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Eolo
recensioni
MAGGIO ALL'INFANZIA 2021 TRA BARI E MONOPOLI
LE RECENSIONI DI MARIO BIANCHI E ROSSELLA MARCHI

Vedi le foto di Massimo Bertoni

E dopo un anno d'attesa, con una sola piccola oasi di luce l'estate scorsa, finalmente, il mondo del Teatro ragazzi è ritornato a prendere vita in occasione della
ventiquattresima edizione del Festival “Maggio all’infanzia” diretto da Teresa Ludovico di Teatro Kismet e organizzato da Fondazione SAT in collaborazione con Teatri di Bari, Italiafestival e EFA - European Festivals Association (nell’ambito del progetto Effe Label) e programmato tra Bari e Monopoli dal 26 al 30 maggio 2021. Abbiamo potuto così partecipare con il cuore e con la mente a 15 spettacoli, con 8 debutti nazionali e 3 debutti regionali, nella quasi maggioranza dei casi di compagnie del Sud, come è nel DNA del Festival, a cui abbiamo assistito con grande piacere.
“Maggio all’Infanzia” ha rappresentato anche un perfetto esempio di come cultura/teatro e turismo, possano diventare realmente un binomio vincente, per realizzare in Italia un percorso di crescita sostenibile. Oltre 50 operatori, direttori di teatri e festival, giornalisti provenienti da tutta Italia hanno potuto conoscere le attrazioni storiche e artistiche di Bari e Monopoli, grazie agli educational tour del progetto “Le città favolose”, realizzato dal Comune di Monopoli in collaborazione con la Fondazione SAT. Un progetto che gode del sostegno della Regione Puglia. Durante il Festival anche noi siamo stati protagonisti di diverse visite guidate tra le altre, lustrandoci gli occhi con  la città vecchia di Bari e la Basilica di San Nicola, la splendida Basilica Cattedrale Maria ss. Della Madia di Monopoli, il Castello Carlo V e sempre a Monopoli la chiesa di Santa Teresa con la sua altissima cupola di fattura settecentesca.

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Dobbiamo dire subito che è stata un'edizione di grande livello, con spettacoli di assoluto pregio, con altri ancora da rodare o da meglio registrare dopo un periodo così lungo di lontananza dal pubblico, ma la sensazione è stata davvero molto piacevole ed in alcuni casi emozionante nel rivedere tutti i lavoratori dello spettacolo all'opera con il loro pubblico spesso formato da famiglie. 15 gli spettacoli che abbiamo visto, troppo pochi, ahimè, quelli dedicati ai bambini più piccoli ( ed è una condizione questa che deve far riflettere) ma con sommo piacere abbiamo visto due spettacoli notevoli, dedicati agli adolescenti, avvenimento assai raro e una creazione assolutamente politica, nel senso più alto del termine che si interroga del nostro presente con una lente d'ingrandimento sul passato.
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Alcuni di questi spettacoli li avevamo già visti in streaming e non hanno perso la loro densa e autorevole consistenza nel rivederli dal vero come è il caso di Sibylla Tales di Zaches Teatro, ispirato a Cappuccetto Rosso, filtrato però attraverso la luce vera e propria dell’appassionata naturalista e pittrice Marie Sibylla Merian (Enrica Zampetti) su regia e drammaturgia di Luana Gramegna, con scene, costumi, luci e ombre di Francesco Givone e musiche originali e paesaggio sonoro di Stefano Ciardi, dove la forza del Teatro di figura riesce a ridonarci, anche assistendovi in presenza, ancora interamente tutto il mistero del bosco e dei suoi abitanti .
