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Eolo
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FIABE PANDEMICHE
MARIANNA DE LEONI RISCRIVE PER EOLO "LA BELLA ADDORMENTATA NEL BOSCO"


Era successo tanto tempo fa.
Il paese era avvolto nel silenzio e tutto soffocato di rovi pungenti, così fitti che il sole non penetrava più. Le mura, le facciate delle case, le porte, i portoni, su fino agli scuri delle finestre, ai tetti, ai comignoli… tutto era invaso di un intrico di spine; anche le statue nei giardini pubblici e l'antica fontana erano nere e grigie di spine lucide e di rami secchi aggrovigliati. Spinosi erano il ponte ed il mulino, l'insegna dell'osteria, la scuola ed il teatro, e perfino il palazzo comunale. Spine, rovi ed ombre nere anche intorno al forno, dove prima si andava a comprare il pane e a cuocere i dolci; il ciabattino non batteva più sul suo deschetto, la campana della scuola taceva, taceva la piazza… I rovi erano così fitti che nemmeno i colombi o i passeri riuscivano ad entrare. Tutto era silenzio.

L'unica voce quella dell'acqua della fontana in piazza: si udiva lo zampillio sulla pietra, ma non più le risate dei bambini accaldati che andavano a bere e a fare schizzi.
L'altro suono era il vento ed ogni tanto le grida delle rondini che volavano altissime, sopra l'intreccio dei rovi ,e continuavano a dire che era Primavera.
Era triste desolato quel buio spinoso, ad uscire ci si feriva coi rovi tutti quindi si restava in casa, spaventati dal maleficio.
Si: maleficio!

Era accaduto tanto tempo prima che non so quale fuso con un ago aveva ferito la principessa Aurora… Aurora si era ammalata, caduta in un sonno profondo simile alla morte e non si sa quale buona fata aveva allora avvolto il paese ed il castello, e case, le strade, il mondo di una corona di spine e di un mantello di silenzio senza tempo.
Un qualche principe, di nome forse Filippo, dicono azzurro, sarebbe un giorno giunto a salvare Aurora svegliandola con un bacio.

Intanto però, nel silenzio e nella paura senza tempo, molti uomini e molte donne erano anch'essi caduti in un sonno profondo, poi si erano svuotati i vicoli e tutti gli angoli della città, poi erano entrati, liberi ed incuriositi, gli animali, infine le erbacce intrecciate ai rovi, cresciute, divenute pungenti e pericolose, avevano costretto anche coloro che non dormivano a stare chiusi in casa, al riparo solitario delle proprie mura, a uscire in fretta solo per trovare un poco di cibo.
Aurora continuò a dormire e la sua storia era ormai così tanto lontana nel tempo che forse, diceva qualcuno, non era che una favola o una leggenda.
Irene era una bambina della città dei rovi, la città della corona di spine.
Irene era nel buio della sua casa, una casa avvolta dalle spine con una strada buia, nel silenzio. Irene era nata che già tutto era silenzio ed era cresciuta imparando a casa, parlando da lontano dai balconi con altri bambini, giocando a casa con i nonni genitori tutti insieme rinchiusi al sicuro. Aveva imparato che gli adulti uscivano di rado per prendere da mangiare.

Fuori era pericoloso: le spine erano così fitte che senza dubbio ti saresti punto. E potevi anche ammalarti.
Irene aveva i libri, tanti libri in casa, con storie fantastiche, poesie e favole e racconti e tutti parlavano di un mondo meraviglioso, variopinto, profumato, dai mille colori e mille sapori. Parlavano di un mondo in cui le persone addirittura si toccavano, si stringevano l'un l'altra, aprendo e chiudendo le braccia, oppure correvano nei prati e poi si sdraiavano sull'erba e mangiavano insieme buone cose; aveva letto che preferivano assaggiare insieme il cibo da mangiare magari dando un piccolo morso. Irene aveva letto sui libri della musica, che ora si ascoltava da soli nelle case, e che prima invece faceva ballare tutti, vicini gli uni agli altri, così addossati, sentendo i cuori che battevano all'unisono per l'emozione.

