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Eolo
recensioni
"Una citta' per gioco" a Vimercate
LE RECENSIONI DI MARIO BIANCHI E ELENA SCOLARI

Ottima edizione, dobbiamo onestamente dire, la venticinquesima, del FestivalUna città per gioco”, organizzata a Vimercate dalla Cooperativa Tangram, in collaborazione quest'anno con il Comune e soprattutto con le compagnie, scelte in una rosa di compagini che hanno deciso di pagare una quota, non indifferente, per essere presenti in uno dei Festival più rappresentativi e longevi del panorama italiano. Ottima edizione, si diceva, con la presenza di spettacoli di buona fattura e di almeno 5 di ottimo livello, rappresentati davanti a un folto numero di operatori e di pubblico di bambini che hanno riempito le due sale di spettacolo, Il Capitol e Lo Sbaraglio, per una edizione dedicata al compianto e meraviglioso amico di “ Una città per gioco”, Eugenio Canton, detto Baci, a cui ha anche reso omaggio la Compagnia di Roberto Corona con una sfilata di tre farfalle luminose di bellissimo incanto.

Interessanti, come si è detto, tutti gli spettacoli presenti, dalla riproposizione del significativo spettacolo “ Abbraccidel Teatro del Telaio, già da noi recensito in occasione di “Segni d'infanzia “, che ripete il successo di “ La storia di un bambino e di un pinguino” con la regia di Angelo Facchetti e interpretato dalla collaudata coppia formata da Michele Beltrami e Paola Cannizzaro che ha convinto in modo totale tutti gli operatori giunti da tutta Italia al Festival, all'ultima creazione di Beppe Rizzo di Oltreilponte Teatro che, continuando il suo personale discorso sulle fiabe popolari italiane, ha affrontato una storia poco nota e bizzarra di Gianfrancesco Straparola, datata 1550, “Il Principe Bestia”, realizzata con grandi pupazzi e musica dal vivo e anche la viva partecipazione dei bambini, che affronta il tema dell’essere sé stessi nonostante le apparenze.

Abbiamo poi visto (Non) Voglio andare a scuola che prosegue dopo “ Dentro gli spari” “ Ma che bella differenza” e “ Questa zebra non è un asino” il significativo percorso che Giorgio Scaramuzzino ha intrapreso per la costruzione di un teatro di servizio, dedicato alla condizione spesso indecorosa dell'infanzia, ponendo l'accento questa volta sulla scuola e sulla difficoltà per il suo accesso che penalizza milioni di bambini e ragazzi nel mondo. Per far questo, l'artista mette in raffronto intelligentemente storie drammatiche di ragazzi che affrontano ostacoli inenarrabili per andare a scuola con le esperienze dei coetanei italiani, i quali, in video, raccontano i mille motivi per cui loro, invece, sono stufi di andare a scuola.

Il Pandemonium Teatro di Bergamo sceglie invece con Principi e Principesse, Il sogno della bella addormentata, di presentare a Vimercate uno spettacolo che ha la sua importanza per essere, in un progetto di Albino Bignamini, regalato ad una nuova generazione di artisti dal drammaturgo Lucio Guarinoni, agli interpreti Giulia Costantini e Flavio Panteghini.


Due gli spettacoli visti di grande azzardo, tutti e due senza parole, ma che secondo noi dovrebbero essere meglio precisati nella loro essenza e ulteriormente sfoltiti per una maggiore comprensione e divertimento dei ragazzi “ Zitti zitti “ della compagnia sarda Teatro Actores Alidos e “Mirror” degli emiliani Centro Teatrale MaMiMò

"Zitti Zitti", della compagnia sarda Actores Alidos con la regia di Valeria Pilia, che è anche in scena con Manuela Sanna, Roberta Locci, Manuela Ragusa, senza parole, affidandosi all'espressività corporea delle bravissime 4 attrici, supportata da musiche adeguate per i toni beffardi della performance, e da bellissime maschere di forte espressività, propone un vero omaggio alla vita, affrontata nei suoi passaggi nodali: l’infanzia, la vecchiaia, la morte preannunciatrice di una nuova rinascita e nelle sue particolarità: il gioco, la paura, la sessualità, mentre un creatore muove i fili del tutto. E' una cifra grottesca che imbeve ogni cosa a donare allo spettacolo, paradossalmente, un'aura di divertente verità. Ci pare però che il gioco scenico sia lungo e ripetitivo e che troppe scene ne appesantiscano il tono, uscendo dal filo emozionale del discorso intrapreso. Una più incisiva e significante scelta delle scene da proporre, ci pare possa dare a “ Zitti zitti” una più giusta ed efficace resa spettacolare.

