RECENSIONI DI MARIO BIANCHI, CIRA SANTORO, ROSSELLA MARCHI CON I PUNTI DI VISTA DEI RAGAZZI DEL CORSO" DAL TESTO ALLA MESSA IN SCENA"
Per cui i numerosi operatori provenienti, non solo da tutta l'Italia, hanno potuto vedere “ Daddy ' s Always Right “ dei bulgari di Credo Theatre,” So long “ dei croati Theatre Company Pinklec e “La capra e i tre capretti” del Luceafarul Theatre, proveniente dalla Romania, conoscendo da vicino diversi modi di proporre il teatro di figura,assai lontani dai nostri.
Certo non potremo darvi conto di tutti gli spettacoli, approfondendone solo alcuni, ma diverse sono state le nuove creazioni che ci sono piaciute e di quelle cercheremo di parlare. La manifestazione è iniziata con una interessante finestra sul lavoro e sui processi attivati in questi mesi intorno al progetto, coordinato da Linda Eroli, “Dal Testo alla Messa in Scena”realizzato da Demetra Formazione, in collaborazione con Accademia Perduta/Romagna Teatri e sostenuto con risorse del Fondo sociale europeo e della Regione Emilia-Romagna.
I giovani autori e attori, alcuni dei quali, in questa sede, daranno anche il loro punto di vista su spettacoli, a cui hanno assistito durante il festival, hanno presentato, guidati da Bruno Stori, Sandro Mabellini e Emanuele Aldrovandi, frammenti teatrali dedicati ad un racconto di Cechov e al capolavoro di Emily Bronte “ Cime Tempestose”
Il Primo giorno del Festival, è stato presentato anche lo studio del progetto in divenire “Patchwork”, materiali di lavoro di una coproduzione internazionale –Théâtre du Gros Mécano (Québec)/Ass. Segni d’Infanzia, scritto, diretto da Cristina Cazzola e Carol Cassistat, sul tema dell’identità nella società contemporanea e multiculturale.
I burattini sono stati ben rappresentati dal curioso” Nonna e volpe” su regia di Danilo Conti con Vladimiro Strinati, protagonisti due personaggi che così diversi non si può, che si affrontano attraverso sketch divertenti e surreali. Infine gli operatori hanno potuto vedere anche “La Venere Nera “ il primo studio per un racconto gotico di e con Liliana Letterese del Baule volante. Un ringraziamento particolare oltre che a Ruggero Sintoni e Claudio Casadio,va alle splendide ragazze che ci hanno letteralmente coccolato durante i quattro giorni del Festival: MONICA BARTOLINI PAOLA STORARI E CRISTINA VALGIMIGLI
Ovviamente diversi gli spettacoli già visti, di grande qualità come "Giobbe" di Roberto Anglisani, "Il Misantropo" dei leccesi di Factory, l'incursione sulla Divina Commedia di Chiara Guidi, il divertente apologo sul tema della rabbia "Valentina Vuole" del Progetto G.G., la Sirenetta con la brava Alessandra Tommassini a cui consiglieremmo uno sguardo esterno per rendere più intensa la sua narrazione. Tre gli spettacoli che non siamo riusciti a vedere"Il Folletto mangiasogni di " Fratelli di Taglia" "Strambe storie da Saki a Dahl" del Teatro dell'Orsa di cui ci darà però conto la giovane Erika Covezzoli e il concerto dei Flexus " Albero bell'Albero".
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Rispettando la struttura tradizionale della fiaba, reimpostata in modo contemporaneo, “ Come nelle favole” racconta la formazione e la crescita di due fratelli dalla carnagione nera, Leo e Cloe, che, attraverso un viaggio iniziatico, affrontano il cammino per diventare grandi.
Leo e Cloe partono, soli, alla ricerca di se stessi e delle loro bambole, in cui potranno finalmente rispecchiarsi e identificarsi. A narrare le avventure dei protagonisti è il nonno pittore, custode del passato e ponte verso il futuro. Saranno i colori del nonno a fornire a Leo e a Cloe la chiave per liberarsi. E sono proprio piccoli fiumi di colori diversi, che inondano il piccolo palco, dando sostanza ad una scena, dalla cui graticcia, di volta in volta, scendono anche le amate catene di forte espressività di Enrico e Valeria, a cui sono appesi oggetti che danno forma compiuta alla storia. Carlo Presotto, con la consueta generosità, narra le peripezie di Leo e Cloe. I modi del racconto sono ancora a metà tra la narrazione tradizionale e l'impostazione apparentemente asettica, tipica dei Babilonia, ma confidiamo che il passare del tempo colmi questa dicotomia.
