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Eolo
recensioni
SEGNALI 2019 A MILANO
LE RECENSIONI DI MARIO BIANCHI ROSSELLA MARCHI E NICOLETTA CARDONE JOHNSON

l Festival “Segnali “, giunto alla sua XXX edizione, è un appuntamento storico e fondamentale per il teatro ragazzi italiano. Per gli operatori, “Segnali” è un momento di incontro tra le diverse realtà produttive e distributive a livello nazionale, di confronto e approfondimento sulle poetiche e sui percorsi artistici, un luogo privilegiato di riflessione con aperture di respiro internazionale, oltre che momento di promozione e visibilità per le compagnie professionali. Un crocevia di percorsi che negli anni ha permesso una diretta conoscenza degli spettacoli in circolazione, favorendo i programmazioni più consapevoli ed efficaci, e notevoli agevolazioni alla distribuzione sull’intero territorio nazionale. Per il pubblico è invece un'occasione per conoscere uno spaccato delle migliori novità della produzione teatrale, italiana e non solo, rivolta alle nuove generazioni, nonché un'occasione culturale e informale di incontro e scambio fra famiglie e fra scolaresche, fra famiglia e scuola.

Anche questa edizione di Segnali che si è tenuto dall’ 8 al 10 maggio a Milano e Cormano, organizzato dal Teatro del Buratto e Elsinor, ha avuto la direzione artistica di Renata Coluccini e Giuditta Mingucci. E’Tornata poi la collaborazione con Next – Laboratorio delle idee per la produzione e la distribuzione dello spettacolo dal vivo, il progetto di Regione Lombardia, sostenuto da Fondazione Cariplo e affidato nell’organizzazione ad AGIS Lombarda, che ha l’obiettivo di incentivare la circuitazione di nuove produzioni di spettacolo dal vivo lombarde e rafforzare e sviluppare la rete di contatti tra operatori a livello nazionale e internazionale. Il 9 maggio è avvenuta la consegna, ormai tradizionale, degli EOLO AWARDS - dedicati a Manuela Fralleone - organizzati dalla nostra rivista agli spettacoli e agli artisti che si sono distinti nell’ambito del Teatro Ragazzi. Come contributo allo sviluppo e alla valorizzazione della drammaturgia contemporanea per il pubblico giovane, c’è stato un momento di riflessione con Brigitte Korn Wimmer, con la presentazione e lettura di brani da nuovi testi teatrali rivolti al pubblico delle nuove generazioni. Decisamente una buona edizione, questa trentesima di Segnali, che è stata frequentata da più di 200 operatori che hanno messo a dura prova gli organizzatori, i quali dobbiamo dire se la sono cavata benissimo tra 4 luoghi di spettacolo,spesso distanti da loro e con performance, assai diverse tra loro. Il festival ha ospitato anche due spettacoli provenienti dal Premio Scenario che si sono dimostrati tra i più apprezzati “Storto” di In quanto Teatro e “Domino” dei liguri di Generazioni Eskere, di cui vi rimandiamo alle recensioni già fatte su Eolo( AL DEBUTTO A PARMA I VINCITORI DEL PREMIO SCENARIO INFANZIA) Da Scenario sono state mostrate anche due delle 7 stanze dell’installazione drammatica “Dreaming Beauty” di Madalena Reversa, che si rifà alla celebre fiaba della Bella Addormentata che potremo vedere finita in Marzo alla Corte Ospitale. Un'edizione che tranne rari casi ( Generazione Eskere,Aldrovandi Montanari Coluccini, Fratelli Dalla Via) nei risultati migliori ha visto primeggiare i monologhi, segno evidente, oltre che delle difficoltà del mercato,anche di quelle di coniugare una drammaturgia che vada al di là del solo attore, massimo due in scena. Attori come nel caso di Marco Continanza e Ippolito Chiarello,per fare solo due nomi, che al di là della narrazione, ci fanno tirare un sospiro di sollievo sulla qualità della recitazione( per non parlare anche dei giovani interpreti di "Storto") Poco teatro di figura se non già collaudato, un solo spettacolo di danza, ma una grande e varia congerie di linguaggi anche legati alla sperimentazione. Insomma al di là di tutto il teatro ragazzi è vivo.
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AMARBARI'- UNTERWASSER
Dopo il grande successo di “Out”, il collettivo femminile Unterwasser formato da Valeria Bianchi, Aurora Buzzetti, Giulia De Canio ha presentato a Segnali “Amarbarì” un’avvolgente performance di ombre per pochi viaggiatori di ogni età, pronti a farsi meravigliare. Il pubblico dei bambini, 25 alla volta, è invitato infatti a varcare la soglia e ad accomodarsi all'interno di uno spazio composto da 4 pareti bianche, che miracolosamente, attaverso il gioco colorato delle ombre, formano un palazzo incantato, capace, come un vero e proprio tappeto magico, di spostarsi di luogo in luogo. “Amar bari” in lingua Bengali significa “casa mia”. E infatti ognuno dei piccoli partecipanti potrà vivere quel luogo come una vera propria casa in cui poter abitare, una casa però senza confini, perchè il mondo in cui viviamo non ne dovrebbe possedere nessuno di confine.