Mirror ispirato a “Mirror” di Suzy Lee, con in scena Elena Giachetti per la regia di Angela Ruozzi e Mario D’Avino e con l' animazione video affidata a Tommaso Ronda del Centro Teatrale MaMiMò, si muove nel medesimo solco di uno spettacolo senza parole, affidandosi al gesto danzato e alla tecnologia, per comporre una riflessione sul tema dell'identità.

Qui, al centro della scena, vi è un grande specchio dove Elena Giachetti si muove in rapporto con la sua immagine riflessa. Le due immagini, quella reale e quella riflessa, si muovono in un gioco continuo che rimanda alle diverse emozioni dell'essere umano: la sorpresa, la paura, il divertimento che portano l'interprete ed il pubblico a farsi continue domande: Chi sono io? Sono proprio io quella che vedo? Sono quell’immagine? Sono fatta in questo modo ? O lo specchio mente? Ad un certo punto, la protagonista entra direttamente, come Alice, nello specchio e interagisce con la sua immagine, con un gioco divertente di gesti e movimenti. Più che “ Zitti Zitti”, secondo noi, lo spettacolo si dilunga eccessivamente, ripetendo situazioni e stilemi e, soprattutto, perchè dedicato ai bambini piccoli, deve invece, a nostro parere, dimezzarsi nella durata, concentrando la drammaturgia delle varie emozioni in un tempo più consono alla fruizione libera e interessata del pubblico di riferimento.



Il Festival è gioiosamente terminato con la riproposta dello spettacolo dei padroni di casa della Tangram Teatro Il Fuochistacavallo di battaglia di Luigi Zanin che su drammaturgia della fida Miriam Alda Rovelli ha come protagonista Tonio, il fuochista, che abita nella sala caldaia di una nave a vapore dei primi del Novecento.



Ma ora soffermiamoci in modo particolare sui 4 spettacoli che abbiamo trovato in particolar modo più significativi visti al festival, con un quinto affidato all'approfondimento di Elena Scolari.


Giuseppe Di Bello della compagniaAnfiteatrodopo aver affrontato il tema del bullismo, affidandosi alla incisiva ed efficace interpretazione di Naya Dedemailan e Alice Pavan in “Family Story” decide di proporre con il teatro il tema attuale e delicatissimo della separazione familiare e lo fa in modo divertente e profondo nel medesimo tempo.La vicenda, per entrare direttamente nella problematica, mette al centro della storia una famiglia. Una famiglia come tante altre, che viene presentata e narrata dalle due componenti più piccole, le sorelle Sara e Simonetta.Nel fluire degli avvenimenti, tra azione e narrazione, assistiamo al primo incontro dei loro genitori, Mario e Matilde, al loro divertente matrimonio e al susseguente tran tran di ogni giorno, tra casa e lavoro.

E poi naturalmente nella storia ad un certo punto irrompono loro, Sara e Simonetta, che in prima persona ci presentano la loro nascita, le gelosie, i dispetti e la complicità che normalmente accadono tra due figlie di età differenti, i riti di ogni giorno della nanna e delle vacanze e poi l'arrivo della cagnolina Pupilla.Tutto sembra andare nel segno giusto, ma ad un certo punto, qualcosa si inceppa e Sara e Simonetta si accorgono che tra i loro genitori non è più come una volta. Litigano certo Mario e Matilde, “perchè l'amore non è bello se non è litigarello “, ma non sono i litigi di un tempo, ora a loro alle due sorelline, che osservano apparentemente da lontano, sembra tutto più serio. Cercano goffamente con la preparazione di una torta di porvi riparo, finchè, convocate da Mario e Matilde, saranno messe davanti alla triste novità: i loro genitori si separano. Così d'ora in poi il numero due farà parte integrante delle loro vite, dovranno avere due spazzolini da denti, due case, due letti, due armadi, due camere, due di tutto, anche se certi oggetti sono unici e bisogna reclamare il diritto di portarseli dietro, tipo la bambola o l'orsacchiotto.

