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Eolo
recensioni
SEGNALI 2012
LE RECENSIONI DI MARIO BIANCHI ED ELENA MAESTRI

Eravamo usciti molto soddisfatti dall'edizione di quest'anno del Giocateatro di Torino avendo assistito a diverse produzioni di grande qualità. Non altrettanto possiamo dire dopo aver visto tutti gli spettacoli che hanno composto, il 10 e l'11 Maggio, la ventitreesima edizione del Festival Segnali che Elsinor e Teatro del Buratto hanno coraggiosamente proposto tra Milano e Cormano, a loro spese, riuscendo così a non far morire una manifestazione che tanto ha dato e speriamo darà al teatro ragazzi italiano. Infatti nessuna delle nuove creazioni che abbiamo visto ci ha interamente convinto, pur avendo riscontrato in alcune di queste alcune positività o piuttosto la continuazione coerente di progetti già in corso che in qualche modo portano avanti un percorso segnato virtuosamente.

Tra queste “L'acqua invisibile” dove Carlo Presotto per esempio, dopo “La danza delle api”, spettacolo che indagava in modo intelligente e proficuo il rapporto tra ciò che mangiamo ogni giorno e la qualità dell'ambiente in cui viviamo, continua, con in scena un'efficace Giorgia Antonelli, il suo percorso didattico- scientifico, dissertando tra il serio e il faceto sull'acqua e la sua importanza attraverso racconti (la storia australiana della rana egoista , quella somala di Xiltir e Gul, quella contemporanea del pastore con i jeans) inserendoli tra comici documentari scientifici e pubblicità' che interagiscono, come è nello stile dell'artista vicentino, con immagini video dal vivo. Spettacolo come si dice di nobile servizio, ma auspicheremmo un ritorno di Presotto a spettacoli dove la drammaturgia dei sentimenti avesse il sopravvento.
Su altri binari gli Eccentrici Dadarò in “Anselmo e Greta” continuano la loro indagine sulla famiglia imbastendo una specie di postilla ai loro due precedenti spettacoli “Sulla Strada” e “Lasciateci perdere” dove in scena, attraverso la regia di Fabrizio Visconti e la divertente partecipata interpretazione di Rossella Rapisarda e Valerio Bongiorno, una mamma e un papà che una mattina si svegliano soli, abbandonati da tutto, non ricordando più nemmeno i nomi dei loro figli!.
Si nota che lo spettacolo è ancora incompiuto e che punta in alto attraverso una drammaturgia che nella prima parte si incarta un po'su se stessa, sviluppando solo nella seconda invece sentieri emozionali importanti, anche se eccessivamente concettuali, che avrebbero bisogno di sviluppi più incisivi e meditati. Ma lo spettacolo risulta intrigante cercando di farsi domande su temi diversificati e importanti come il difficile mestiere di genitore e sulla perdita dell'innocenza.
Anche Michele Eynard con “Pam Parole e Matita” con in scena Barbara Menegardo e Federica Molteni prosegue, giocando con le parole, il suo percorso per un teatro visivo composto dal vivo con un chiaro omaggio a Rodari e Munari. Le due improbabili protagoniste vengono proiettate in un mondo “altro” dove le lettere sono mosse da una mano invisibile che le coinvolge in divertenti storie surreali . Il risultato secondo noi sia dal punto di vista drammaturgico sia di costruzione delle immagini ci sembra assai meno raffinato rispetto ai precedenti deliziosi lavori costruiti con il medesimo meccanismo.