E infatti sui 4 lati della stanza si possono vedere e immaginare paesaggi di ogni tipologia, da fondali marini, a calde città variopinte, firmamenti stellati, perfino cieli attraversati da mongolfiere dai colori sgargianti che dall'alto solcano le infinite possibilità che la nostra terra concede. Appena fuori gli spettatori potranno anche osservare gli straordinari, nella loro meccanica semplicità, marchingegni utilizzati per creare tutti questi immaginari : piccoli proiettori, sagome e sculture mobili di legno, fil di ferro e vetro colorato. Un luogo “Amarbarì” che potrà anche ospitare i bambini piccolissimi con la propria mamma per sognare insieme tutti i mondi possibili.
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CHE FORMA HANNO LE NUVOLE? -INDUSTRIA SCENICA
PICCOLI ESERCIZI DI FELICITA'-MTM MANIFATTURE TEATRALI MILANESI

Due gli spettacoli che hanno come protagonisti attori adulti che interpretano bambini. Che forma hanno le nuvole? di Industria scenica e Piccoli esercizi di Felicità di MTM, Manifatture teatrali milanesi.
Che forma hanno le Nuvole ? di Industria Scenica,alla sua prima vera incursione nel teatro per l'infanzia, è uno spettacolo che tratta in modo divertito e divertente di uno dei temi preferiti del Teatro ragazzi, quello dell’amico immaginario,
Protagonista della storia è Vera che vive con un cane bassotto, due genitori che la adorano e un fratello gemello, Nemo, il compagno di tutte le sue avventure. Solo che Nemo non è un fratello in carne ed ossa, ma è l’amico immaginario che solamente Vera vede. Quando se ne accorge Nemo è assai arrabbiato e le chiede di renderlo libero. Da questa libertà nasceranno una serie di divertenti avventure che tra gruppi di aiuto e uffici di ricollocamento per amici immaginari porteranno Nemo a confrontarsi con nuovi amici con i quali incomincerà a comprendere la grande utilità della sua funzione. Si è invisibili solo quando si vuole esserlo, quando non crediamo in noi stessi e nelle nostre capacità. Lo spettacolo seppur piacevole nella sua divertente fruibilità, a parte qualche bamboleggiamento eccessivo, ci pare che ponga troppa importanza sul personaggio dell'amico immaginario a discapito di Vera, con cui invece il pubblico dei ragazzi dovrebbe confrontarsi. Qualche confusione ci pare anche esserci sull'età del destinatario, troppo grande nella sostanza, rispetto ad una forma invece infantile, più giusta per un pubblico in cui l'amico immaginario riveste una grande ed insostituibile importanza.  Nello spettacolo “ Piccoli esercizi di felicità” invece si racconta di una bambina, che non per niente si chiama Isolina, con tanti fratelli che, avendo sul cuore un grande peso, compie un viaggio iniziatico attraverso le lacrime che copiose escono dai suoi occhi. Sarà nuotando dentro le sue stesse lacrime, diventate un grande mare, che incontrerà una serie di figure che l'aiuteranno ad essere più felice, a capire meglio sé stessa, un polpo, una tartaruga, un delfino, un gabbiano e un Pinguino, sotto le quali si cela l'aiuto dei suoi fratelli, che le faranno capire che poi così sola non è, e che, con quei doni, potrà diventare più matura senza più piangere. Debora Virello, regista e autrice del testo, volutamente enfatizza per tutto lo spettacolo l'elemento didascalico dell'impianto drammaturgico, ponendo soprattutto l'accento sul valore simbolico dei doni ricevuti da Isolina che alla fine vengono letteralmente incorniciati come un vero e proprio decalogo di ammonimenti per vivere felice. Tale scelta sacrifica spesso gli elementi più specificatamente immaginifici che il testo invece contiene in quantità. In tal senso qualche dubbio abbiamo anche sulla scenografia non sempre risolta in modo adeguato nel ricostruire il mondo marino in cui Isolina si trova a vivere.
Significativo e bello il rapporto che la protagonista ha con i fratelli che a nostro avviso non dovrebbe essere confinato solo all'inizio e alla fine dello spettacolo.
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SEI CIGNI -TAM
Flavia Bussolotto del TAM di Padova ci ha ormai abituato a non accontentarci di ascoltare  pedissequamente le fiabe in teatro in modo convenzionale, sapendo inventare ogni volta nuovi meccanismi seducenti per proporle. Questa volta utilizza la performance tecnologica ritmico/musicale per restituirci l'atmosfera e il paesaggio di una fiaba poco conosciuta dei fratelli Grimm: i 6 cigni.
La fiaba narra di un re che in seconde nozze deve sposare la figlia di una strega che lo ha irretito attraverso una magia. Il re, vedovo, aveva avuto dalla prima moglie sei maschietti e una bambina. I maschietti per un nuovo incantesimo della perfida matrigna sono trasformati in 6 cigni, finchè la sorella, dopo mille avventure e sacrifici non riesce a liberarli dal sortilegio, sposando l'uomo che amava .
Flavia Bussolotto racconta la storia sia con le parole sia servendosi dei suoni costruiti pensando alla loro capacità di raccontare, diventano simboli sonori, portati all'essenza, quindi alla dimensione simbolica, perché possano evocare immagini e rafforzare il potenziale racconto visivo insito in ogni fiaba.
Spettacolo coraggioso e inventivo, tratto da una fiaba assai complessa, che a nostro avviso, in alcuni momenti, nella sua costante ripetitività dei segni scelti, avrebbe bisogno di un respiro maggiore che concedesse alla narrazione nuove aperture meno tecnologiche e più emozionali .
