettatore di entrare in empatia con i personaggi e nel contempo conferendo il giusto valore alla conquista finale della felicità raggiunta attraverso i pericoli e gli intoppi, trovati lungo il cammino. Attraverso gli strumenti di una sarta antica, aghi, spilli, ditali e nappine la settima fata bianca tesse il racconto: la felicità è una meta da conquistare che acquisisce il suo significato grazie al percorso che si è fatto per raggiungerla. Così ci affezioneremo a questa fata, l’ottava fata nera, perché sarà grazie a lei che arriveranno le emozioni: da quando lancerà il suo maleficio, mitigato dalla fata bianca, a quando la bimba si pungerà, a quando si risveglierà e si innamorerà del principe. Ci affezioneremo alla settima fata bianca perché riuscirà a convincerci che in fondo i malefici sono sì sgradevoli ma che non sono poi una tragedia, ci racconterà dei fatti dolorosi che accadranno ma allo stesso tempo ci proteggerà dal racconto, come la madre che rassicura il figlio dopo la caduta, convincendolo poi a rialzarsi perché in fondo non si è fatto nulla. Nessuno avrebbe mai scritto questa storia se non ci fosse stata la fata cattiva a minare di ostacoli la strada per la felicità. Questo racconto, all’apparenza così semplice ma magistralmente costruito in ogni suo dettaglio, ci fa uscire da teatro pensando che in fondo le fate bianche sanno di dover essere riconoscenti  a quelle nere perchè attraverso loro potranno risplendere ancor di più.

BRICIOLE DI FELICITA’ ARTEVOX

Dedicato ai bimbi dai 3 anni il nuovo spettacolo di teatro di figura di Artevox firmato da Marta Galli e Anna Maini che insieme ne curano la regia. Il racconto prende lo spunto dal libro “Il venditore di felicità” di Davide Calì e Marco Somà. La scena sia apre con Il venditore di felicità che vende agli abitanti del bosco delle case sospese dei barattoli che, dice, contengono la felicità. Ognuno di loro li compra perché, in fondo, nessuno di loro e molto felice: Mirabel Fluid è una cantante che non canta più da tempo, Beniamino Miao vive con i suoi animali ed è sempre arrabbiato, Linda dei lavandai ha la mania di pulire e mettere in ordine ovunque si trovi, Biscottina Terrazza è la figlia di Ticchete Tac anziano signore smemorato che non la riconosce più ed è la mamma di Gennarino, l’unico che sarà in grado di scoprire il segreto del protagonista Ohibò che vive da straniero ai piedi delle case sospese. Arrivato il momento di aprire i barattoli della felicità ognuno si accorge di essere stato preso in giro: i barattoli sono vuoti. Gli abitanti sono quindi tutti disperati e arrabbiati ma Gennarino, grazie alla sua sete di libertà che lo porta sempre verso una nuova avventura, s’imbatterà, dapprima di nascosto, nel nostro protagonista: Ohibò, uno strano essere blu dalle grandi orecchie che si diverte a raccogliere piccoli oggetti smarriti dagli abitanti e a portarli nel suo buco dove vive ai piedi delle case sospese. Gennarino regalerà una mela ad Ohibò e questo gesto segnerà l’inizio della loro amicizia. Tornando a casa Gennarino racconterà prima al nonno Thicchete Tac di aver conosciuto Ohibò, un artista, e di aver visto la felicità in lui dopo avergli regalato una mela e questa voce si diffonderà facendo pensare agli abitanti delle case sospese che la felicità si trovi proprio dentro il buco/tana di Ohibò. Tutti gli abitanti si recano quindi insieme nella tana di Ohibò ma entrando si accorgono di essere in realtà in un teatro dove finalmente possono vedere, una volta aperto il sipario, che fine hanno fatto gli oggetti che avevano perso: in un video infatti si vedono tutti gli oggetti degli abitanti che Ohibò aveva raccolto che uniti insieme divengono un veliero che naviga tra le onde e supera le tempeste. Gli abitanti si vedono finalmente con uno sguardo diverso: è uniti che possono trovare la felicità. Lo spettacolo, prodotto da Artevox, Fondazione Sipario Toscana e Teatro Linguaggicreativi, è visivamente molto ricco e pieno di cura: bellissimi i pupazzi di Marco Lucci e del Signor Formicola, molto interessante e ben congeniata la scenografia che permette cambi di scena repentini, incantano come sempre le illustrazioni di Rossana Maggi proiettate sulla scena, gli animatori Alessia Candido e Matteo Piovani convincono e danno prova di grande abilità considerando il numero di personaggi e la complessità della scena che devono agire. Il lavoro, al suo debutto, necessita di essere ancora rodato, così come prevede uno spettacolo nel momento in cui viene presentato. Ci è sembrato infatti che la drammaturgia debba ancora dispiegarsi al suo meglio. Troviamo necessario curare maggiormente la caratterizzazione dei personaggi che permette allo spettatore di affezionarsi ed empatizzare con i protagonisti della storia. Alcuni di loro infatti vanno meglio delineati cercando anche di non farsi fagocitare dalla moltitudine di linguaggi utilizzati che prevedono una perfezione nell’esecuzione che lascia poco spazio ad una revisione. Considerata la qualità di tutti gli elementi posti in gioco  siamo certi che lo spettacolo portato a maturazione potrà riuscire a dispiegare  le sue vele portando a casa la risposta che merita.