Il mago delle bolle Michele Cafaggi in “L'omino della pioggia” invece tenta meritoriamente di trasportare in una storia compiuta i suoi portentosi giochi magici con l'acqua e il sapone, ambientandoli in una storia dai contorni precisi in cui protagonista è un uomo che rientra in casa durante un furioso temporale. A nostro avviso il gioco drammaturgico è purtroppo solo accennato e molti degli spunti narrativi rimangono incompiuti davanti all'innegabile forza visiva dei giochi virtuosistici dell'interprete. Resta comunque il bel gioco delle piccole cose che, con l'utilizzo di acqua e sapone, acquistano una magia che incanta il piccolo pubblico.
Il teatro del Buratto invece ha presentato uno spettacolo già da tempo rodato “Seme di mela “, testo e messa in scena Aurelia Pini con Patrizia Battaglia, Marzia Alati dove gli oggetti di Marco Muzzolon, attraverso il gioco a nostro modo di vedere troppo convenzionale delle attrici, permettono ai bambini, seduti in cerchio intorno a loro,di compiere un viaggio nel mondo segreto del “sotto la terra”, dove hanno casa animali piccoli e grandi.
Difficile infine parlare, data la complessità e la contraddittorietà dei registri utilizzata,di uno spettacolo come “il Corsaro Nero” di Elsinor che mette in scena con un forse, solo apparente, sforzo di mezzi ( 4 attori ed effetti speciali) la celebre storia resa famosa da Salgari dell' infelice vendetta di Emilio di Roccanera, signore di Valpenta e di Ventimiglia, detto Il Corsaro nero che si innamora suo malgrado della figlia del duca fiammingo WanGuld, uccisore dei due suoi fratelli minori, il Corsaro Verde e il Corsaro Rosso. La regia di Raffaella Boscolo che coraggiosamente e con merito interpreta anche la parte del Corsaro è di stampo tradizionale( sembra uno sceneggiato televisivo degli anni 50) ma infonde anche allo spettacolo un' interessante aurea, in un certo modo epica.
Purtroppo spesso però tutto è sopra le righe, ridondante, con un linguaggio improbabile con modi che sortiscono inevitabili momenti di comicità involontaria con il risultato che alla fine tutto il contesto ci appare poco credibile.
Infine con piacere dobbiamo segnalare la vittoria del testo di Marco Renzi “E' arrivato un gommone carico di Europei” all'interno del Progetto Platform 11, appuntamento dedicato alla drammaturgia contemporanea per ragazzi fra gli 11 e i 15 anni. L'ultima sera del Festival è stata poi dedicata alla lettura di brevi scene tratte da testi di autori italiani che hanno partecipato al concorso ‘Schoolyard Stories , e dal resto d’Europa e Sud America. E in questo ambito è stato rappresentato VAT TEATER (Estonia) SZINHAZ KOLIBRI (Ungheria) HELP! di AareToikka (Estonia) e Peter Horvath (Ungheria) .
MARIO BIANCHI


La vetrina Segnali 2012, che per il secondo anno subisce i contraccolpi della crisi economica e si è quindi concentrata in due sole giornate mostra un livello di stanchezza preoccupante nelle produzioni teatrali lombarde, colpisce infatti che gli spettacoli più belli siano stati quelli di due compagnie ospiti “straniere”: “Secondo Pinocchio” di Burambò dalla Puglia (vincitrice del Premio Eolo Award 2012 per il Teatro di figura) e Voglio la luna di Teatro Pirata dalle Marche.
Il primo è un esempio brillante di come il teatro di figura possa essere un mezzo adatto all’ironia, al distacco divertito nel raccontare una storia celebre. La scena è occupata da una baracca nera dove i due animatori, Daria Paoletta e Raffaele Scarimboli, danno vita al burattino di legno rendendo da subito dichiarato il gioco di finzione che caratterizza il lavoro: la vicenda è “rappresentata” e tutti ne sono coscienti, anche Pinocchio, che intrattiene un rapporto pieno di spirito e di piacevole disincanto con i due “umani” che lo muovono. Un bel modo di suggerire la complessità del legame tra bambini e adulti, che li devono sì accompagnare e sostenere ma lasciare che si formino nella loro autonomia.
C’è una scelta di alcuni tra i tanti episodi del testo di Collodi, tale scelta rende forse un po’ meno fluida del solito la narrazione, ma si guadagna in freschezza e in spontaneità, sia tra gli interpreti sia nella relazione con il pubblico, i bambini partecipano divertendosi e si lasciano volentieri prendere in giro da un Pinocchio un po’ guappo, che ci ricorda Pulcinella per il suo umorismo e la sua simpatica cialtroneria. Abbiamo apprezzato in particolar modo l’idea di rendere anche gli episodi cupi della fiaba con un tono leggero e scanzonato, senza insistere sul peso della morale.
Allo stesso modo Voglio la luna di Teatro Pirata (finalista al Premio Scenario Infanzia 2010), interpretato dal bravo Fabio Spadoni, attore affetto dalla sindrome di down, è uno spettacolo che non indulge mai ai sentimentalismi e mostra come si possa lavorare con i disabili senza l’obbligo di premere sulla commozione, senza far leva sul pietismo. Fabio è estremamente disinvolto in scena, ci fa ridere, si diverte, racconta una storia poetica non lacrimevole. La regia di Simone Guerra e Lucia Palozzi dosa con attenzione la presenza del protagonista sul palco e gli elementi narrativi che formano la struttura, semplice, dello spettacolo. La voce fuori campo della mamma di Fabio costruisce il contesto della casa dove il ragazzo si muove, tra cassettoni da riordinare e calzini da piegare, finché una visita fantastica rischiara la sua vita ordinaria: una notte la luna lo viene a trovare! La luna però non rimarrà nella sua stanza e lo spettacolo racconta di come Fabio riuscirà, con l’astuzia, a catturarla. I fatti gli faranno capire il suo errore, vissuto però con allegria e levità.