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FIABE DA TAVOLO/ LA TEIERA E IL BRUTTO ANATROCCOLO - TEATRO DELLE APPARIZIONI
Dopo aver raccontato nelle classi e nei piccoli teatri che accolgono il teatro per l'infanzia “ Il pesciolino d'oro di Pushkin, “I tre porcellini” di James Orchard Halliwell-Phillipps, “Hansel e Grethel” e “Cappuccetto Rosso “ dei Grimm, ecco che Fabrizio Pallara del Teatro delle Apparizioni è tornato a reinventare, su un piccolo tavolo, a stretto contatto con i bambini, attraverso piccoli oggetti, altre due fiabe, scritte questa volta da Hans Cristian Andersen “La teiera “ e “Il brutto anatroccolo “. Due fiabe che, come accade spesso nell'immaginario dello scrittore danese, pur nate in un contesto doloroso, hanno un finale di giusto riscatto.
Piacevolissima e di breve ma poetica intensità, il primo racconto, più convenzionale il secondo, corroborato però dalle più celebri canzoni dei Beatles, che ne accompagnano con gioiosità il divertente svolgimento.
Per di più, giusto accordare insieme una storia spesso dimenticata ad un 'altra fin troppo abusata. Del resto anche la Teiera del primo racconto, assomiglia molto alla fiaba a lei dedicata: appena costruita era la regina della tavola, usata e scheggiata, poi, era caduta in disgrazia, andando incontro però ad un più grande e meraviglioso destino, nutrire dentro di sé un seme che sarebbe diventato un fiore rigoglioso. Con poche parole e gesti misurati Fabrizio Pallara le restituisce prestigio, riconsegnandoci l'originalità e tutti i sottotesti di questo piccolo capolavoro anderseniano.
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DISconnesso FUGA ON LINE - GUIDO CASTIGLIA
Era logico che Guido Castiglia, sempre pronto ad affondare, attraverso il suo collaudato stile narrativo, gli artigli pietosi delle sue parole nelle pieghe più nascoste della vita degli adolescenti, ci riconsegnasse attraverso il teatro le ricchezze e i pericoli presenti nel Web, soprattutto a quella età che non ha ancora  gli strumenti per comprenderne tutti i risvolti. E lo fa con la consueta capacità di raccontare storie esemplari, immettendole nella esperienza stessa dei ragazzi, pur mutuata dal teatro di narrazione, senza orpello alcuno.
Protagonista di Disconnesso, fuga off-line è un ragazzo, Davide che vive la sua vita solamente attraverso WhatsApp, Snapchat, Facebook e i giochi online. Davide certo è Davide, Davide Felini , un ragazzo normalissimo, ma per gli amici è Dave Tiger, tredici anni e una vita in rete nella quale le relazioni personali e i mostri di Fallout 4 si mescolano in una realtà fittizia che oscura fortemente una vita reale, per lui sempre più noiosa e senza emozioni. Ma arriva il giorno in cui accade l’inaspettato: un litigio con i genitori, che lo scoprono a fare quello che non avrebbe dovuto fare, lo porta a fare una fuga precipitosa che dovrebbe condurlo per punizione a casa dei nonni. Ma orrore indicibile, il cellulare si scarica e così si trova disconnesso da tutto, nel buio di una città che improvvisamente si fa nemica. Insomma isolato dal “suo mondo” si sente perso. Dopo una prima parte introduttiva che ci porta a conoscere tutti i meccanismi che inducono un individuo qualsiasi ad essere estraneo al mondo reale che ci circonda, lo spettacolo racconta l’avventura interiore del nostro protagonista che, disconnesso dalla realtà virtuale, finalmente riconquista le “tecnologie” più pure del nostro mondo reale, che magari non sarà perfetto ma che, nonostante tutto, può avere in sé meravigliose bellezze come l'amore e l'amicizia. E così Luca e Omar, i compagni di sempre, diventeranno alfine reali, Ettore un amico da non prendere in giro ma con cui si può giocare a pallone e Stefania.........
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HOMEsweetHOME#1-ROBERTO CAPALDO RESIDENZA IDRA
Cosa vuole dire avere una casa, casa, com’è, dove si trova, quando ci si sente a casa, qual è la casa giusta? HOMEsweetHOME#1 il progetto che Roberto Capaldo ha creato per Residenza Idra di Brescia si è costituito intorno a queste domande, partendo dall’osservazione di quei bambini che, per motivi medici, hanno dovuto allontanarsi dalla propria casa e ricostruirsene una nuova, ma di converso di chi, lasciato il proprio paese ha necessità di una nuova casa. Noi abbiamo assistito al primo atto dei tre del progetto. L’attore narra servendosi non solo delle parole ma anche del proprio corpo, illuminato di volta in volta in modo significante, di uno scoiattolo che si risveglia dopo il lungo letargo invernale, cercando una nuova abitazione. La casa che lo ha ospitato per tutto l’inverno infatti improvvisamente non gli appartiene più. Così decide di mettersi in cammino, attraverso tutte le strade che il destino gli para davanti, per andare a cercare la nuova casa “giusta “ per lui. Sulla sua strada trova diversi amici animali che gli prospettano diverse soluzioni, un picchio, una tartaruga, una rondine, una talpa. Dentro? No! Sopra!, no meglio un nido , no una buca sottoterra ….. Il nostro non sa proprio che pesci pigliare e quindi chiede consiglio al più saggio di tutti, un vecchio gufo. Forse la soluzione dice lui è che tutti possano convivere, insieme come fa comodo loro, in un mondo senza confini, aiutandosi uno con l'altro. Uno spettacolo semplice semplice, di immediata fruibilità, per un pubblico che entrerà per incanto in un mondo zoomorfo, domandandosi anche quale possa essere una casa perfetta, forse la propria, guardandosi anche intorno ad osservare chi la casa non ce l'ha proprio.