Più forte invece è stata la resa dal vero, dopo averlo goduto in streaming , di “Jack e il fagiolo magico” nuova fatica di Michelangelo Campanale della compagnia La Luna nel letto, dedicata ai bambini più piccoli, che cambiando registro, si trasferisce dal grande spazio in cui aveva inventato il suo fortunato precedente Cappuccetto rosso, in uno spazio ridotto. Per ridonare al Teatro la famosa fiaba di ispirazione inglese si affida alla voce e alle mani dell'ottima Maria Pascale che si tuffa meritoriamente in un gioco teatrale di immediata godibilità, in cui muove semplici marchingegni, giocattoli, creature minuscole, raccontando la storia del povero bambino che sconfigge un gigante che abita molto in alto su una pianta di fagioli. Nel piccolo spazio costruito da Campanale per ambientare la storia, tra cielo e terra, viene reiventato un minuscolo paese con tutti i suoi ambienti dove è situata la casa del protagonista, ma poi, con un vero e proprio mobile di calderiana memoria, l'immaginazione dei bambini vola e si trasferisce sulle nuvole alla ricerca del castello dell'Orco. Il resto lo fa il teatro di figura con la sua capacità di ricostruire la realtà in tutte le sue mutevoli facce, facendocela credere vera. Ancora uno spettacolo di incantevole fattura della Compagnia di Ruvo di Puglia che inaugurerà il Teatro della Città il 31 Luglio, dedicato alla sensibilità e agli occhi dei bambini più piccoli.
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Molti gli spettacoli in cui abbiamo riscontrato grandi potenzialità secondo noi non ancora del tutto espresse compiutamente ma nel medesimo tempo carichi di grande forza inventiva e possibilità.
Flavio Albanese sceglie le insolite movenze del Varietà, avendo a disposizione le memorabili musiche di Fiorenzo Carpi e una scena confacente, per raccontare da par suo un must del Teatro per l'Infanzia,: Pinocchio. L'istrionico attore barese entra di petto, stimolando giocosamente  il suo pubblico di cui cerca sempre l'intesa, nei meandri della celebre storia, accompagnando con la musica alcuni personaggi e caratterizzandone altri in modo esilarante come il Gatto e la Volpe o il Padrone del Circo in cui si esibisce il ciuco Pinocchio. Un Pinocchio divertente e inusuale che prenderebbe ancora più forza se il tutto fosse ancora più incanalato nei toni scelti del Varietà, tralasciando tutte le digressioni che Albanese ama a volte concedersi.
Anche Celestina e la luna” inventata per il Crest da Damiano Nirchio contiene un contesto espressivo notevole e variegato, a cominciare dalle bellissime maschere di Amalia Franco, dalle scene e dagli immaginifici oggetti di scena che prendono vita di Bruno Soriato, dalla danza che costella tutta l'azione e da una storia, illustrata anche attraverso elaborazioni audio video piena di suggestioni, che però si devono ancora armonizzare in modo più compiuto, per raccontare i sogni di volo della protagonista, aiutata dalla sua amica immaginaria. Ma non abbiamo dubbi che la nuova apertura dei Teatri porterà a riposizionare una creazione che ha tutte le potenzialità per tornare a incantare i bambini.
La visionaria versione del Peter Pan di Tonio De Nitto, condotta attraverso un preciso studio del libro e all' ausilio di collaboratori di tutto rispetto, da Riccardo Spagnulo alla Drammaturgia, a Barbara Toma per le Coreografie, Paolo Coletta per le Musiche, Iole Cilento e Porziana Catalano per le Scene, con un utilizzo immaginifico del videomapping, dove vivono un credibile Fabio Tinella come Peter Pan e l'anatroccolo Francesca De Pascale. diventata una scatenata Trilly,  di cui avevamo già parlato in occasione del debutto a Colpi di Scena, attraverso un utilizzo più frequente ed espressivo delle parole ci è parsa convincente nella definizione più compiuta dei vari personaggi, ma non ha ancora, secondo noi, trovato la giusta misura per suggellare compiutamente il rapporto degli aspetti teatrali con la forza delle pur bellissime immagini che incanteranno i piccoli spettatori, in relazione, ai troppi focus scelti per raccontare la complessità della storia 
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Divertente e nel complesso ben orchestrata la ridente versione del classico I tre Porcellini” dovuta al Granteatrino di Paolo Comentale. Protagonisti di questa curiosa versione sono un lupo allergico e canterino, una gazza che predice il futuro a prezzi modici, due uccellini innamorati persi e, alla fine, i tre porcellini. Tutti i personaggi vivono per mezzo di pupazzi animati a vista creati da Lucrezia Tritone, musiche e canzoni coinvolgenti, case e casette che si montano e si smontano in scena,davanti a un imperante martello che tutto distrugge . Anna chiara Castellano Visaggi, Chiara Bitetti e Giacomo di Mase, lupo di grande e travolgente simpatia, conducono il gioco teatrale per la gioia dei bambini più piccoli.
