
LE RECENSIONI DI MARIO BIANCHI E ROSSELLA MARCHI
Dal 10 al 13 Aprile si è svolta a Torino la ventitreesima edizione del Giocateatro che da oltre 20 anni rappresenta un appuntamento immancabile per i programmatori italiani e stranieri del Teatro per le Nuove Generazioni.
Nello stesso tempo, per i cittadini torinesi e le loro bambine e bambini, la kermesse teatrale costituisce un’occasione unica per godere in anteprima delle novità che il Teatro dedicato ai ragazzi esprime attraverso tutte le tecniche e i linguaggi che la scena teatrale possiede, con in più la delicatezza di proporle ad un pubblico speciale. Un pubblico particolarissimo che ha nella Casa del Teatro Ragazzi e giovani un posto speciale e unico che deve essere assolutamente preservato nella sua preziosa specificità.
Eleonora Frida Mino continuando il suo percorso sulla legalità, ancora una volta affronta una vittima della mafia, quella esemplare di Emanuela Loi, la ragazza che faceva parte della scorta del giudice Borsellino. La seguiamo fin da piccola quando già intende fare la poliziotta e per questo viene irrisa dai compagni della sua classe, sino al concorso vinto con caparbietà, all'incontro con Borsellino e la sua morte avvenuto a Palermo il 19 Luglio 1992. Se l’intento è ancora una volta nobile, i modi del racconto sono ancora convenzionali e ripetitivi, non discostandosi minimamente dai precedenti nel solco di una narrazione fin troppo elementare che non lascia spazio ad invenzioni e approfondimenti di sorta.
IL BARONE DI MUNCHAUSEN
Come sappiamo da anni Beppe Rizzo di Oltre il ponte ha due amori in scena, il teatro di figura e la musica che mescola con sapienza in tutti i suoi spettacoli. Qui in "Casca il mondo casca la terra" la musica e la sua chitarra prendono il sopravvento per raccontare ai bambini con il loro preziosissimo aiuto una storia che sembra nata da Rodari, condividendola con il suo pubblico di riferimento .
Racconta la storia di due villaggi. Uno in alto, in cima a una montagna, che si chiama Villaggio del Freddo, perché c’è la neve e gli abitanti sono infreddoliti. L’altro in basso, ai piedi della montagna, vicino a un deserto, che si chiama Villaggio del Caldo, perché c’è la sabbia e gli abitanti sono accaldati. E ogni villaggio ha un suo re, che con la prepotenza comanda tutto e tutti. Un giorno i due villaggi decidono di farsi la guerra e gli abitanti si scontrano a metà strada, scoprendo che lì non fa né caldo né freddo e che in quel clima tiepido è possibile convivere pacificamente. Ma protagonisti della storia sono due ragazzi, un bambino è una bambina : Malatesta e Malaspina che, con l’astuzia e con il sapere che tutti i bambini contengono in loro, riusciranno a mettere a posto le cose e a far parlare perfino un pesce gatto. Come una ballata Beppe Rizzo coinvolge a suon di musica gli spettatori in un viaggio canoro all’interno di una storia esemplare scanzonata e divertente. Da cui si evince che per fare uno spettacolo bello e coinvolgente per i bambini non ci vogliono grandi mezzi ma capacità di empatia nella semplicità, per altro studiatissima, e nella cura di ciò che si propone.
IL PAESE DEI QUADRATI MAGICI
Lastricata di buone intenzioni ancora da inquadrare, nel vero senso della parola, essendo lo spettacolo alle prime repliche, è a nostro avviso la nuova creazione del Melarancio prodotta con i cagliaritani del Cadadie.
“Il paese dei Quadrati magici” tratta dal racconto di Pinin Carpi e visivamente ispirata al pittore svizzero Paul Klee. Qui si racconta (con l'ausilio anche di musiche)delle avventure del famoso capitano del veliero “ Intrepido” che si trova lui senza alcun spigolo, nel paese dei quadrati, dove tutti hanno gli spigoli Un po’ come succede in altri contesti a Gulliver il nostro si troverà impelagato in enormi difficoltà che riuscirà a superare con arguzia tutta umana. Molto coraggio da sottolineare nel mettere in scena attraverso un apparato visivo interessante questa storia curiosa, ma la nuova creazione non ha ancora deciso se seguire un filo narrativo ( Gimmi Basilotta è un raccontatore assai particolare) o figurativamente musicale, tutto è ancora un po’impacciato e manca di verve ironica che potrebbe meglio inquadrare (acci ci risiamo) una storia così strampalata.Ma siamo alle prime repliche e forse il tutto potrà essere meglio precisato e incanalato in una più giusta direzione .