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Ovviamente come in tutte le fiabe che si rispettino l'Orco deve fare paura, sappiamo che lo fa per finta, ma comunque deve far paura, perchè, in teatro, i nostri cuccioli, per crescere, devono avere paura, se no che Teatro è ? E' un Orco buffo quello che vediamo in scena, che si trasforma per fare paura, gli orchi veri, quelli che fanno veramente del male, vivono solo nella realtà. Il nostro Orco in scena è, invece, possessore di meraviglie, ammaliandoti, come fa, con la sua arte. L’orco, si sa, non muore mai, ritorna infatti in ogni fiaba, ma deve sempre essere sconfitto. Perchè sconfiggendolo, dopo, ma solo dopo, c'è una libertà, difficile da misurare.
Così si presenta Maurizio Bercini nel primo spettacolo, guidato sapientemente dalla luce e dalla musica, questa volta soprattutto di Mendelssohn, che come accade sempre negli spettacoli di Davide Doro e Manuela Capece, sottolineano le varie atmosfere presenti sulla scena, dandole significato. I bambini sono presenti, seppur miniaturizzati e si fanno anche sentire con la loro piccola voce. C'è pure una piccola casetta illuminata che alla fine andrà a fuoco,c'è perfino la luna e il filo del microfono che li conduce, alla fine verso la salvezza. Bravo Orco!
Nel secondo spettacolo, è il filo dell'ironia che imbeve ogni cosa, è un divertissement leggero e bizzarro, dove, il protagonista, è un mago piuttosto che un orco, il mago dei mondi incantati che ha costruito in 30 anni di arte e di lavoro.il protagonista è il Teatro,dove ogni cosa confluisce. E ci sono pure Marina, Zeno e Olga, che gli ricorda che poi così brutto non è. E' Orco, mago, ma è anche un Gesù psichedelico, un teatrante melanconico, coperto dalla polvere del palcoscenico ”
Non compatite la mia polvere...è magica. Invisibile ai più, ma chi la respira si ammala. L’ho raccolta in ogni dove, in ogni tempo, è la mappa di tutta la mia vita e la porterò con me quando andrò a capo... “ E noi te la lasciamo quella polvere Maurizio.
Le giovani Camilla Lopez, Elena Pelliccioni, sulle musiche originali di Matteo Arevalos e le scene di Ezio Antonelli, mettono in scena attraverso alcune frasi di Leonardo, significanti lette, da un bambino, i diversi mondi del grande genio italiano, pittore, ma soprattutto inventore di nuovi mondi.
Come un bambino infatti, Leonardo immaginava il futuro dilatando il presente, come un bambino immaginava di volare, di vedere in modo palese, mondi nascosti sotto la sabbia.
In “Leo,uno sguardo bambino sul mondo “Gioco, scienza, arte si inseguono, attraverso i giochi le invenzioni, le immagini vere e proiettate che le due performer costruiscono in scena. Lo spettacolo si vede che è ancora in formazione,vi sono ancora momenti imprecisi e suggestioni troppo criptiche, ma nello stile, che ben conosciamo di Fenati, la nuova creazione, con intelligenza già tangibile, tende sempre a non essere didascalica, a suggerire piuttosto che spiegare. E ovviamente insieme a lei, nello stile di Drammatico Vegetale, verrà abbinato un percorso didattico costruito ad hoc tra marchingegni e scatole magiche in omaggio al grande Da Vinci.
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Piano piano, incuriositi dal fatto stano, ma un poco paurosi essendoci un misterioso straniero e degli stranieri bisogna sempre aver paura, Teodoro il cane, BulBullo il bue, Piccolo porcello, BelBello cavello, Squibb il coniglio, Squitt il topo, Gatto e Rana, Betta la capretta, Gufo reale e oca, ognuno con la sua forma e la sua caratteristica, si avvicinano alla casa dell'amica e per nulla spaventati dallo straniero, ciascuno portando una verdura diversa, partecipano alla semplicissima ma lauta cena.
Il lupo viandante, così come è apparso se ne va, portandosi via il sasso, gli altri, quelli che restano, tramite una semplice zuppa, impareranno il piacere di stare insieme, unito alla bellezza della condivisione, un piacere che avevano dimenticato. Danilo Conti, utilizzando la sua voce e la sua corporeità, muovendosi a piacimento con le bellissime, strabilianti, piccole e grosse, maschere e sagome di Massimilano Fabbri, realizza un universo zoomorfo di grande divertimento, creando uno spettacolo di teatro di figura, originale e coinvolgente.