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Toccante nella sua meravigliosa verità, che il teatro fa ancora più risplendere, la sommessa, esemplare, confessione che Alessandro Gallo di Caracò Teatro ci propone ne “L’inganno” che avevamo già apprezzato al Premio Scenario in tutt'altra veste, durante la quale si insinua il cancro della Camorra. Partendo dal suo vissuto, e cercando nel contempo di entrare nelle viscere della sua Napoli, città che si scontra quotidianamente con l'orrore della Mafia, ne seguiamo tutti i rovelli interiori ma soprattutto  il coraggio di un ragazzo che se ne è andato da quella città, da quel mondo che poteva diventare facilmente il suo, incoronandolo re e che poteva tramandarsi di generazione in generazione, con i suoi miraggi, con le sue orribili azioni. Ma piano piano scopriamo che Alessandro ne ha scoperto il grande inganno,la putredine nascosta sotto quell'oro che ingannevole risplendeva E ora fiero, come lo ha trasmesso ai suoi figli, sottovoce, non urlandolo, trasmette quel Coraggio agli spettatori, come monito :scoprire quell'inganno e renderlo noto a tutti si può, basta volerlo!

ConLa ridiculosa Commedia” della Compagnia Nati Scalzi abbiamo passato un’ora di godibilissimo teatro che, attraverso un cannovaccio di Claudio De Maglio, ci ha riportato indietro nel tempo, alla Commedia dell’Arte, ma non solo. Per mezzo di un meccanismo comico, fatto di incastri esemplari, lo spettacolo si è dimostrato un perfetto toccasana, assai necessario in questi tempi grami, per assaporare finalmente tutti i prodigiosi meccanismi primordiali che la scena con semplicità e meticolosa accortezza ha inventato e che ci può ancora regalare .
Protagonista di una trama già altre volte sperimentata, ma come accade per la Commedia dell'Arte, sempre nuova e di gustosa appropriazione per il fortunato spettatore è Friariello, un semplice contadino che si trova ad essere preso di mira da Pantalon De Borghia, un avido imprenditore edilizio, e dal dott. Graiano d'Asti, un politico facile alla corruzione. In quello stesso giorno è di ritorno a casa Florenzia, figlia dell'imprenditore, che dopo molti anni in viaggio alla ricerca della propria libertà, è costretta a tornare a casa, avendo terminato ogni risorsa economica datale dal padre. Tutto sembrerebbe ad un tratto precipitare per il nostro Friariello ma l'arrivo di un nuovo personaggio potrebbe cambiare tutto ribaltando la faccenda.....Savino Maria Italiano, Olga Mascolo, Ivano Picciallo e Piergiorgio Maria Savarese conducono perfettamente il gioco del destino facendoci immergere in un teatro senza tempo che ancora oggi ci parla, sorridendo, di miseria e nobiltà, di amore e sopravvivenza, di sopraffazione e giustizia.

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Francesco Niccolini e Luigi D'Elia con Tarzan ritornano a farci immergere nella natura selvaggia, una natura che più selvaggia non si può, riducendo a narrazione ma non solo, il famoso libro di Edgar Rice Burroughs “Tarzan of the Apes edito per la prima volta nel 1914, diventato, anche attraverso numerose pellicole, un’icona ben riconoscibile del nostro immaginario collettivo. La vicenda raccontata, narra le avventure del famoso bambino, allevato dalle scimmie, nella foresta del Congo, diventato tanto forte e grande da diventare il re di quelle terre, tanto grande e forte da essere capace di combattere con le altre fiere e di volare da un albero all’altro: Tarzan, così chiamato dallo strano verso che emettevano le scimmie per indicarlo . Da come si evince dalla storia , ardua l’impresa di rendere questa materia edibile per il teatro senza scadere nel facile stereotipo. Niccolini e D’Elia, senza dimenticare riferimenti plausibili dal Ragazzo selvaggio di Truffaut, e Cuore di Tenebra di Conrad sino all'amato Jack London del Popolo dell’Abisso, riescono a raccontarla, facendola immaginare per mezzo di una recitazione mai sopra le righe, anche quando parrebbe essere necessaria, sempre consona a ciò che il racconto deve riconsegnarci, complice la semplicissima tavola inclinata su cui D'Elia si muove, di volta in volta dando senso al racconto. Seguiamo così passo passo il nostro bambino diventare grande,muoversi a suo agio nella foresta, combattere e, persino, innamorarsi della mitica Jane (e non ci curiamo minimamente se Cita non appare minimamente,come del resto è giusto)
Forse la seconda parte, ambientata a Londra, è resa in modo troppo cronachistico e si sofferma su dettagli che potrebbero essere tralasciati. ma la differenza tra il mondo di Tarzan e quello di Jane è espresso in modo chiaro, dove la donna, condizionata dalle promesse di matrimonio e dalle convenzioni sociali, vorrebbe seguire il suo Dio Silvano ma non se la sente. Dopo Zanna Bianca dunque per D'Elia e Nuccolini un convincente ritorno alla loro variegata saga sul rapporto tra uomo e natura.