La vita di Sara e Simonetta continua così tra una casa ed un 'altra e, poi, avendo saputo che quello che era successo a loro era accaduto anche ad altri compagni, le due sorelle si accorgono di non essere sole ad avere questa situazione e, a scuola, insieme ad altri coetanei, fondano addirittura un club “I grandi sono dei scemi” dove una volta alla settimana ci si incontra e ognuno dice quello che gli è successo, dando consigli per superare il distacco. E poi vi è pure un decalogo che spiega come comportarsi e dove primeggia l' Articolo 5: All'inizio, sembra tutto difficile. Tu pensi che nessuno pensi a te, e pensi che ti vogliano dare via perchè parlano di affidamento. Ma poi ti accorgi che tutt'e due pensano “solo” a te e che ognuno dei due ti vorrebbe affidato a sé. E comunque, se quando stai con papà ti manca la mamma e quando stai con la mamma ti manca il papà... E' normale! Ecco che alla fine, seppur con difficoltà, piano piano, tutto si aggiusta, perchè questa situazione fa parte della vita e come le altre è doveroso viverla serenamente, cercando di adattarsi alle nuove situazioni che essa, la vita, ci propone, sempre.“ Family Story”, tratteggiando in modo vivido e diretto un tema che sempre più interessa migliaia di bambini, vive nel perfetto rapporto teatrale tra testo e scrittura di scena, dove i bambini si possono perfettamente immergere per osservare da vicino tutti i meccanismi emozionali di una famiglia tipo e nel medesimo tempo anche, per chi ne fosse interessato, esorcizzare un dolore che il tempo saprà spegnere adeguatamente.


I Fratelli Caproni, cioè Andrea Ruberti e Alessandro Larocca, questa volta si dividono, (ma non preoccupatevi solo in scena, perchè la bella nuova creazione è concepita da tutti e due ) per raccontare ai bambini “ Il Viaggio di Giovannino" uno spettacolo tratto daLe avventure di Giovannino Perdigiorno" di Gianni Rodari. Le 15 filastrocche del grande “maestro” scritte nel 1973 consentono al bravissimo Andrea Ruberti di combattere contro il tempo ( da manuale la scena che apre lo spettacolo, un vero portento di tecnica e raffinatezza mimica che vede l'attore in lotta con l'incombente presenza sonora del tempo che passa ) nella ricerca di un paese perfetto.Per far questo attraversa luoghi fantastici rimanendo chiuso persino in un gelido frigorifero.

Non sono luoghi perfetti,quelli che Giovannino attraversa, ma nella loro imperfezione rappresentano il mondo in tutta la sua diversità e manchevolezza, ma, appunto per questo, il nostro protagonista ogni volta arricchisce la sua esperienza di cose nuove e irripetibili, imparando ciò che non si deve fare e ciò che si deve fare per non più sbagliare. E anche quando finalmente arriva nel paese dove tutto è perfetto, è assolutamente consapevole che è un mondo noioso dove si impara assai poco. A volte poi Giovannino si ferma e guarda il cielo pieno di stelle, sta incantato a guardarle, perchè è giusto muoversi per viaggiare, ma è anche giusto gustare il tempo assaporando la vita piano piano, non ingurgitarla in un boccone solo. Armato di un carrettino pieno di valigie Andrea Ruberti a suon di rime accompagna i bambini in paesi dove gli uomini sono fatti di fumo, zucchero, di sapone, di burro, di ghiaccio, di vetro, di carta o di tabacco, il pianeta di cioccolato, quello fatto di nuvole, quello malinconico e quello dove comanda il vento, quello dove... .E così Andrea Ruberti e Alessandro Larocca in questo modo compongono uno stralunato omaggio a Rodari tra narrazione e clownerie, proponendo in modo giocoso ai ragazzi un'immersione totale nella fantasia, dove il viaggio rappresenta una vera e propria  esperienza di vita nella quale l'incontro con chi è diverso da te è visto come apertura a identità, a razze e a culture diverse.


Simone Severgnini del gruppo erbeseIl Giardino delle OreinLeonardo, diverso da chi? affronta in modo diretto il tema dell'omosessualità, ma non solo questo, ponendo al centro della scena un comune adolescente dei nostri giorni che si chiama Leonardo, lo stesso nome del grande genio del Rinascimento. Come lui omosessuale, come lui insofferente alle regole, come lui sempre alla ricerca di nuove possibiltà in cui incanalare la sua prorompente vivacità, come lui è desideroso di volare e di non rimanere attaccato alle mere cose terrene che lo imbrigliano pesantemente.Leonardo ama la musica, ha una madre, Sonia, sempre presente, ma un po' svagata che naviga in modi lontani ed esoterici e, come tutti i Gay che si rispettano, un 'amica del cuore, Marta, che condivide, i suoi sogni e le sue paure e che combatte al suo fianco. Poi nella nuova città dove Leonardo è costretto a “migrare” c'è Franciulli, il bullo della scuola, che non ne vuole sapere di un compagno di scuola sensibile e sognatore che indossa delle belle scarpe rosse scintillanti, perchè i veri uomini indossano solo scarpe sportive, nere o marroni a volte blu. Franciulli è un ragazzo che crede di avere la verità in tasca, pieno come è, di sé, un leader che sa come farsi rispettare, che usa le parole come lame taglienti che feriscono chi non la pensa come lui e, come si sa, le parole feriscono come e forse più delle armi. Franciulli deride sempre Leonardo, non lo chiama Leonardo, bensì Monnalisa, il vero nome della Gioconda, il capolavoro del Da Vinci.