Davide è lui che ci racconta da vicino l'abisso, Davide che assiste al suo primo sbarco a Lampedusa con suo padre, dove arrivano stremati tantissimi esseri umani, per lo più, ragazzi e bambine. Il rapporto con il padre, taciturno, si condensa nello stesso silenzio delle parole che non hanno più senso davanti allo strazio dello sguardo. Per questo ogni parola del narratore è scelta mai a caso, in un fluire di sentimenti che il dialetto ed il canto impastano di pietà, e che il semplice accompagnamento musicale di Barocchieri scorta con discrezione.
Troppe forse queste suggestioni, che spesso si affastellano in modo disordinato, che avrebbero bisogno di un occhio esterno per essere governate,ma che fanno intravvedere un'arte teatrale di sicura forza e originalità.
“ Ricordi ?”, scritto da Caterina Bartoletti con i bravi Clio Abbate e Giovanni Dispenza,narra il rapporto della giovane Marta con il padre, che piano piano sta perdendo la memoria. Lo spettacolo mette in scena in modo dedicato, a volte inzuppato di ironia, mai retorico, il loro rapporto, un rapporto fatto da piccoli gesti affettuosi e della cura che Marta gli riserva. Prima era lui che la copriva di attenzione, ora, con il passare del tempo, le parti si sono invertite. Lo aiuta a muoversi, seppur a fatica, a fargli indossare la giacca, a rinfrescargli i ricordi attraverso delle fotografie, a farlo mangiare indicandogli il vero nome delle cose, insomma come tanto tempo prima lui faceva con lei. Lo spettacolo cerca di superare il pericolo della retorica dell'affrontare un tema siffatto, utilizzando il linguaggio del teatro-circo. In fin dei conti tutti i tentativi di rapporto tra padre e figlia si sono consumati e si consumano in un rapporto intenso tra i loro corpi che lo spettacolo ci restituisce con assoluta tenerezza.
THIORO, UN CAPPUCCETTO SENEGALESE. TEATRO DELLE ALBE KER THEATRE MANDIAYE N'DIAYE ACCADEMIA PERDUTA .
IL PIU' FURBO GIOCOVITA GIOCOVITA
STRAMBEVSTORIE DA SAKI A DAHL TEATRO DELL'ORSA STRAMBE STORIE DA SAKI A DAHL
Quando io e mia sorella eravamo piccoli, nostro babbo ci leggeva qualche favola prima di andare a dormire. Si metteva in mezzo a noi nel lettone e cominciava. Il libro era sempre quello: le favole di Andersen. Prima di andarsene, ogni volta, ci diceva: “Adesso leggiamo la mia preferita: quel che fa il babbo, è sempre ben fatto”. E giù a ridere, mentre noi ci lamentavamo perché non la volevamo più sentire. Poi crescemmo, e quella fiaba divenne un proverbio famigliare usato tra di noi in momenti scherzosi, quando babbo ci voleva convincere a fare qualcosa di cui non eravamo troppo sicuri.
Divenne però una frase a sé stante, senza contesto. Nessuno si ricordava più quale fosse la storia.
Così, prima di vedere lo spettacolo del Credo Theatre, il titolo “Daddy’s always right” risvegliava in me solo vaghe discussioni con mio padre. E mi ci è voluto un po’ prima di riafferare nella memoria il tutto e capire che lo spettacolo parlava effettivamente della favola di Andersen.
La trama è semplice e lineare: una coppia di contadini vive felice in una casetta in campagna. Sono poveri, ma contenti di quello che hanno. L’unica cosa di valore che possiedono è un cavallo, e quando comincia a farsi vecchio, il marito decide che è ora di portarlo al mercato per venderlo. Lì lo scambierà prima con una mucca, che poi scambierà con una pecora, che poi scambierà con un tacchino, e via dicendo fino ad avere un sacco di mele marce. Un ricco ospite di un’osteria in cui si era rifugiato, venuto a conoscenza degli scambi dell’uomo, gli propone un patto. Scommette un baule d’oro che quando tornerà a casa, dopo aver visto il sacco di mele marce, la moglie lo concerà per le feste. Il contadino accetta, sostenendo che dalla moglie riceverà solo baci; e così sarà.