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KON-TIKI -TEATRO TELAIO
Molti di noi hanno certo sentito parlare del mitico “Kon-Tiki”, la zattera costruita nella primavera del ‘47 dall’esploratore norvegese Thor Heyerdahl, che partì dalle coste del Perù deciso a raggiungere via mare le isole della Polinesia Francese : Kon -Tiki, che in lingua preincaica significa Dio Sole, la cui immagine fu disegnata sulla vela dell'imbarcazione. Senza remi, senza motore, sfruttando solo la corrente marina, i venti alisei e la buona sorte: Thor Heyerdahl navigò101 giorni in mare aperto, assieme a un pappagallo e cinque compagni di viaggio che non avevano mai navigato prima di allora : quattro norvegesi Erik Hesselberg, Knut Haugland, Torstein Raaby, Herman Watzinger ed uno (Bengt Danielsson) svedese.
Thor partì per dimostrare che 1.000 anni prima lo stesso viaggio poteva essere stato intrapreso da un popolo primitivo in fuga dagli Inca. Per dimostrare che gli indigeni del Sudamerica riuscirono ad attraversare il Pacifico 500 anni prima di Magellano. Ebbene Marcelo Sola, nello spettacolo del Teatro del Telaio, coinvolgendo anche il pubblico, attraverso la semplicissima ma incisiva drammaturgia e regia di Angelo Facchetti, ci fa letteralmente rivivere quel viaggio: Marcelo, finto professore peruviano, in realtà di origine italiane, ma nato e vissuto in Brasile da cui è dovuto migrare in Italia, così come aveva fatto suo nonno all’incontrario 100 anni prima, partendo dalla Calabria. Ne viene fuori uno spettacolo che presentandosi come una lezione storico- geografica, diventa per incanto un romanzo di avventura ma quel che più importa ci dona il senso più profondo della migrazione, intesa non solo come emergenza ma come carattere distintivo di ogni civiltà fin dagli albori dell’umanità.
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NELSON-ANFITEATRO
“Le persone debbono imparare ad odiare. E se possono imparare ad odiare allora può essere loro insegnato anche ad amare. Perché per la natura umana l’amore è un sentimento più naturale dell’odio.” Queste parole potrebbero essere messe a suggello del vero e proprio tributo che Giuseppe di Bello e Anfiteatro hanno dedicato al sudafricano Nelson Mandela, eroe Nero in un paese dominato dai    Bianchi,attraverso le preziose parole regalate ad un pubblico non solo di ragazzi da commosso e commovente Marco Continanza.
Attraverso di loro seguiamo la storia di Nelson fin da piccolo, da quando gli venne cambiato dalla maestra il nome come omaggio al famoso Ammiraglio, al posto del suo impronunciabile. Lo seguiamo poi nei suoi primi studi in un college all'inglese sino al'arrivo dalla provincia a Johannesburg e alla scoperta della situazione intollerabile dei Neri; lo vediamo lavorare in miniera e poi in uno studio legale di ebrei e poi a crearne uno suo, nato apposta per cambiare la situazione del suo paese. Ecco poi la scelta di combattere e non di arrendersi sino alla condanna perpetua al carcere di Robben Island, ridotto a vivere in una piccolissima cella dove rimase 27 anni.
Ma anche qua lo spettacolo lo segue fedelmente non raccontandone solo i momenti salienti ma connaturandoli con il pensiero di Mandela: la lettura di Shakespeare come fosse una Bibbia, l'amore per gli aquiloni simboli di libertà, la cura dell'orto, l'invito non accolto ad abiurare il suo pensiero. Fino allo snodo della sua vicenda carceraria : la rivolta che avvenne nella township di Soweto nel giugno del 1976 che la polizia soffocò uccidendo diverse centinaia di persone, che sfociò 15 anni dopo nella sua liberazione.
Mandela fu liberato l'11 febbraio del 1990 divenendo addirittura il presidente del Sudafrica e avviando un processo di riconciliazione e pacificazione. “No fratelli, attraverso la vendetta avremo solo riprodotto la stessa violenza che abbiamo subito. Io vi dico che la vendetta non sarà soddisfacente. Non cambierà l'orrore vissuto, l'umiliazione, il tormento dei ricordi. Anche se ammazzi il tuo torturatore e lo fai morire in modo lento e doloroso questo non cambierà la percezione dell'orrore che abbiamo vissuto. La vendetta non ci renderà migliori di loro”
E alla fine dello spettacolo, terminata l'ora dei pensieri e delle emozioni per aver ascoltato l'epopea di un uomo eccezionale, di un 'icona della libertà, solo allora capiamo che “ Nelson” ha parlato anche di noi, del nostro mondo, ancora una volta tormentato dal razzismo strisciante ma ben presente ancora nel cuore di molti e solo allora capiamo in quali modi possiamo combattrerlo.