Ma Leonardo va avanti per la sua strada, seppur ferito, finchè un giorno non viene invitato da Giorgio, un ragazzo per cui prova grande simpatia, forse amore, ad una festa, ma sarà lì che dovrà subire tra l'indifferenza di tutti un altro,estremo, terribile affronto. Leonardo con la sua spiccata sensibilità rimane distrutto e, cadendo nella disperazione, tenta il suicidio. Ma piano piano si accorge che non deve avere paura di sé stesso, che la diversità non deve essere intesa come disuguaglianza imposta dai canoni di comportamento comuni, la diversità non è mancanza, bensì, se ben gestita consapevolmente, opportunità: essere diversi in un mondo siffatto, come il nostro, dove tutti sembrano, vogliono, essere uguali agli altri, nei modi e nei costumi imperanti, risulta un pregio non uno sfregio.E così d'ora in poi il soprannome di Monnalisa, per lui sarà dunque un complimento nobilissimo, perchè Monnalisa é un capolavoro assoluto, unico, diverso dagli altri, e quindi ammirato da tutti, tanto diverso che non si è ancora riusciti a svelarlo del tutto, misterioso e bellissimo.Simone Severgnini, aiutato da un mobilissimo marchingegno scenico che gli consente come Leonardo di inventare ambienti e spazi nuovi, interpretando di volta in volta Leonardo e Franciulli, propone nello spettacolo un viaggio commosso e commovente verso l'accettazione di sé e nello stesso tempo un omaggio alla diversità, come bene prezioso da conservare e proteggere.



Il Teatro Città Murata ovvero Marco Continanza, attore e Stefano Andreoli, regista con Mumble Teatro, ovvero Davide Marranchelli, attore, si sono incontrati per raccontare in “FiguriniStorie di uomini da incorniciare, il gioco del calcio, il gioco del calcio come epopea, come “ultima rappresentazione del nostro tempocome diceva Pasolini, compiuta da eroi conosciutissimi e strapagati ma, anche e soprattutto, da moltissimi altri, sconosciuti che hanno coltivato un mestiere, una passione che interessa, che strazia il cuore, che fa esultare milioni di persone in tutto il mondo. Nel contempo inFiguriniil calcio viene presentato come nobile gara tra due squadre che, in quanto nobile, non ammette rancori, odi, razzismi di ogni genere, che purtroppo ne hanno offuscato e ne offuscano l'immagine anche quando protagonisti sono ipulcinidelle squadre minori e i loro irascibili genitori.Per far questo i nostri due oscuri eroi dello spettacolo, Marco e Davide, prendendo spunto dalla formazione di una squadra modello, entrano di petto nella storia dello sport più popolare del mondo, per narrarne episodi sconosciuti, particolarità che ne hanno costruito la storia.

Ecco che dalla memoria emerge la storia di Ilunga Mwepa giocatore dello Zaire, che con la forza della disperazione, per non essere ucciso dal dittatore del suo paese, ruba il pallone perchè non venga calciato un rigore contro la sua squadra, o il piccolo, oscuro, numero 4 dell' Intimiano che, pur azzoppato, continua stoicamente a giocare, andando a ringraziare tutti gli avversari sino negli spogliatoi , e poi il nobiluomo Gaetano Scirea, il grande Mazzola che morirà sulla collina di Superga, episodio commovente che apre lo spettacolo, o Gigi Meroni che portò la sua follia poetica nel calcio. Ognuno porta la sua storia e la sua caratteristica. Ma si ride, anche, e parecchio, nello spettacolo, dove anche Marco e Davide, loro, o meglio, nostro malgrado, vogliono far parte della squadra, come pure un rappresentante del pubblico, il più informato riguardo alla storia del pallone..Alla fine lo spettacolo, dedicato anche a noi che di questo sport non capiamo quasi nulla, anzi che in qualche modo aborriamo, risulta, attraverso una narrazione appassionata e appassionante di storie di esistenze significative assai diverse tra loro, tra cabaret e teatro di formazione umana, un omaggio soprattutto alla passione per la vita e per le sue multiformi possibiltà.

MARIO BIANCHI


Del significativo spettacolo di Teatro in -FolioShakespeare the Great Rappersi occuperà Elena Scolari.