Aveva letto che c'erano spazi chiusi da grandi portoni in cui si entrava per sedersi in grandi sale… che lì spesso erano lampadari scintillanti e poltrone rosse, tutte in fila volte a guardare verso una grande finestra, magica, con le tende pure rosse.
Aveva letto che quelle tende aprendosi lasciavano vedere mondi diversi di forme meravigliose, luci colorate, che tutto ciò si chiamava Teatro, che anche lì ci si emozionava, vicini gli uni agli altri. Aveva letto che c'era una volta … che c'era la scuola, non come adesso che si studia ascoltando una voce lontana, ma un luogo in cui ci si sedeva tutti insieme a scrivere e leggere.
Irene sognava.
Un giorno trovò un libro tra gli scaffali in casa sua e si meravigliò: come mai non l'aveva mai veduto? Era un libro di favole, subito lo apri e trovò nell'indice delle storie la favola "La bella addormentata nel bosco”. La lesse. Ma certo! Era esattamente la favola dell'origine del suo mondo di spine.
Lesse avidamente e decise che sarebbe andata in cerca del famoso principe azzurro: perché ancora tutto avvolto nel maleficio? Perché tutto così immobile dai tempi dei tempi? Di lui che ne era stato? E di Aurora? Forse si poteva ancora fare qualcosa, forse qualcuno avrebbe rimesso le persone e la gioia per le strade e quel qualcuno sarebbe stata lei: Irene!

Così senza farsi scoprire dalla sua famiglia, si preparò un poco di merenda in un paniere e con dei fazzoletti e delle sciarpe si fasciò bene bene il viso e le mani, per uscire tra i rovi e non essere punta o ferita.
Il cuore le batteva forte, ma la speranza era troppo luminosa, ed anche il sogno, di essere lei, un giorno, proprio lei,” la bambina che aveva cacciato via il maleficio della corona di spine”.
Uscì nel buio. Camminò in fretta, attentissima ai rovi, le sfioravano infatti il vestito, Irene si allontanava subito un poco, imparò presto a schivarli tutti, ma era costretta a non fermarsi e a tenere ben ferme le mani fasciate, chiusa la bocca coperta da un fazzoletto, dietro al quale sentiva il respiro un po' caldo e affannato.

Cammina, cammina del principe nemmeno l'ombra… anzi nemmeno una sola ombra di uomo, non vi era troppa luce perché si formassero ombre. L’ombra era ovunque.
Cammina, cammina arrivò ad un punto in cui i raggi del sole si allineavano come un bucato steso a fare tutta una striscia di luce che entrava tra i rami intricati… era arrivata alla fine del muro di spine! Con un poco di sforzo, attenta a non ferirsi, con le spine che si avvicinavano alle guance, riuscì a spezzare dei rami, aprirsi un varco, passare.