“Le persone debbono imparare ad odiare. E se possono imparare ad odiare allora può essere loro insegnato anche ad amare. Perché per la natura umana l’amore è un sentimento più naturale dell’odio.” Ed il teatro è sempre stato una delle armi più grandi per imparare dove si annidano amore e odio.
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MACBETH-RODISIO
Difficilissimo mettere in scena sotto altra veste o linguaggio un’opera così crudele e così complessa come il Macbeth di Shakespeare. C’era riuscito magistralmente Giuseppe Verdi, riconsegnandoci in musica attraverso un capolavoro assoluto che tanto amiamo, tutte le atmosfere presenti nell’opera. Ci ha tentato con buone intuizioni anche la compagnia Rodisio, partendo da Verdi in “Fiaba nera” per riconsegnarla ad un pubblico di ragazzi, su commissione del Festival Verdi di Parma. Per metterlo in scena i Rodisio sono partiti da queste domande : Ce l’hai un sogno? Cosa sei disposto a fare per realizzare il tuo sogno? E pensi che sarai felice quando lo realizzerai? Della vicenda seguiamo i momenti capitali della vicenda, l’incontro con le streghe, Macbeth nominato Barone di Cawdor , l’incoraggiamento della moglie al consorte a proseguire senza se e senza ma nel diventare re, il pugnale che lo ossessiona quotidianamente, l’uccisione di re Duncan, l’assassinio di Banquo e l’apparizione e del suo spettro, il ritorno delle streghe e i loro ammonimenti e visioni, la morte dei due sposi. Macbeth e sua moglie, secondo le intenzioni dei Rodisio abitano un mondo piccolo, i lampadari di cristallo sono già caduti a terra ( La luce langue). Mossi dal famoso monologo, recitato alla fine del tutto dal protagonista che paragona la vita a un povero attore che si pavoneggia, Davide Doro e Manuela Capece ci mostrano in questo modo i due sposi crudeli.
Molte le invenzioni disseminate nello spettacolo : il cambio di colore dei costumi, l'utilizzo simbolico degli oggetti, l'atteggiamento parossistico dei due assassini durante il famoso concertato che chiude il primo atto, i riferimenti alla versione cinematografica di Kurosawa, l'atmosfera cupa abilmente ricostruita in ogni momento che si insinua in ogni angolo del palco.
C'è però qualche ripetizione di troppo, qualche tassello mancante, perchè rifare per esempio il pur meraviglioso preludio e non sottolineare la follia della Lady e la fobia delle sue mani lorde di sangue con “ Una macchia è qui tutt'ora”. Comunque come di solito accade per questa compagnia un 'operazione coraggiosa  e piena di stimoli che proporremmo ai ragazzi delle medie, prima di un necessario approfondimento.
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C'ERA UNA VOLTA UNA BAMBINA. CAPPUCCETTO ROSSO.
La danza, forma così difficile da proporre e conseguentemente approcciare nel Teatro ragazzi italiano, ha fatto capolino a “Segnali” con “ C’era una volta una bambina. Cappuccetto Rosso “ della giovane compagnia Once, meritoriamente sostenuta dal Teatro della Tosse.
In scena due performer, Maria Francesca Guerra e Filippo Serra, Cappuccetto rosso (il cui soprannome non viene mai utilizzato) e il lupo.
La loro danza è punteggiata dal racconto poetico di una lettrice fuori campo, Irene Guerra, che ne amplifica gli accadimenti e i sentimenti. Ma i veri protagonisti dello spettacolo sono gli ambienti e le cose, il bosco con i suoi rami, la casa della nonna con i suoi mobili, che partecipano all'evolversi degli avvenimenti. Il lupo non è qui l'antagonista, ma un amico con cui giocare
“ Era un lupo bello. Un lupo svelto, attento, coraggioso. Come la bambina. Appena un po’ più grande. Era un lupo fatto per correre. E corsero. Era una bambina fatta per giocare. E giocarono. Era il regalo del bosco alla bambina. Era il pegno della bambina al bosco. I due si giurarono fedeltà.
La lettrice ci dice però spesso che la storia raccontata mille volte non è poi così, ma a noi non interessa, a noi interessa che i bambini che guardano lo spettacolo non debbano avere paura di quello che accade intorno a loro, anche se poi il cacciatore arriva davvero e per il lupo sarà la fine, ma così è la storia e non possiamo cambiarla.
Spettacolo anche qui coraggioso ma accompagnato forse da troppe parole, in un linguaggio assai barocco che meriterebbe un necessario sfoltimento, lasciando alla danza il compito di raccontare,
secondo noi, ai ragazzi più grandi una storia senza tempo.

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MATTIA E IL NONNO-FACTORY/FONDAZIONE SIPARIO TOSCANA
La morte, insieme al sesso e alla malattia, è uno dei tabù più difficili da sfatare quando si propongono spettacoli da rappresentare per i ragazzi. E ogni volta ci tocca ribadire che non esistono Tabù, e ,che quello che importa è il modo con cui si propongono. Ecco nel caso di “Mattia e il nonno “ proposto da Factory possiamo ben dire che questo tema spinosissimo è stato regalato con poesia e delicatezza per tre ragioni, sia perchè tratto da un libro bellissimo di Roberto Piumini, sia per la sapiente e immediata riscrittura che ne ha fatto Tonio De Nitto, sia per l'interpretazione felice e leggera di Ippolito Chiarello.