FILASTROCCA DELLA VITA SILVANO ANTONELLI E FERRUCCIO FILIPPAZZI

Ognuno di noi si sarà immaginato almeno una volta l’artista/ artigiano afferrare la chitarra come si impugna uno scalpello, cesellare note e incastonare parole che ad ogni spettacolo sembra nascan come per magia proprio in quel momento, insieme alla storia che ci vogliono raccontare. Li avremo anche immaginati soli, come se quell’atto creativo avesse bisogno di un raccoglimento, un silenzio quasi sacro che non permette la condivisione né il compromesso durante l’atto generativo. Perché gli spettacoli di questi artisti sono impastati profondamente con il racconto di chi sono. Ebbene, “Filastrocca della vita” ci racconta un’origine diversa: il risultato di un concepimento. L’immaginazione corre e vede Ferruccio Filipazzi, Silvano Antonelli e Luciano Giuriola incontrarsi un giorno e rovesciare ognuno il proprio sacco d’arte su di un tavolone: esperienza, personalità, percorsi, linguaggi, temi, poetica. E provare interesse. Dove questa parola recupera il suo senso originario: essere in mezzo, partecipare. Nasce uno spettacolo che racchiude con la leggerezza alla quale ci hanno abituato, tutta la complessità e gli eventi della vita. Riesce a portare lo spettatore davanti al proprio album di fotografie, riesce a diventare uno spettacolo per uno spettatore solo perché nonostante la sala sia piena e il teatro sia un rito collettivo, Ferruccio e Silvano parlano proprio con te. Di te. E l’emozione è una scala che si sale. Gradino dopo gradino. Costruita con una maestria senza pari tra una risata e un ricordo che attraversa rapidamente lo sguardo. E ci si sente quasi uno spettatore al primo spettacolo, perché non ci si accorge come la storia, la musica si stia stratificando dentro, come il testo ti aspetti lì, con tutta la pazienza possibile, affinché lo spettatore si sveli attraverso di lui. Ed è una giostra emotiva, come quella che vediamo materializzata in scena con il cappello a balze rosse e bianche, che contiene tutti i passaggi della vita dall’infanzia alla maturità. Si nasce un giorno, si va a scuola, ci si innamora della compagna di banco, questo raccontano e cantano Silviano e Ferruccio mettendo insieme, uno a servizio dell’altro, la propria sapienza, passandosi la battuta come due che si conoscono da sempre. E quello che emerge è uno spettacolo straordinario in cui si riconosce la poetica di entrambi ma al tempo stesso se ne crea una propria. “Filastrocca della vita” ha anche il pregio di ripercorre contemporaneamente due dimensioni, quella personale che appartiene ad ognuno di noi, e quella storica che si riconosce nei racconti anche se non espressa chiaramente: si riconosce per esempio il fascismo nel racconto di una supplente che arriva in classe e tratta male una compagna dicendole che è di una razza per cui non c’è più posto. E il racconto continua e corre veloce, come la quotidianità di un giorno come l’oggi per cui non c’è più tempo per il “si può” ma solo per il “si deve”. Ma la canzone, ispirata a “Si può” di Giusi Quarenghi, restituisce quel tempo che ora non corre più ma cammina e ci racconta che non siamo sbagliati anche se non facciamo sempre come si deve fare, se lasciamo la porta aperta al desiderio. Ormai abbiamo lasciato le nostre poltrone rosse e siamo sulla giostra anche noi, giriamo con dolcezza mentre dentro girano tutte le istantanee di una vita lunga o corta che sia perché questo spettacolo è adatto a tutti, anche alla madre che il bimbo ancora lo ha dentro la pancia. E finite le lacrime di commozione che con sorpresa ognuno di noi vede negli occhi dell’altro quando si accendono le luci del teatro, ci dirigiamo verso l’uscita grati per quanto ricevuto e per quella voglia di gelato fragola e cioccolato. E un po’ di stracciatella.

ROSSELLA MARCHI


ABBIAMO CHIESTO A KATIA SCARIMBOLO DI PRESENTARCI IL SUO GIOCO PRESENTATO A CASTELFIORENTINO

LA CARTA DELLE FIABE
Gioco di gruppo tra narrazione e teatro
gruppo di ricerca: Michelangelo Campanale, Katia Scarimbolo, Carmen Maroccia
mazzo di carte: Katia Scarimbolo, Enzo Ruta
Le Carte delle Fiabe è il nome di un gioco tra narrazione e teatro, nato dal gruppo di ricerca della compagnia La luna nel letto.  Nel 2015 Michelangelo Campanale, Katia Scarimbolo, Carmen Maroccia, Enzo Ruta, Tea Primiterra, Maria Pascale,  hanno dato vita ad un vero e proprio format che permette a piccoli e grandi,  in teatro, su un prato, in un castello, dovunque  si voglia, di creare fiabe, da giocare, rielaborare in forma teatrale e condividere con il pubblico. Il fulcro del gioco: un mazzo di carte (raffiguranti personaggi fiabeschi, animali, spiriti della natura, oggetti, luoghi e stagioni), i costumi dei personaggi e tante piccole scatole che custodiscono oggetti preziosi (la scarpetta, la mela, l’ago, il pettine, l’acqua, l’aria, ecc ecc). Le carte delle fiabe sono archetipi, immagini che si traducono in parole, che si traducono in emozioni, in pensieri profondi, in frasi, in narrazione, in storie. È un lavoro di risignificazione individuale e collettiva.
In maniera immediata riporta chi vi partecipa o chi guarda all’essenza dell’arte teatrale, alla sua dimensione più scarna, che si fa gioco e rito; quando in cerchio,  tutto diventa possibile perché tutti sono al servizio del racconto e il palcoscenico diventa il luogo della collettività. 









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