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Può una tragedia, una vera tragedia, anche senza morti apparenti, avvenuta venti anni fa', non in un paese lontano, ma nel nostro, può un fatto atroce, quasi dimenticato nel susseguirsi di altre piccole tragedie che di morti ne hanno fatte, diventare lo specchio dell'essere umano,visto attraverso tutte le sue multiformi angolazioni. E' solo forse il teatro che lo può fare, un teatro forte e necessario, capace di restituirci quel fatto, senza retorica, attraverso una drammaturgia cangiante e precisa nel suo evolversi, una resa interpretativa commossa e commovente, una scenografia semplice ma densa di suggestioni.
Tutto ciò avviene ne “ La nave dolce” di TIB teatro di Belluno, scritto e diretto da Daniela Nicosia con in scena Massimiliano Di Corato e le scenografie di Bruno Soriato.
La tragedia raccontata è quella della nave Vlora, che l' 8 agosto 1991 attracca nel porto di Bari, carica di ventimila albanesi, la tragedia raccontata è quella dei ventimila albanesi, confinati nello stadio cittadino, trasformato da luogo di incontro in anfiteatro di un'assurda lotta per la sopravvivenza. Tutto ciò accade mentre gli elicotteri controllano ogni possibilità di rivolta dall’alto, gettando cibo agli esseri lì rinchiusi, come fossero cani. Uno stadio come grande prigione per ventimila disperati: unica possibilità questa, scelta dai politici ministeriali per arginare quel fenomeno inatteso, mentre la comunità di Bari, con in testa il suo sindaco li accoglie anche a suon di paste al forno e focacce raccolte tra le famiglie!
Lo spettacolo, nato dalla visione dell'omonimo film di Daniele Vicari, attraverso la resa interpretativa dai toni cangianti di De Corato coglie tutti i punti di vista, quella di chi si mette in viaggio con la speranza di un futuro migliore, quella, piena di comprensione e di esperienza antica di chi accoglie, quella di chi non capisce sino in fondo perchè tutto ciò possa accadere, non avendone ancora gli strumenti. Attraverso tre lingue diverse mai artefatte : un idioma italo albanese che narra agli spettatori il viaggio, le attese, l’approdo dei ventimila disperati, un idioma italo-pugliese che ci consegna incredulo la coscienza critica di un fatto che vede manifestarsi davanti ai suoi occhi, l'italiano del piccolo connazionale che non sa ancora come va il mondo e rimane attonito davanti a ciò che vede da lontano, ma che ricorda ancora nitidamente la frase del nonno : “Se tuo fratello sta nel fango nel fango ci sei anche tu”
Ma il ragazzo non capiva “ Sono figlio unico io, quale fratello? “,ma di suo nonno, nel dire quelle parole, lo colpiva una passione che oggi gli invidia, quella passione che non ha mai potuto conoscere..
Alla fine dallo spettacolo ne scaturisce una storia intessuta di storie che sanno di miseria e di speranza, ma anche di incontri inaspettati e emozionalmente significativi come quello che avviene nello stadio in tumulto, tra fronti apparentemente contrapposti, tra il migrante e il fratello poliziotto. Una storia che anche se non sembra, ci coinvolge tutti “Se tuo fratello sta nel fango nel fango ci sei anche tu e invece so’ passati 30 anni e non è cambiato niente… Da mar venn e da mar s n vonn, quando non ci restano in mare… Da mar venn e da mar s n vonne… e per quelli così è stato, in fila uno dietro l’altro, con la testa in giù… Sono ingegnere mi chiamo Armand posso fare tutti lavori, sono Petrik lasciatemi qui, sono Alba mio marito lavora Italia, sono qui per lui, sono Sheku faccio muratore, sono Altin studente bravo studente, sono Eva, sono Artian, sono Crista, sono Vera, sono Feriz, sono Edlira, sono Ramiz, sono Adan, sono Erzen, sono Mario ...