Mattia è un bambino che, trovandosi davanti al nonno che non gli parla più, non capisce perchè tutte le persone che sono intorno a lui invece piangano. Lui pensa ad altro, ad osservare una mosca sul soffitto. Ma ad un tratto il nonno gli rivolge la parola, solo a lui la rivolge e lo invita a fare con lui un bel viaggio. Allora come è già accaduto per Doroty nel mago di Oz, Mattia, con accanto il suo nonno, apre la porta della stanza della sua casa e si trova subito immerso in un viaggio fantastico. Insieme al nonno, che lo invita sempre a non avere paura, attraversano pianure, prati colmi di girasoli, mercati variopinti. Ma non solo: danno nomi nuovi alle cose e agli animali, pescano insieme, fanno i pirati, giocano a morra per salire su un campanile da dove guardano l'immensità del panorama. Ma ad un certo punto Mattia si accorge che il nonno sta diventando sempre più piccolo, sempre più piccolo, così piccolo che Mattia se lo ficca tra i capelli. Come in un vecchio film di fantascienza, il nonno sarà così piccolo da sparire, per far parte anche lui dell'infinito e lascerà in dono al nipote la sua esuvia .
Cosa è un 'esuvia ? Chiede Mattia. “È la scorza di una cavalletta “, risponde il nonno
“Quando certi insetti crescono, la loro armatura non cresce con loro, ma se ne forma un’altra all’interno: quella vecchia si rompe ed esce l’insetto più grande, e la pelle vecchia si chiama “esuvia”. Così, alla fine, prima che il padre glielo insegni, Mattia sa che il nonno e tutte le persone che abbiamo amato, non spariranno mai, saranno sempre dentro di noi.
“Mattia e il nonno” ci trasporta fedelmente in tutti i mondi che Mattia e il nonno hanno visitato insieme, rendendoceli vivi e pulsanti, ricordandoci nel contempo che la vita vince sempre sulla morte, basta che noi, con il nostro operare, possiamo lasciare la nostra esuvia agli altri.
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ENRICHETTA DAL CIUFFO -TEATRO PERDAVVERO
Marco Cantori di Teatro Perdavvero dopo “Il re tutto cancella” e “I musicanti di Brema “ a Milano ha presentato il suo nuovo lavoro, ispirato ad una fiaba poco nota di Perrault : Enrichetta dal Ciuffo. La fiaba narra di una bambina brutta, ma tanto brutta da fare spavento. Una bambina dai piedi storti, dalle gambe storte, la schiena curva, la testa che pendeva da una parte, un occhio chiuso e totalmente calva, con un ciuffettino di capelli che sembrava sputato fuori dal cranio. Per questo i suoi genitori, un re e una regina, decisero di chiamarla Enrichetta dal Ciuffo. Ma una fata le predisse che, pur essendo nata così,sarebbe divenuta intelligente e simpatica e avrebbe avuto il dono di far divenire intelligente e simpatica la persona di cui si fosse innamorata. E così avvenne quando un giorno nel bosco incontra Clemente bel dente, un coetaneo di un altro castello, ragazzo bello, ma bello davvero. Solo che Clemente era bello sì, ma con poco cervello. Ma anche qui gli era venuta in aiuto una fata che gli predisse che un incontro del tutto particolare gli avrebbe cambiato la personalità. E così avvenne.
Marco Cantori benevolmente aiutato dal suo patner musicale Giacomo Fantoni, crea uno spettacolo assai divertente, all'apparenza di semplice consistenza, ma che utilizza insieme narrazione, musica ( scritta con Diego Gavioli), voci fuori campo e cura delle immagini che ne illustrano gli ambienti, apparendo magicamente sui grandi fiori che formano la scenografia. Enrichetta dal ciuffo dunque crea una sorta di fiaba canzone di felice ascolto e visione che potrebbe diventare la cifra stilistica di Marco Cantori di Teatro Perdavvero.

MARIO BIANCHI



FA’ LA COSA FATICOSA- TEATRO DELLE BRICIOLE
Divertente e di grande ritmo l’ultimo lavoro prodotto dal Teatro delle Briciole che ha affidato ai talentuosi fratelli Dalla Via l’ideazione del nuovo spettacolo.