SHAKESPEARE THE GREAT RAPPER | TEATRO IN FOLIO

Testo di Michela Marelli e David Remondini Messa in scena Massimiliano Cividati Musiche originali composte dal maestro Massimo Betti Proiezioni video Antonio Giansanti Project manager Pietro Confalonieri
La potenza, la precisione e la musicalità della parola. La strepitosa capacità di descrivere i sentimenti, le sensazioni, i fatti, gli uomini, la Storia, il mondo, con le parole. Niente meno.

Questo sapeva fare Shakespeare e questo ci spiega Shakespeare the Great Rapper, lo spettacolo di Teatro In-folio visto allo Spazio Sbaraglio di Vimercate nell’ultima edizione del festival Una città per gioco.

Questo lavoro colpisce perché possiede molte qualità, e non tutte strettamente teatrali: un bravo attore, David Remondini, versatile e sicuro, un bravo musicista, Massimo Betti, che lo accompagna alla chitarra con sottolineature e coloriture sempre in giusto equilibrio con il compagno di scena, un testo ben scritto non solo dal punto di vista drammaturgico ma che rivela una limpida comprensione di Shakespeare e delle sue opere e riesce così a far emergere la forza unica e insuperata del più grande drammaturgo di tutti i tempi in modo semplice e adamantino. Il lavoro di Marelli, Cividati e Remondini è riuscito perché racconta la sfolgorante abilità poetica del bardo con una scrittura attenta, pulita, che senza sfoggio mostra proprio la cura che si sta descrivendo.

Saper usare le parole, maneggiarle, sceglierle, manipolarle per costruire un’atmosfera, per disegnare un personaggio, per rendere un ambiente o un carattere, per commuovere e per muovere i pensieri degli spettatori è ciò per cui le opere di Shakespeare sono arrivate fino a noi e ogni giorno ispirano, in tutto il mondo, nuove letture e nuove messe in scena.

Se l’ebreo Shylock del Mercante di Venezia sente il freddo come tutti, sente il solletico come tutti e viene ferito con le armi che feriscono tutti, così noi sentiamo la stessa rabbia, la stessa invidia, lo stesso amore e la stessa paura che sentivano gli uomini e le donne dell’epoca di William Shakespeare.

L’impianto dello spettacolo è essenziale: un leggìo, un telo nero a fondo palco sul quale scorrono i testi inglesi originali e poi tradotti, i brani delle opere scelte per un percorso che tocca Romeo and Juliet, Macbeth, Hamlet, As you like it, The tempest… e uno dei sonetti più noti, il numero 18 (Shall I compare thee to a summer’s day…)

David Remondini, di madre lingua inglese, spiega il pentametro giambico, l’alternanza di accenti forti e deboli, il blanke verse, recitando nell’inglese di Shakespeare, ben diverso dall’inglese di oggi, e fa così sentire il ritmo, il suono, la musica di una lingua teatrale che ha nelle sue sonorità il senso e il corpo di ciò che descrive. Ed ecco il perché del titolo The great rapper: gli odierni rapper e Shakespeare usano un ritmo e un metro linguistico assai simile.

Ascoltare in forma di canto le predizioni delle streghe di Macbeth fa percepire coi sensi e non solo con l’intelletto il sobbollire dei calderoni, cogliamo il suono del dubbio nel monologo To be or not to be. La sottile schermaglia al primo incontro tra Romeo e Giulietta è spiegata chiarendo benissimo il furbo rimpallo di battute tra i due, non ancora amanti, che si accarezzano con le parole, senza farlo davvero. Un godimento letterario che cresce man mano che si entra in questo universo sonoro e linguistico. E così prende sostanza il significato del patto che in teatro si stringe tra attori e spettatori, i quali accettano un inganno – dichiarato – perché in cambio ottengono una magnifica illusione.

Si apprendono poi informazioni utili e interessanti sul teatro elisabettiano, sul Globe Theatre di Londra, sulle abitudini del pubblico dell’epoca e su quanto fosse popolare il teatro nel 1600.

La scelta delle opere di cui parlare, pensando di rivolgersi principalmente ad un pubblico di adolescenti, è volutamente sbilanciata sui temi amorosi, ma nelle opere di W.S. c’è anche molta oscurità, molto dolore, e l’intera gamma dei sentimenti umani, fino ai più sordidi. Siamo convinti che anche gli argomenti meno nobili dell’amore sarebbero altrettanto appassionanti e che la bravura di Remondini ci farebbe sentire il clangore degli scudi in battaglia, il rumore della vendetta e il sibilo della gelosia.

ELENA SCOLARI






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