LA PRIMA VOLTA CHE HO FATTO BU'
Tutte le prime volte che ci hanno fatto crescere, tutte le prime volte che ci hanno fatto anche piangere, tutte le prime volte dove abbiamo trovato difficoltà invalicabili, che nella seconda e che nella terza si sono improvvisamente appianate. E poi ancora la prima volta che sono nata, che ho pianto, che sono stata da sola, che ho letto una storia, che ho scritto, che ho rotto un piatto e che ho visto la luna , ma anche che ho messo i tacchi e che mi sono fatta la pipì addosso e in cui sono stata gelosa . Tutte queste cose mi hanno fatto crescere, anche quelle che apparentemente mi hanno procurato dolore . Attraverso il movimento e poche parole, forse due amiche o forse due sorelle, o forse la stessa faccia della stessa medaglia, non ha importanza, si guardano e si confrontano tra loro, ma lo fanno anche, e soprattutto, con il pubblico, per trasmettere ai ragazzi, tutti i momenti che le hanno fatto crescere, anche i più banali. Perché la prima volta per ogni essere umano è un’esperienza meravigliosa ! Giulia Rabozzi ed Ester Fogliano in “ La prima volta che ho fatto bù “ di Francesca Guglielmino e Bobo Nigrone prodotto da Onda Teatro in coproduzione con Zerogrammi ci regalano uno spettacolo leggero come una piuma in cui i bambini ma anche tutti noi possiamo rispecchiarci ritornando indietro nel tempo a tutto ciò che ci è servito per diventare “ grandi “.
DI QUA E DI LA'. STORIA DI UN PICCOLO MURO
Eccoci qua a raccontarvi un nuovo spettacolo di Silvano Antonelli che in “ Di qua e di là “ non si limita a narrare la storia di un piccolo muro che attraversa la scena, ma è lui stesso a dargli voce, aiutato dalla brava Roberta Mariani. Lei è al di qua del muro, un muro costruito da tanti mattoncini rossi, dall’altra parte ci sono degli strani esseri… gli spettatori, i bambini. Come sono gli abitanti al di là del muro?
Per chi come noi ha visto e ha in mente “Aquarium” , uno degli spettacoli indimenticati e indimenticabili del teatro ragazzi italiano, è stato oltremodo difficoltoso assistere a” Terrarium” . Forse perché il ricordo di quello spettacolo è così forte da far impallidire ogni altro sulla riproposizione sul palcoscenico del mondo animale ad un pubblico di ragazzi o forse perché ancora una volta abbiamo davanti un mondo popolato da adulti che fanno finta di fare i bambini, facendosi scherzi stupidini con tanto di calzoncini e treccine e mamme che li riportano all’ordine. Cose, almeno per noi, da evitare accuratamente in uno spettacolo dedicato ai ragazzi. Consiglieremmo dunque agli autori di questo immaginifico bestiario di eliminare ogni riferimento ai tre fratelli protagonisti per concentrarsi sulle belle immagini che lo spettacolo pure possiede, sulle filastrocche e i suoni concernenti la natura che lo animano, purtroppo solo raramente, dove il mondo degli insetti e aracnidi viene invece ricreato spesso (non sempre ) in modo semplice ed inventivo, accompagnato anche dalle musiche pertinenti di Guglielmo Diana.
MARIO BIANCHI
L’OSPITE
Si è aperta in Bellezza la ventitreesima edizione del Festival Giocateatro. L’ultimo lavoro di Daniel Gol “L’ospite”, un testo scritto e diretto da lui stesso in cui ha creduto il Teatro delle Briciole che lo ha prodotto, ci ha infatti convinto per drammaturgia e messa in scena. Il rigore e l’originalità alle quali l’autore e regista ci ha abituato, li ritroviamo entrambi in questo lavoro dedicato a bimbi dai 4 anni d’età. La scelta del tema, quello dell’incontro/scontro con la diversità, è sicuramente attuale e ne comprendiamo e condividiamo l’urgenza. In scena inizialmente due bravi danzattori , Alessandra Francolini e Andrea Maffei, che giocano e scherzano ripercorrendo azioni e relazioni che appartengono alla quotidiana ritualità e alle loro abitudini che piano piano si consolidano in un recinto all’interno del quale si sentono protetti ma che al contempo li chiude. Ed è all’interno di questa relazione e di questo spazio che arriva l’Ospite, interpretato dal credibile Stefano Iagulli. Irrompe in scena con sembianze di gallo piumato e ricerca e richiede una possibilità di relazione. Inizialmente il nuovo arrivato viene ritenuto diverso e non gradito ma soprattutto si ritiene impossibile, da parte dei due protagonisti, pensare di con-cedere una parte di spazio all’interno del proprio recinto e di rinunciare a quelle abitudini che danno conforto ma non il confronto, anche perchè il nuovo arrivato lascia le sue piume da ogni parte. All’interno della coppia in confidenza, sarà il ragazzo a cedere per primo. Di fronte all’insistenza dell’ospite comincerà lentamente a cedere alla novità e alle cose buone che porta l’apertura verso ciò che non si conosce. Terrà duro fino all’ultimo lei, la più ostinata ed integralista protagonista, che cercherà in tutti i modi di cacciare il povero ed impaurito visitatore fino a che l’Ospite riuscirà a scardinare la resistenza della ragazza che permetterà finalmente la relazione e tutte le possibilità che essa dischiude. Questo passaggio ci giunge forse un po’ troppo frettoloso: la posizione radicale della protagonista femminile, così come caratterizzata, ci porta ad aver bisogno di un tempo in più per essere scardinata e aprirebbe forse la possibilità dell’inserimento di un quadro che sentiamo emotivamente e drammaturgicamente mancante. Infine lo spettacolo si chiude con i nostri protagonisti che decidono di aprire gli steccati del recinto in tutte le direzioni, sottolineando come infinite siano le possibilità che dispiega un nuovo incontro. Lo spettacolo si snoda veloce e agile tra le maglie del processo di ri-conoscimento dell’altro. I tre protagonisti sono credibili e l’ottima regia puntuale e per nulla scontata, permette di comprendere perfettamente ogni stato emotivo dei tre personaggi nonostante lo spettacolo sia quasi senza parole. Pulito e rigoroso nei movimenti scenici, ci sembra addirittura che le poche parole dette dalla protagonista femminile siano superflue in quanto lo svolgersi degli accadimenti e degli stati d’animo è talmente chiaro e ben leggibile da rendere inutile qualsiasi verbalizzazione. Davvero un buon lavoro.