“Fa’ la cosa faticosa” racchiude, tra le risate e gli applausi del giovane pubblico, l’accoglienza, quasi senza accorgersene, di una tematica ben più consistente ed importante di quanto la leggerezza dello spettacolo sembrerebbe mostrare ad una prima visione superficiale: la complessità di intraprendere un percorso, lo sforzo di mettere impegno nel conquistare le cose che desideriamo, la difficoltà di fare fatica per ottenere ciò che vogliamo. La facilità con cui nella contemporaneità tutto è avvicinabile, conquistabile senza fatica ha portato all’immobilismo della comodità. In scena tre simpatici protagonisti, ingegneri, il cui scopo è, per l’appunto, riuscire a fare le cose con meno fatica possibile e per tale scopo si ingegnano a tal punto da creare una macchina fantastica che li esima dal doversi impegnare in alcuni doveri quotidiani, come fare la doccia o versarsi un bicchiere d’acqua. Dopo aver costruito questa macchina fantastica riuscire a farla funzionare non sarà cosa facile considerando che interviene un imprevisto: un blackout che impedisce la produzione di elettricità che avrebbe messo in moto la macchina. Ed ecco che diventerà quindi indispensabile l’aiuto del pubblico che con soffi e sfregamenti di mani produrrà l’energia sufficiente per mettere in moto la macchina: facendo la cosa faticosa, producendo l’energia che nasce dal risveglio della motivazione che alberga comunque e sempre in  ognuno di noi, dunque, si riesce ad arrivare alla meta. Gli attori, Daniele Bonaiuti, Yele Canali e Riccardo Reina, all’occorrenza anche rapper, sono molti convincenti e trascinano senza fatica il pubblico nei divertenti meandri dell’estremizzazione della comodità. Lo fanno con diversi linguaggi, compreso quello della musica rap, e riuscendo a diversificare in modo sostanziale i tre personaggi, ognuno molto ben caratterizzato. Le canzoni raccontano una parte della drammaturgia e ne rendono fresca, variegata ma soprattutto familiare la fruizione. Un unico, piccolo dubbio fa capolino: che tra le molte risate non si perda il senso dello spettacolo, che la drammaturgia, sebbene puntuale, ritmica e ben delineata, non porti ad un alleggerimento talmente marcato da farlo sembrare più un gioco teatrale che una seria riflessione su di un tema davvero importante. Ai piccoli spettatori e a tutti noi, dunque, il serio e faticoso compito di far germogliare il seme “Fa’ la cosa faticosa” nel nostro io più profondo.

AMICI PER LA PELLE
Debutta nella sua forma integrale il convincente lavoro “Amici per la pelle” ben scritto da Emanuele Aldrovandi e Jessica Montanari e diretto in modo vivo e stimolante da Renata Coluccini per la produzione del Teatro del Buratto e di ATIR. Ne avevamo visto uno studio al festival di Castelfiorentino “Teatro fra le generazioni” che già aveva fatto intravedere le potenzialità di questo lavoro che ha trovato perfetto compimento nella sua presentazione alla Fabbrica del Gioco e delle Arti. “Amici per la pelle” è un racconto che narra di un incontro che diventa amicizia e di come la relazione tra due esseri viventi non sia per nulla scontata ma un vero e proprio cammino verso sé stessi e verso l’altro. Zeno è un giovane ragazzo che lavora presso un salumificio che produce salami d’asino indossando, nel vero senso della parola, i panni dell’animale per fare pubblicità e convincere la gente a comprare il salume. Ma un brutto giorno viene licenziato e invitato ad andarsene con tutto il costume d’asino che tanto ormai non serve più. Abbattuto, camminando senza meta, s’imbatte in un’asina, simpaticissima ed intelligente, che sta scappando da una vicina stalla in cui è costretta a vivere senza potersi muovere e da dove vede sparire ad uno ad uno i suoi amici e parenti. Molly, questo il nome dell’asina, scambia Zeno per un asino vero e il ragazzo, non volendola deludere, decide inizialmente di non svelarle la sua natura di essere umano. Inizierà così la loro fuga, inseguiti dai padroni della stalla che cercano di riprendersi l’asina. Ma il loro sarà anche un viaggio di continuo confronto: lei odia gli uomini perché, dice, non rispettano gli animali e fanno loro del male e lui, da essere umano, tenta di spiegare le motivazioni di certi comportamenti e di difendere, per quanto possibile, la categoria. Questo comporterà una diffidenza di Molly nei confronti di Zeno che si conserverà per tutta la durata del racconto ma che sarà sempre accompagnata anche dalla voglia di conoscerlo e di fare un pezzo di strada insieme a lui. La fiducia è un sentimento che si costruisce nel tempo e che si dibatte sempre dentro di noi tra la voglia di abbandonarsi all’altro e la paura di rimanerne feriti. E così, in un altalenando di diffidenza e accoglienza, prosegue il loro viaggio verso un Posto Segreto: quella suggerito da un’ape. Una terra magica e incredibile dove tutti gli animali vivono in armonia ma, soprattutto, senza uomini. Ma, una volta raggiunto questo luogo, ecco che il finto asino comincia ad aver paura: leoni, serpenti e predatori lì sono liberi. Davanti ai suoi occhi il leone mangia la gazzella, così com’è giusto per natura. Decide quindi di scappare per non rischiare di essere il pasto successivo del leone e, mentre di nascosto dall’asina si allontana, non si accorge di essere seguito proprio da lei. Intanto i proprietari della stalla che stanno ancora cercando Molly riescono a trovarla e cominciano a sparare all’impazzata. A questo punto Zeno getta la maschera, nel vero senso della parola, intimando agli uomini di non sparare perché lui è un ragazzo. Molly, terribilmente delusa, viene catturata e riportata nel tremendo e stretto recinto fino a che il ragazzo, sentendo sia il rimorso per aver tradito l’asina che l’affetto nato per lei, decide di tornare nel Posto Segreto e parlare a tutti gli animali chiedendo loro aiuto per liberare l’asina. Tutti insieme torneranno quindi alla stalla e riusciranno a rompere il recinto liberando gli animali ma soprattutto dimostrando che superando la diffidenza e rispettando la propria natura e le altrui diversità è possibile arrivare ad obiettivi ben più complessi ma soprattutto che attraverso l’altro e le sue differenze si può conoscere meglio sè stessi e gli altri. Il racconto scorre via veloce con un ritmo perfettamente cadenzato che aiuta a non disperdere mai l’attenzione. Molto convincenti e bravi i due attori mai eccessivi, Mila Boeri e David Remondini, ben diretti da una regia leggera ed efficace che regala momenti di azione e di poesia che nutrono la vitalità e l’anima dello spettatore. Un cenno particolare merita la straordinaria scena della lotta degli animali e di Zeno per la liberazione dell’asina Molly: uno scenario apocalittico di paglia, luci e polvere che lascia i piccoli spettatori senza fiato per la meraviglia. Un ottimo lavoro “Amici per la pelle” perché non dà nulla per scontato e non cede alla facile via dell’approccio buonista ma aiuta a comprendere la complessità delle relazioni e la ricchezza portata dalla capacità di leggere la realtà alla luce di differenti punti di vista.