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Come abbiamo detto all'inizio del nostro report, con grande soddisfazione abbiamo visto spettacoli dedicati agli adolescenti. Due di questi, collegati emozionalmente insieme, parlano della nascita dei sentimenti amorosi : A+A Storia di una prima volta” prodotto dal CSS di Udine di Giuliano Scarpinato e Venere e Adone con Danilo Giuva prodotto dalla Compagnia Licia Lanera.

Come nasce l’amore e si sviluppa tra due adolescenti ai tempi dei social? A+A storia di una prima volta ce lo racconta in modo ironico e coinvolgente.A.e A. hanno 15 e 17 anni. Sono una ragazza e un ragazzo come tanti. La ragazza appare più scafata, il ragazzo è più timido e indifeso. Ma tutte e due vivono intensamente le proprie vite, dividendosi tra la scuola, una comune passione per la musica, anche se estremamente diversa, lo sport e le amicizie. Sono pieni di sogni, incertezze, dubbi e aspirazioni come lo sono tutti i ragazzi della loro età . E non hanno ancora fatto all’amore.
La Storia di A e A si interseca con i video e gli audio dei tanti AeA che ci circondano e che esprimono in diretta tutte le loro opinioni sul proprio universo delle emozioni.
AeA, come i loro coetanei,sanno poco di come si fa,di come ci si deve comportare e di certo non aiutano una Scuola e una Famiglia che hanno paura di affrontare un tema così importante. Tutto quello che sanno, lo sanno superficialmente dagli amici che forse lo hanno fatto ma che spesso lo millantano per sembrare più grandi. Ma soprattutto sono attratti dai Social che li stimolano a fare in fretta, a scrutare il corpo degli altri, a utilizzare il proprio per offrirlo subito indistintamente a chi lo desidera. Ma che differenza esiste tra Amore e Sesso, tra un vero sentimento e quel desiderio irrefrenabile di darsi all'altro, presto e subito?
A e A non si conoscono, ma per una serie di circostanze, come spesso accade legate allo studio, consciamente pilotate, si incontrano. Ne seguiamo i sentimenti, i dubbi, le certezze che esprimono agli amici. Un primo incontro si rivela goffo e inadeguato. L'evidente ingenuità dei protagonisti li porta a dimenticare le precauzioni generali mandando così all'aria l'agognata prima volta. Poi è deciso il momento, ne vediamo tutti i preparativi dove ogni cosa deve essere perfetta, curata in tutti i particolari. Ogni cosa, immaginano, deve piacere all'altro. Finalmente l'incontro avviene con con tutte le aspettative del caso con tutte le titubanze del caso. E l'amore finalmente viene consumato, tradotto in scena con una danza delicata e dolcemente appassionata.
Tutto è espresso da Scarpinato che ha concepito la drammaturgia con Gioia Salvatori in toni da commedia, con leggerezza, senza alcuna ombra di volgarità, anche per merito dei due giovanissimi credibilissimi, interpreti Emanuele Del Castillo e Beatrice Casiroli. A+A storia di una prima volta è uno spettacolo che andrebbe visto da figli con altri figli. Da genitori con altri genitori. Da Genitori e Figli,insieme.

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Dopo la commedia di Scarpinato ecco rappresentata l'altra parte dell'amore: quella forse più nascosta, ma sottilmente sempre presente, il suo rapporto con il dolore dell'abbandono, sempre latente.
Si può parlare agli adolescenti di Amore, di attrazione amorosa, attraverso il Mito, raccontato dal grande Shakesperare, si può parlare agli adolescenti di Attrazione amorosa tra due uomini, attraverso un racconto autobiografico'? E nel contempo si può parlare loro di come il tormento faccia parte dell'amore dall'inizio dei tempi e in tutti i rapporti tra gli esseri umani di ogni età? Si può raccontare che il dolore è uno degli artefici maggiori per la crescita di ogni persona ? Crediamo di sì, proprio perchè è notorio che dolore e amore siano sempre stati fratelli, connaturati tra loro. Sempre all’amore seguirà l’affanno e avrà la gelosia come sua scorta, avrà un inizio dolce e una fine amara; non vi sarà un equanime compenso, il piacere d’amore, grande o piccolo, non potrà mai uguagliare il suo dolore ci ricorda il buon William.