Lo spettacolo della compagnia bulgara si distingue per semplicità ed originalità. I costumi e le scenografie fatti di ovatta ci portano subito in un mondo nevoso e ironico, la Danimarca di Andersen, scelta come sfondo della vicenda. I costumi hanno tratti buffi e clowneschi, sono spoporzionati e ogni oggetto di scena è ripiegabile e “burattinabile”, come ad esempio tutti gli animali che compaiono in scena, sapientemente animati da entrambi gli attori.
In una conversazione post spettacolo, la regista e attrice Nina Dimitrova mi ha detto che tutto il materiale è stato costruito da lei e dall’ex marito, con il quale recitava originariamente lo spettacolo (ora sostituito da Dimitr Nestorov, giovane attore diplomato alla scuola in cui Irina insegna). La loro recitazione è fresca e generosa, il rapporto divertente e credibile nonostante la differenza d’età. Il reparto tecnico è essenziale ma efficace.
Non stupisce affatto che lo spettacolo sia ancora in giro dopo tredici anni. Età che non danneggia lo spettacolo, e ci fa invece prendere coscienza di quanto il tempo non invecchi uno spettacolo riuscito ma lo migliori. Il lavoro drammaturgico trasforma la favola (senza sopraffarla) in un gioco al quale il pubblico partecipa con slancio, energia e risate. Questi personaggi bianchi e ingenui, guerrieri che combattono le avversità a furia di sorrisi e di baci, hanno attirato l’empatia di tutti. Grandi e piccoli.
Finito lo spettacolo, ho finalmente fatto pace con “quel che fa il babbo è sempre ben fatto”, proverbio famigliare che ha ritrovato il suo contesto e anche, cosa ben più preziosa, una forte emozione.
CARLO SELLA
Thioro, alias cappuccetto rosso, non si perde nel bosco, ma nella savana.
Non da confidenza ad un lupo, ma ad una iena, Buky.
Una storia classica rivisitata non solo nell’ambientazione, ma anche nello stile e nel linguaggio.
La lingua italiana e senegalese si mischiano per dare vita ad un'unica parlata sostenuta dalla musicalità dei bonghi e della tromba che coinvolge lo spettatore gettandolo in questo pulsante viaggio. Adatto ai più grandi e ai più piccini, mai scontato. I bravissimi Adama Gueye, Fallou Diop, attori e musicisti, e Simone Marzocchi, compositore e trombettista, ci rapiscono tutti con versi di animali, vernice rossa, balli, risate e forti emozioni. Geniale l’idea di tenere il pubblico attorno creando una sorta di arena dove si riesce a cogliere sempre anche il più piccolo dettaglio e sentirsi parte dello spettacolo.
Il pubblico viene infatti trascinato anche fisicamente all’interno delle scene, alcuni piccoli spettatori diventano in prima persona Thioro persa, ferita e poi inseguita da Buky.
Davvero da non perdere.
VERONICA BASSANI
THIORO, UN CAPPUCCETTO SENEGALESE. TEATRO DELLE ALBE KER THEATRE MANDIAYE N'DIAYE ACCADEMIA PERDUTA .
Lo spettacolo che chiude la giornata di mercoledì 4 luglio, la terza di Colpi di Scena, è uno di quegli spettacoli in grado di riconciliarti con il teatro e con la vita.
Stiamo parlando di Thioro: il nuovo lavoro del Teatro delle Albe, la compagnia fondata nel 1983 a Ravenna da Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Luigi Dadina e Marcella Nonni.
Sono da poco passate le 19 quando una voce richiama l'attenzione degli oltre cento spettatori raccolti nel cortile dell' Ex Deposito ATR di Forlì. Guidati dalla tromba di Simone Marzocchi, novello pifferaio di Hamelin, veniamo fatti passare attraverso una porta che ci conduce in un altro ambiente. Questo breve ma significativo momento sancisce l'inizio di una rappresentazione teatrale intesa come festa, rito, evasione dal quotidiano. Un aspetto reso con ancor più evidenza dalla musica dei bonghi e dal canto allegro ed energico con cui i due attori senegalesi accolgono il pubblico, che viene disposto su tre file concentriche di secchi e sedie posti a delimitare lo spazio scenico.
Seppur segnalato nel programma del festival come spettacolo rivolto a spettatori dai 6 ai 10 anni, si evince subito guardando lo stupore e la meraviglia dipinti sui volti di tutti, che Thioro non ha età. La bellezza e la magia che si respirano nell'aria colpiscono gli adulti al pari dei bambini, trasportandoli per un'ora in un viaggio attraverso il Senegal. Per farci immergere il più possibile all'interno della narrazione, gli attori esordiscono sfondando la quarta parete: quando ci viene presentata la piccola protagonista, la descrizione che ne viene fatta è improvvisata in tempo reale guardando gli spettatori della prima fila e rubando loro dettagli, atteggiamenti, vezzi.