Fuori un sole che le sembrò accecante, perché i suoi occhi erano abituati alla penombra… E accesi ed incredibili erano i colori di fiori rossi in mezzo ad una lunga distesa di spighe dorate, e oltre lo sguardo, abituandosi al chiarore, vide lontano colline e onde verdi, e altro verde ancora, e una torre ancora più lontana, senza rovi, che mandava intorno nell'aria un suono dolcissimo e vibrante.
In tutto quel giallo dorato di spighe, laggiù vede lontano una figura di persona nera, nero un grande cappello che gli faceva ombra sul viso. Irene continuava ad avvicinarsi a lui.
Era un uomo tutto vestito di nero. L’uomo aveva un piccolo falcetto legato alla borsa, anche lui guardava lontano, dandole le spalle, guardava verso la fila dei monti.
“EHI!” chiamò Irene, e si accorse che era stata zitta per tanto tempo che la sua voce le rimbombava nella testa. La sua voce si perse nel campo e lei rimase sorpresa:
“Ehi, Signore!”
L’uomo si voltò lentissimo, e gli occhi mandarono un lampo di blu, portò la mano destra alla fronte riparandosi dal sole, le sorrise. Irene corse nel campo verso di lui e lo raggiunse tutta accaldata: “Signore, signore! Chi sei? Dove ci troviamo? Io sono Irene.”
"Benissimo Irene, ma signore no, non sono signore, sono un contadino … Guardavo il campo per vedere se il grano sta crescendo bene”.
Irene guardò anche lei il campo e guardò di nuovo alle sue spalle l’intrico di rovi scuri: “ Io sono Irene …. “ .E l'uomo disse: “ Cara bambina ,Signore non sono, ho solo una piccola casa, e tutto l'oro di questo campo. E tu bambina come mai sei qui?”.
Irene rispose: “Ho viaggiato.”
“Hai avuto paura? “Un po’…ho attraversato quel fosso “ “Attraversato quel fosso?! Da sola? Non ci va nessuno da tanto tempo e nessuno mai si è sentito di attraversarlo! E’ pieno di ortiche di insetti. “ “Avevo il fazzoletto sul viso”. “Sei coraggiosa, molto. Perché hai viaggiato?” “Per uscire dal buio”. “Di quale buio parli?” “Di quello dentro l'intrico di rovi”.
L'uomo si tolse il cappello per vedere meglio; “Laggiù c’è qualcosa!? “e Irene: “ C'è un'intera città, ci vivono persone, ma i rovi hanno invaso tutto con un tetto di silenzio, I muri si scrostano, la polvere ha raggiunto ogni cosa, nessuno va mai per strada, non vedo mai gli altri bambini… Mi sono stancata di vivere sola…”
È così Irene gli raccontò della principessa Aurora, del Principe Filippo e della speranza di trovarlo.
L’uomo si era accovacciato per ascoltarla meglio, assorto, e con un'espressione grave tirò fuori dalla bisaccia un pezzo di pane e un poco di formaggio, dividendoli con lei le fece tante domande sulla città di rovi. Irene rispondeva sicura.
Anche Irene aveva con sé, ne suo paniere, una mela, del pane e burro, dell’acqua. Così mangiarono seduti nel campo, dividendo ogni cosa, continuando a parlare.