PATCHWORK
Propone riflessioni profonde e spunti interessanti il lavoro di Cristina Cazzola e Carol Cassistat che hanno scritto e diretto lo spettacolo “Patchwork”, un progetto che vuole parlare d’identità e multiculturalismo ai bambini dai 7 ai 10 anni, prodotto da Accademia Perduta/Romagna Teatri. I due protagonisti sono infatti un uomo e una donna che provengono da due diversi paesi e che quindi si esprimono in lingue differenti. Il loro incontro avviene all’interno di un aeroporto: lui deve allestire una mostra intorno alla postazione che lei ha scelto per vendere coperte patchwork fatte a mano. L’incontro avviene inizialmente sulla base di una reciproca diffidenza: tentano di spiegarsi uno con l’altro basandosi però su stereotipi tipo “italiani/pizza/mandolino” ma piano piano riescono a costruire insieme un meta-linguaggio fatto di gesti e parole inventate ma onomatopeicamente significative. Diventa quindi divertente seguire il processo di conoscenza dei due che si fa via via sempre più confidenziale e che ci suggerisce come sia assolutamente possibile comunicare con l’altro anche quando non si parte da basi culturalmente vicine. Ma è proprio vero che le basi culturali delle persone siano così ben definite? E’ proprio vero che se ognuno di noi ricostruisse i luoghi degli antenati dai quali discende non troverebbe una molteplicità di luoghi e culture che in realtà gli appartengono? Ed è proprio questo che ci racconta lo spettacolo: il gioco che creano i due convincenti personaggi sulla scena è quello di allestire la mostra del protagonista ripercorrendo tutta le lunghezza delle proprie radici, mettendo in cornice oggetti cari che appartengono talvolta a tutte le popolazioni altre volte solo ad alcune. E così facendo si contaminano, trovando le affinità e arricchendosi delle differenze. Forse ci è mancato in questo viaggio divertente un po’ di approfondimento su ogni quadro. La carrellata di oggetti esposti nelle cornici allestite che rimandano a luoghi e storie, è forse stata un po’ troppo veloce. Avremmo avuto bisogno di un tempo in più per notarne meglio le peculiarità. Ci sarebbe piaciuto inoltre che, nel modo di comunicare dei due protagonisti, si fosse conservato il linguaggio che i personaggi creano insieme all’inizio che faceva passare un messaggio forte su come la relazione tra gli esseri umani sia qualcosa che si stabilisce costruendo insieme una base comune. Purtroppo invece, dopo un inizio convincente, il protagonista comincia misteriosamente a parlare un italiano con cadenza francese che ci fa perdere un po’ la magia di quell’incontro e non ne valorizza appieno il messaggio che si prefigge: non occorre parlare la stessa lingua per poter comunicare! Non ci convince inoltre del tutto, la scelta scenica del pannello di retroproiezione posto al centro della scena: la sua grandezza ci lascia presagire un’importanza e un utilizzo che in realtà poi non viene sviluppato e, di contro, risulta invasivo, occupando molto spazio sulla scena. Vedremo infatti soltanto una breve scena di combattimento utilizzando la tecnica delle ombre e la proiezione delle scale sul pannello. Forse troppo poco per le potenzialità che avrebbe potuto avere. Molto interessante invece la suggestione della coperta di vita: un telo patchwork composto da pezzi di stoffa ricavati da vestiti e rivestimenti ritagliati da indumenti significativi della vita della protagonista. La coperta viene quindi raccontata dalla donna tramite i singoli pezzi di stoffa che la compongono e che ci fanno ripercorrere la sua storia. Intravvediamo come “Patchwork” possa diventare davvero uno spettacolo importante: abbiamo bisogno di ri-percorrere quelle storie che appartengono a tutti, di costruire basi comuni e di sentirci ricchi delle vite degli altri. Anche conservando con cura, ognuno, la propria coperta.
ROSSELLA MARCHI
PER LA RECENSIONE DI PETER PAN RIMANDIAMO A QUELLA PUBBLICATA SU KLP
http://www.klpteatro.it/peter-pan-scaramuzzino-recensione
PER L'INTERVISTAA GRAZIANO MELANO E ALTRE RECENSIONI DI LAURA BEVIONE