La reinvenzione in chiave africana di Cappuccetto Rosso prosegue a ritmo sostenuto, con Thioro (nome senegalese, di tradizione animista, che significa “amore mio”) che si avventura nella savana e si ferisce a un piede. Ancora una volta, gli attori pongono al centro della rappresentazione il pubblico: due bambini vengono chiamati a intingere un piede in una bacinella piena di liquido rosso e a lasciare una lunga scia di impronte di sangue. L'effetto è semplice ma suggestivo.
Quando entra in scena, al posto del consueto lupo, il personaggio di Buky la iena, è ormai chiaro per tutti che la popolare fiaba è solo un pretesto per raccontare un'Africa pulsante di suoni, voci e immagini. Ed è incantevole ascoltare l'andirivieni linguistico dall'italiano al senegalese. I due attori e musicisti, Fallou Diop e Adama Gueye, giocano di continuo con le (finte) incomprensioni comunicative col loro compagno di palco italiano, il sopracitato Simone Marzocchi. E ogni volta si ride.
Thioro è un progetto nato in Senegal, dall'incontro del Teatro delle Albe con Mandiaye Ndiaye, attore scomparso nel 2014. La compagnia ravennate ha iniziato verso la fine degli anni Ottanta ad acquisire al suo interno dei griots senegalesi: musicisti e attori reclutati sulle spiagge della riviera dove vivevano facendo gli ambulanti. Riconoscendo la chance culturale enorme di attuare una simile commistione tra drammaturgia, danza, musica e dialetti, Marco Martinelli ha dato vita a un “meticciato teatrale” afro-romagnolo che dopo trent'anni fornisce ancora ottimi frutti.
Che difficoltà scrivere una recensione! Scegliere uno spettacolo, riordinare le idee, avere strumenti per commentare, che vadano oltre il “ mi piace” o “ non mi piace”. Ho le scarpe troppo pulite per farlo, allora decido di fare un passo indietro.Tiro le somme di questi quattro giorni di festival. Metto ordine nella testa. Faccio la quadra.Sono una degli allievi del corso di alta formazione organizzato da Accademia Perduta, in collaborazione con Demetra Formazione, e abbiamo avuto la possibilità di guardare tutti gli spettacoli del festival “Colpi di scena”. Bello. Sono anche l’unica del mio corso ad essere ripetente, e ad aver già avuto questa occasione, due anni fa. Privilegio. Ma siccome la scorsa edizione l’ho vissuta da gravida vomitante, facciamo finta che questa è stata la mia prima volta alla vetrina romagnola. Ci sono compagnie che conosco, compagnie che rispetto e stimo, altre che non ho mai visto, altre ancora che non ho mai sentito. Ottimo. Sono pronta.
Inizio con “Raperonzolo”, di Sandro Mabellini, Accaemia Perduta/Romagna Teatri, spettacolo che attendevo con ansia, perché le due attrici sono amiche nonché ex compagne di viaggio nel corso di formazione precedente, e Sandro è stato uno dei docenti del corso di quest’anno. Lo spettacolo mi ha interessato, ho trovato loro molto brave, l’impianto scenico bello e convincente, luci e musiche adatte, ma qualcosa non mi funzionava. Ho avvertito la drammaturgia faticosa, incompleta, non fluida, inefficace. “I musicanti di Brema” di Teatro Perdavvero, non sono riuscita a vederlo, ma sentivo le risate belle del pubblico e questo mi sembra un buon risultato a prescindere. “ Giobbe, storia di un uomo semplice” di Roberto Anglisani mi ha trasportato in un bel viaggio, anche se la sua narrazione tranquilla, alle dieci di sera, dentro una stanza bollitore, non mi ha consentito un reale godimento della storia, ho fatto un po’ fatica e alcuni passaggi me li sono persi. Peccato!“Caro orco” di Compagnia Rodisio/ Cà Luogo d’Arte è stato bellissimo. Semplice, poetico, immediato, graffiante. Di questo spettacolo mi porto a casa il profumo e la volontà. “Peter Pan” di La Baracca/Testoni Ragazzi mi ha lasciato con la fame nello stomaco: ho aspettato per tutto il tempo che la scena si aprisse alla vera potenza del testo di J.M.Barrie, rimanendo invece fino alla fine sulla superficie dell’acqua. “La sirenetta” di Teatro Evento/Tomassini- Laviano mi è sembrato molto lento e poco adatto, e soprattutto mi ha lasciato con un grande interrogativo: perché non hanno usato quel bellissimo, immenso, gigantesco gong presente sulla scena?!?? Boh. Drammatico Vegetale con “Leo, uno sguardo bambino sul mondo” mi ha trasmesso una bella semplicità e pulizia, raccontando un personaggio immenso come Leonardo Da Vinci, con delicatezza e coinvolgimento.