Questo accade nel monologo “Venere/Adone” di Danilo Giuva scritto con Annalisa Calice per la Compagnia di Licia Lanera.
Shakespeare nel suo poemetto, da cui prende nome lo spettacolo, narra del complicato rapporto tra la Dea Venere, malata d'amore e il bellissimo Adone, il quale ne respinge le lusinghe essendo più interessato alla Caccia. Lei imperterrita però lo corteggia strenuamente ( “Il mare ha confini, il desiderio non ne ha nessuno”), lo blandisce con parole disperatamente melliflue, ad un certo punto lo disprezza dicendo che non è un uomo se non vuole generare, poi subito piange, tanto che il ragazzo sorridente, impietosito, la bacia. Potrebbe essere la svolta, ma così non è: Adone le ribadisce che l'amore non potrà mai entrare nel suo cuore. Shakespeare come è solito riesce ad esprimere compiutamente e poeticamente tutti i passaggi dell'amore non corrisposto.
Così Venere, dopo vari tentativi, assiste impassibile alla morte del ragazzo ucciso da un cinghiale ma, addolorata, lo tramuta in un fiore, l'Anemone.
Lo spettacolo si presenta all'inizio come una vera e propria lezione sul poemetto di Shakespeare che piano piano si innesta nell'esperienza vissuta dall'attore foggiano, innamoratosi del fidanzato della sua migliore amica che, dopo false speranze, lo lascia. Nel procedere dei sentimenti, in parallelo con il rapporto tra Venere e Adone, ogni emozione viene scandagliata : il primo palpito d'amore nel vederlo la prima volta, tutti gli escamotage utilizzati per frequentarlo, la ricerca di segni inequivocabili per un rapporto reso ancora difficile dal fatto di essere dello stesso sesso, gli sguardi, le speranze e le ritrosie. Il bacio agognato e fuggevolmente dato, la delusione di un distacco repentino e forse inaspettato. E poi l'abbandono. con quel dolore che ti ferisce dentro. Tutti questi sentimenti vengono trasmessi in scena da Giuva con sincerità assoluta, diventando paradigmi di tutti i primi amori adolescenziali con le loro speranze e le loro disillusioni. “ L’amore è incredibile, è proprio strano Non crede a niente e poi crede a tutto! Gioie e dolori sono sempre eccessivi, sogni e disperazione ti rendono ridicolo:i primi ti illudono con pensieri improbabili, gli altri ti uccidono con l’evidenza dei fatti” ci ricorda ancora il più grande drammaturgo di sempre.
E alla fine Danilo Giuva, vestito con semplici Jeans e maglietta, come d'incanto con una semplice giubba di pelle diventa il Bardo, suggellando l'incontro tra arte e vita, ricordandoci che l'amore, poi alla fine, vince ogni cosa e vale la pena di viverlo sempre, in qualsiasi modo venga espresso, in qualsiasi modo finisca: “per quante spine abbia, la rosa dev’essere colta; per quanto la bellezza sia protetta da venti serrature tutte le infrange Amore, e alla fine le penetra”.

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Fa bene al cuore vedere in scena 4 giovanissimi attori/ autori : Angela Forti, Agata Garbuio, Riccardo Reina e Aron Tewelde entrare nella storia del proprio paese attraverso il linguaggio che loro amano e che indissolubilmente a loro appartiene : il teatro di figura. Il collettivo Hombre, recente vincitore del Premio Scenario, vuole portare in scena caparbiamente in “Casa nostra” per trasmetterlo alle nuove generazioni alcuni fatti che a loro sembrano fondamentali per comporre un puzzle che ci possa spiegare come il nostro paese sia quello che è diventato. I fatti di una storia italiana recente, ma ancora difficile da decodificare e di cui quelle generazioni a cui lo spettacolo è sommamente dedicato, ma non solo a loro, sanno poco e di cui conoscono solo segni indistinti. Tutto parte e finisce da quel 20 aprile 2018: la sentenza della Corte d’Assise di Palermo sul processo Stato-Mafia che riporta alla superficie della nostra memoria, affastellata di immagini sbiadite, un pezzo di passato. Un pezzo di passato che, per quanto recente, è già diventato storia, una tessera fondamentale per cercare di comporre il puzzle del nostro presente, una tessera che si è tentato in tutti i modi di nascondere, alterare, ignorare: insomma una parte mancante. E lo spettacolo si svolge nel salotto di una casa qualunque, che potrebbe essere la nostra casa, perché l’Italia è la nostra casa. Una casa che noi delle generazioni precedenti, abbiamo dato a questi e ad altri ragazzi, rinchiudendoli nella stanza dei giochi, dove i bambini vengono lasciati, mentre i “grandi” si occupano delle cose serie, quelle cose che è meglio che i bambini non sentano e i cui rimasugli nascondiamo sotto il tappeto.