L'uomo le disse: “Tutto quello che mi stai raccontando, Irene, mi ha fatto venire in mente una leggenda che mi narrava mia nonna quando ero bambino, lei mi diceva di averla ascoltata dal suo nonno e che ogni nonno l’ aveva raccontata, per tanto tanto tempo, davanti al fuoco. Era la leggenda della nostra famiglia: che saremmo discesi da un principe, poi caduto in disgrazia, tanto che i padri dei nostri padri erano rimasti contadini a strappare frutti alla terra con fatica.
La nonna diceva che un tempo la nostra famiglia aveva abitato un palazzo, che un principe che vestiva sempre di blu, padre dei nostri padri fu colpito da un maleficio …. È strano come il tuo racconto aldilà dei rovi, faccia rinascere il mio ricordo d’infanzia.”.
Irene spalancava gli occhi, era felice, emozionata, cominciò a tirare per le maniche l’uomo dicendogli: “Deve essere così, il libro mi ha spiegato che il principe può svegliare la principessa e annullare il maleficio! Quel principe sei tu! Sono sicura: sei tu! “Continuava a tirarlo emozionata balzando in piedi per spingerlo verso il fosso e poi verso il muro di rovi,
“Devi venire con me, puoi aiutarci, puoi abbattere il maleficio, tornare principe, sposare la principessa Aurora, liberare la città dal maleficio della corona di spine e dal silenzio!”.
L'uomo commosso, stupito, incredulo, ma divertito la segui piano piano senza più parlare. Camminarono in silenzio fianco a fianco fino al muro di rovi.
Giunti in quel punto, anche l'uomo si fasciò il viso con un fazzoletto, aiutò Irene a proteggersi di nuovo la bocca e le mani e camminando davanti a lei apriva con il suo falcetto I rovi, lento e attento, falciando continuamente, e spostando con attenzione i rovi, mentre Irene schiacciava col piede i rametti tagliati per aprire meglio il passaggio. Continuarono tanto a lungo e via via che avanzavano entrava il sole nel sentiero aperto.
Nulla li scoraggiò e mano mano che il tempo passava l’uomo sempre più credeva alle favole.
All'improvviso laggiù, dal varco aperto le mura delle case, il ponte, e più in alto un castello.
Alte torri cilindriche, mura merlate, un ponte levatoio abbassato, ma il fossato non esisteva più…. solo un mare di rovi che dal fondo si arrampicavano quasi fino alle torri.
L'uomo ed Irene si guardarono, sorrisero: erano giunti.
Ora si trattava di insistere con coraggio continuare a tagliare i rovi andare oltre, passare il ponte levatoio.
Respirarono profondamente e ricominciarono.
L'uomo avanti Irene dietro di lui.
Tagliavano, scostavano, schiacciavano i rovi.
Passarono il ponte, Un enorme portone si spalancò, Altri rovi annerivano le sale, l'aria era Fresca, umida,
Irene esclamò: “Andiamo andiamo avanti! Questo è il castello di Aurora! Il castello dei tuoi antenati…. “ E la sua voce rimbombo in uno spazio grandissimo che ancora non potevano vedere.
L'uomo non disse più nulla, continuò tagliare i rovi sempre più stupito, trovandosi senza saperlo nella propria favola, curioso ma deciso a proteggere Irene, sentiva la difficoltà, l'assurdo di quella situazione, ma sentiva anche che la bambina l'aveva condotto dentro la sua leggenda al suo destino.
Così avanzando e tagliando, attraversarono stanze, salirono scale, si inoltrarono in una torre, lungo scale a chiocciola, fino ad una camera chiusa…
Erano affannati ed emozionati. Davanti ad una porticina si guardarono di nuovo…
L'uomo disse: “Entriamo, Irene, la principessa deve essere qui addormentata, oltre questa porta”.
Mentre però poggiava la mano sulla porta per spingere ed entrare, Irene fece un passo indietro:
“Principe Filippo no, principe Filippo, non posso entrare con te, rischiamo di cambiare la favola. Stava scritto che solo il principe riuscì ad entrare nella camera di Aurora…. Io ti aspetto qui.”.
Allora l l'uomo le disse: “Senza il tuo aiuto, Irene, non sarei mai giunto fin qui.”.
Irene rispose: “Anche io senza il tuo aiuto non sarei mai giunta fin qui, ora va dalla la principessa, Filippo!”
E mentre lui entrava nella stanza, Irene si appoggiò al muro e attese col cuore che le batteva forte.
Passò qualche minuto… poi le sembrò un sogno: prima era confusa, poi sentì una musica, si fece luce tutt’intorno, sparirono i rovi, raggi di sole entravano ovunque, sentì canti di uccelli, sentì voci di persone, rintocchi di campane, ruota di carro, versi di animali, in tutta quella luce in quel chiasso, spariti i rovi, sparì anche il castello…. Sparì il fossato, rivide il paese, le strade le case, i lampioni, gli alberi, I monumenti, il ruscello ed il ponte, la fontana della piazza, l'insegna dell’osteria. Tutto senza rovi, tutto senza la corona di spine, tutto fuori dal silenzio, abitato da persone che si abbracciavano, che tornavano fuori, che uscivano dalle case, che facevano festa tutto intorno a lei.
Irene era felice perché il suo paese era guarito.

MARIANNA DE LEONI






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