ROSSELLA MARCHI



ATGTP – IL GRANDE GIOCO
Hector. interpretato da Silvano Fiordelmondo , attore storico della compagnia Teatro Pirata, e Papios. Fabio Spadoni , bravissimo attore con la sindrome di Down che avevamo già amato e apprezzato in "Voglio la luna",  ci conducono all'interno di una storia familiare quotidiana: quella di due fratelli che vivono la loro vita, uniti da grandissimo affetto e complicità.
L'improvvisa notizia di una malattia mortale dalla quale è affetto Hector, irrompe nel pacifico trantran al quale sono abituati, con Hector che “conduce” e Papios che “segue. E qui il rapporto si capovolge. L'apparentemente fragile Papios prende in mano la situazione, costringendo Hector a seguirlo passivamente nell'attuazione di desideri – dalla banale gita al mare, all'improbabile scelta di una sposa - in una corsa contro il tempo, costringendolo, a poco a poco, ad appassionarsi al “Grande Gioco” della vita, finché questa c'è (se pure, nella partecipazione di Hector, rimanga una costante lieve tristezza) . Tutto si svolge all'interno di una sola giornata: dalla conoscenza della malattia, all'esaurirsi dei desideri. E quando i desideri sono finiti, finisce il Gioco: cala la notte, metafora della fine, che riporta i due fratelli nel letto dal quale si sono alzati al mattino e dove, il giorno dopo, Papios si sveglierà da solo.
La scenografia è essenziale ed estremamente funzionale: 2 sedie - che diventano, da semplici sedie di una sala d'aspetto, letto, auto, pedalò e carrozza di montagne russe – un fondale di carta stropicciata, che serve anche da quinta, ed una grande “coperta” dello stesso materiale, quasi a sottolineare la caducità della vita come quella della materia.
Le luci, le musiche ed il cambio, minimale, di costume ben riescono a portarci in luoghi e situazioni diverse.
Silvano e Fabio, coppia affiatatissima sul palcoscenico, ci conducono con leggerezza attraverso situazioni importanti quali l'amicizia, e la generosità dell'affetto che va oltre la malattia e la morte. Quest'ultima accettata con l'ovvia tristezza, ma anche con la serenità dell'ineluttabilità della fine della vita che, se trascorsa con amore, vale sempre la pena di essere vissuta. Uno spettacolo commovente e divertente, per tutte le età.

LUNA E GNAC TEATRO - IL BAMBINO, IL BOSCO E LA STELLA
Durante gli anni della Grande Depressione, un orfano di cinque anni viene affidato ai nonni con i quali vivrà sui monti, nella loro capanna tra i boschi e il suo nome sarà Piccolo Albero: un nome indiano, un nome Cherokee, come lo sono i nonni. Grazie a loro, e agli amici che incontrerà, scopre i segreti della natura e della vita: il linguaggio del bosco, il respiro della terra, il canto degli uccelli. Ma il mondo esterno lo vede come un diverso,cosicché Piccolo Albero subisce anche l'emarginazione dovuta all'etnia indiana alla quale appartiene.
Interpretato dalla collaudatissima coppia Michele Eynard e Federica Molteni , lo spettacolo, contrariamente alle altre produzioni della Compagnia, prova a percorrere una strada diversa, più ricca di parole, personaggi ed elementi scenici. Rispetto alla leggerezza complessiva delle impostazioni precedenti - che si sono rette sulla preminenza del tratto grafico di Michele, e sulla stringata scrittura ed interpretazione di entrambi - lo spettacolo risulta appesantito: troppe informazioni, linguaggi, parole, personaggi che ripetono troppe volte le stesse cose, in una scenografia ridondante che ingabbia e nasconde la storia e la bravura degli attori.
Le tematiche molteplici ed estremamente attuali– la Natura vista come madre generosa attraverso le sue molteplici espressioni, l'emarginazione di un'etnia causata dalla supremazia di chi detiene il potere, il rapporto fra due generazioni lontane quali sono nonni e nipoti - vengono in parte perse dalla difficoltà del seguire il filo narrativo della storia. Un peccato, perché gli elementi che compongono lo spettacolo e le suggestioni proposte sono interessanti: sarebbe suggeribile una nuova rimessa in scena, accuratamente asciugata e che torni alle dinamiche care alla Compagnia .
NICOLETTA CARDONE JOHNSON







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