Ora in quella stanza dei giochi, però quei ragazzi hanno capito che qualcosa non va sotto quella apparente calma, anche se piena zeppa di contraddizioni che ci avvolge tutti e attraverso quei giochi apparentemente innocui, ma pieni di possibilità immaginative, i ragazzi tentano di ricostruire quegli incresciosi avvenimenti .
Un monopoli, un grande orso di peluche, dei piccoli palloncini da gonfiare,un grande pallone, soldi finti, una piccola ruspa telecomandata, dei bicchieri, scatole di tutte le forme, bambole , un grande domino, rompono il nostro silenzio assordante. Lo rompono per narrarci l'ascesa equivoca di Berlusconi, il decadimento morale e civile del paese, le stragi di Capaci e Via D’Amelio, le infiltrazioni mafiose, Mangano e Dell'Utri, le bombe del 1993 a Firenze, Roma e Milano, l’informazione asservita, tutti gli apparati politici conniventi di varia matrice, nessuna esclusa, vengono riconsegnati scenicamente, attraverso un utilizzo sapiente, nella sua semplice evidenza, degli oggetti che si connaturano con le immagini televisive proposte. E poi e poi un toccante omaggio a tutte quelle persone sacrificate dal potere per il proprio gioco di interessi, attraverso un commovente e silenzioso funerale. Ma sicuramente molte cose sono ancora da scoprire e se anche ci avete sconnesso il puzzle, noi continueremo a cercarne i pezzi mancanti, ci dicono guardandoci in faccia Angela Forti, Agata Garbuio, Riccardo Reina e Aron Tewelde.
Uno spettacolo importante che, nel proporlo ai ragazzi, i quali non conoscono moltI degli avvenimenti narrati, deve essere sempre contestualizzato e proposto in un progetto preciso, preservandolo così da tutte le strumentalizzazioni di cui potrebbe essere oggetto: perchè “Casa nostra” non appartiene a nessuno, né è contro nessuno, coraggiosamente pone una riflessione su una parte importante della storia del nostro paese che deve essere conosciuta e discussa.

MARIO BIANCHI


Una grande produzione quella della compagnia principio attivo Teatro sostenuta da La Baracca - Testoni Ragazzi e ATGTP Teatro Pirata. “Sapiens”, per la regia di Giuseppe Semeraro, scritto cme al solito con grande sensibilità drammaturgica da Valentina Diana, vede infatti in scena oltre al regista, altri cinque bravi attori, uno sforzo notevole per il quale, di questi tempi, essere riconoscenti. Viene narrata la storia del mondo, in questo spettacolo, che è la storia del principio ma è anche la storia che si ripete, all’infinito, uguale a se stessa, con gli stessi meccanismi, le stesse resistenze. Siamo nel momento di passaggio: l’incontro tra i Neanderthal e i Sapiens, due specie molto differenti. La prima pacifica, semplice quasi ingenua e la seconda aggressiva, armata e diffidente. I sei attori, Dario Cadei, Silvia Lodi, Otto Marco Mercante, Cristina Mileti, Francesca Randazzo e Giuseppe Semeraro si dividono tra cambi fulminei, ora in una ora nell’altra specie, per raccontare le caratteristiche dei due gruppi in un susseguirsi esilarante di situazioni di vita quotidiana. I Neanderthal giocano tra loro, sono semplici e simpatici, si coccolano e passano le giornate alla ricerca dell’uccello preistorico dalle nutrienti uova che con uno di loro ha un rapporto proprio speciale. I Sapiens invece sono aggressivi e prepotenti, vanno a caccia perennemente e fanno a gara per dimostrare la loro forza. Fino a che un giorno i Neanderthal con una lancia, oggetto di cui non conoscono l’uso, si uccideranno tutti per errore tranne uno che, rimasto solo, incontrerà per caso una Sapiens ritardataria che era rimasta distaccata dal suo gruppo. Dopo un’iniziale diffidenza di quest’ultima, i due scopriranno di piacersi. Ma i Sapiens, una volta scoperta l’acerba storia d’amore, si opporranno strenuamente all’entrata nel gruppo di uno straniero così  diverso da loro. Sarà però l’amicizia