“L’Orco” di Cà Luogo d’Arte è stato emozionante. Un manifesto poetico. Uno spettacolo che non si può guardare con gli stessi occhi con cui si guarda un qualsiasi altro spettacolo. Credo che bisognerebbe conoscere i quarant’anni di teatro che quest’artista ha vissuto, per capire fino in fondo. Ci vorrebbe il bignami prima di entrare in sala! Per me è stato importante e sono grata della bella condivisone.“Il gatto con gli stivali” di Claudio Casadio mi è sembrato efficace, mentre “Abu sotto il mare” di Pietro Piva è stato un regalo. Lui, che se lo è scritto, diretto e interpretato, ha saputo trovare la giusta temperatura di narrazione, il linguaggio è semplice, ma efficacissimo e gli oggetti, hand made, sono come delle frecce affilate che arrivano perfette nel posto e nel momento giusto. Mi ha portato nel suo viaggio. Ho riso molto. Ho pianto molto. A fine spettacolo il cuore era gonfio, la fame e la sete sparite. Ti apre la pancia, ma è, allo stesso tempo, uno spettacolo lenitivo.Esco dal teatro grata per quello che ho appena visto. Tutte le emozioni, le idee, i pensieri che Abu sotto il mare mi ha scatenato, vengono immediatamente stroncate dalla presentazione dell’Asina sull’isola, ma fortunatamente il morale torna altissimo dopo lo spettacolo di Teatro delle Albe/RavennaTeatro – Ker Theatre Mandiaye N’Diaye “Thioro, un cappuccetto rosso senegalese”. Wow! Potente, coinvolgente, semplicissimo, profondo! La forza di questo spettacolo non sta nella drammaturgia. Non sta nella regia. Non sta nella semplice bravura degli attori ( che sono comunque bravissimi!). La forza sta nei piedi, e negli occhi. Piedi di tre ragazzi, che battono il ritmo, e tengono il tempo, rimanendo sempre radicati a terra, ma aperti verso tutto: il cielo, il pubblico, la storia che va avanti. Occhi, sempre di questi tre ragazzi, che ci hanno guardati in faccia tutti. Uno per uno. Come a scambiarsi un segreto. Una parola d’ordine. Una comunione di intenti. In un’ora di spettacolo hanno generato un’incredibile bellezza. E abbiamo un gran bisogno di quella bellezza.
Il quarto giorno per me inizia con “Ricordi?” del Teatro dell’Argine, spettacolo che mescola il linguaggio circense con l’Alzheimer, producendo un discorso sottile, poetico e commovente; poi “Daddy’s always right!” di Credo Theatre che, diamine, se avessi capito qualche parola in più di inglese credo che mi sarei proprio divertita e, a seguire, “Come nelle favole” di La Piccionaia/Babilonia Teatri che, benché abbia sentito l’attore non efficace né convincente, mi è piaciuto tanto e mi ha colpito: pochi segni, chiari, decisi, mirati, una cornice perfetta per una narrazione pulita e diretta, senza mezzi termini. Un altro linguaggio che mi porto a casa. Per concludere “ Beata gioventù” di MTM_Manifatture Teatrali Milanesi, che mi è sembrato un po’ superficiale e “Inferno “ di Chiara Guidi. Che è Chiara Guidi. E quindi che cosa le vuoi dire?? Te la guardi e ringrazi!
Non sono riuscita a vederne altri, di spettacoli.Pazienza.Vorrei rivederli tutti. Ma non per guardare loro. Per guardare il pubblico. Per guardare i bambini e le loro facce. Guardarli sul serio, con più attenzione.Un festival non sul teatro per bambini e ragazzi, ma sulle reazioni di bambini e ragazzi. Chissà!Mi porto a casa tanto. Non solo suggestioni,immagini, incontri, ma soprattutto riflessioni.Bene.Oggi le mie scarpe sono un po’ più sporche. Grazie.
GIADA BORGATTI