Abbiamo poi visto con curiosità due Shakespeare: Romeo e Giulietta di Cooperativa Attivamente e Amleto di Quelli di Grock. Ci piace vedere quanto l’autore teatrale per eccellenza eserciti ancora un fascino irresisitibile, sarebbe confortante sapere che non viene scelto solo perché si va sul sicuro con le scuole ma anche perché si ha un’idea forte per rappresentarlo in una nuova versione. I due casi visti a Segnali hanno carattestiche molto differenti, li accomuna soltanto la giovane età degli interpreti e il pubblico di riferimento, gli adolescenti. Amleto è un testo monumentale, Amleto è IL testo, in Amleto c’è tutto: l’amore, la vendetta, la violenza, il tradimento, la follia, l’astuzia, la meschinità, la guerra, la politica, il dubbio, la disperazione, il sospetto, la fedeltà, l’amicizia, la rabbia, la morte. Una gamma così vasta di sentimenti e situazioni abbisogna di mille sfumature, tanti gradi di interpretazione. Lo spettacolo di Quelli di Grock, con sei allievi appena diplomatisi presso l’omonima scuola, purtroppo ne è quasi privo.
Gli attori sono promettenti, due uomini e quattro donne (Francesco Alberici, Francesca Dipilato, Andrea Lietti, Sabrina Marforio, Sarah Paoletti, Isabella Perego) con indubbie qualità, che sono però stati diretti a nostro modo di vedere in modo non del tutto consono all'impresa : la regia a quattro mani di Susanna Baccari e Claudio Orlandini li fa correre correre correre ininterrottamente per le due ore e mezza di durata, corrono per entrare in scena, corrono per spostarsi sul palco, corrono per andare in quinta. Perché? Perché sono giovani? Non ci pare possa essere questo il motivo. Ci è dispiaciuto vedere un lavoro serio sul testo, senz’altro approfondito, troppo gridato.
È in questo che manca la varietà di toni, tutto è tirato al massimo, con il risultato di appiattire una vicenda complessa e articolata su un unico registro. I sei attori hanno una buona capacità di stare in scena, il palco quasi vuoto è un buon modo di concentrare l’attenzione sulla parola e sui contenuti, due soli trabattelli metallici assolvono varie funzioni e ci piace questa scelta minimalista, ma la scena non è vuota per riempirla di atletica. Amleto stesso, nella tragedia, suggerisce alla compagnia di attori, di “non affettare troppo l’aria con le braccia, non volere essere più orco dell’orco”… Ogni attore recita più personaggi, Amleto è sdoppiato ed interpretato dai due uomini, tutti passano attraverso vari ruoli, ma per rendere intelligibile questa scelta anche il modo di “essere” un personaggio deve cambiare, altrimenti si rischia di “non essere” nessuno. Basterebbe lavorare in levare, togliere un po’ di esagitazione e questo Amleto diventerebbe davvero un principe.
Romeo e Giulietta del gruppo comasco Attivamente/Torre rotonda gode di una regia interessante, Stefano Andreoli di Teatro Città Murata sceglie di semplificare la vicenda dei due giovani amanti, riduce il testo lasciando però intatti alcuni versi di Shakespeare. C’è una buona armonia tra i tre attori Stefano Dragone, Elisa Carnelli e Davide Marranchelli, a quest’ultimo, una bella conferma di bravura, è affidato il ruolo di “coordinatore”, il trait d’union tra i due innamorati che li guida all’interno della storia. Il colore scelto per questo dramma è brillante, molte situazioni sono comiche, c’è però un problema quando si vuole far emergere il sentimento drammatico di questa tragica storia d’amore, gli attori non sono più a loro agio quando devono trasmettere quello che le parole del bardo significano, non c’è equilibrio tra l’effervescente spontaneità, sincera, e la disperazione che dovrebbe franare sui due amanti, che risulta invece fasulla.
Lo spettacolo si apre con l’autopresentazione dei tre come guitti, così dovrebbe anche chiudersi, suggeriamo quindi di amalgamare meglio l’immediatezza di questa versione di Romeo e Giulietta con il senso, profondo, della tragedia di Shakespeare.
ELENA MAESTRI




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