del simpatico neanderthaliano con l’uccello preistorico,  animale mitico per entrambe le specie, a convincere i Sapiens della possibilità che un’integrazione sia possibile. Lo spettacolo risulta molto divertente grazie al registro parodistico scelto e ben agito sulla scena dai sei bravi attori. La messa in scena è impreziosita da un bellissimo lavoro sulle ombre che dona al racconto scenari selvaggi e allo stesso tempo poetici e consente una bella profondità allo sguardo dello spettatore. Molto interessante per la sua attualità la storia dei due amanti appartenenti a due diverse specie che, forse, proprio per la sua centralità, avremmo voluto vedere più sviscerata rispetto alla prima molto dettagliata dedicata alla presentazione delle due specie. Il buio arriva sulle pareti di una caverna sulla quale passa, inciso, tutto il racconto e, in un attimo, immediata, arriva la consapevolezza che quella che abbiamo appena visto non sia solo una storia ma la nostra storia.
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L’esperienza di AudioTeatro della compagnia La luna nel pozzo, è allestita in un luogo speciale: un meraviglioso parco di ulivi secolari che ha come sfondo il mare. La Masseria Spina è un luogo dell’anima, di grandissimo interesse storico culturale oltre che un luogo di natura rispettato e valorizzato. Un’esauriente visita guidata condotta dall’appassionata proprietaria della masseria alla quale è seguito un genuino aperitivo composto da prodotti tipici locali, sono state le premesse con le quali ci siamo predisposti ad ascoltare “L’ago nel buio”, interessante percorso che nasce durante il periodo del lockdown, come ci viene raccontato da Robert McNeer della compagnia La Luna Nel Pozzo. Non si può definire uno spettacolo teatrale ma un incredibile viaggio sensoriale in cui vengono richiamati ad esistere tutti i sensi. Veniamo accompagnati in un magnifico terreno di ulivi secolari dove, sparse, ci attendono delle comode sedie a sdraio. Ognuno di noi viene dotato di una cuffia e messo a proprio agio. Inizia quindi, dopo una breve introduzione, l’esperienza di AudioTeatro in cui lo spettatore è completamente immerso nell’ascolto. La storia che ascolteremo in questo viaggio è infatti quella di Helen Keller, una donna americana della fine dell’800 che, intorno ai 19 mesi, rimarrà sorda e cieca a causa di una malattia. La sua storia è conosciuta ai più grazie al film “Anna dei miracoli”. Anne Sullivan è infatti il nome dell’insegnante poco più che ventenne a cui Helen verrà affidata e che riuscirà, grazie alla dedizione alla sua relazione con Helen, a far comprendere alla bambina il rapporto tra le parole segnate e le cose. Questo permetterà a Helen Keller di far parte del mondo e di diventare una delle donne più amate del XX secolo grazie alla sua partecipazione alle lotte sociali di quel tempo e la sua capacità di entrare in empatia con i soggetti più fragili della società. L’esperienza degli spettatori è accudita da splendidi osti che si prendono cura degli ascoltatori. Offrono acqua con zenzero e menta, squisiti pasticcini tipici di Ceglie, rendono insomma l’ascolto ancor più piacevole perché riescono, con questi interventi, a far sentire allo spettatore che, nonostante l’ascolto sia individuale, egli è comunque inserito in una piccola comunità che ascolta a sua volta. Questo ascolto collettivo restituisce, una volta riaperti gli occhi, una pacificazione con se stessi e con gli altri compagni di viaggio e una trasformazione del concetto del Tempo, un Tempo gestante in cui ci sente contenuti. Si cammina verso l’uscita, al termine di questa magnifica esperienza, con la sensazione di essere parte di quegli ulivi secolari che, appena arrivati, sembravano poter essere solo contemplati.
ROSSELLA MARCHI









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