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Eolo
recensioni
SEGNI D'INFANZIA
LE RECENSIONI DI MARIO BIANCHI

Dal 10 al 13 novembre si è svolto a Mantova “Segni d'infanzia “, festival internazionale d'arte e teatro per l'infanzia, giunto quest'anno alla sesta edizione. La manifestazione è stata organizzata dall'Associazione artistica e culturale Segni d'infanzia, promosso dal Comune di Mantova e sostenuto da Rappresentanza della Commissione Europea, Regione Lombardia, Provincia di Mantova, Palazzo Ducale, Camera di Commercio di Mantova, Fondazione Banca Agricola Mantovana, Fondazione Comunità Mantovana Onlus, Ambasciata di Norvegia e Parco del Mincio, oltre che da numerosi sponsor privati.

La crisi, con il conseguente taglio dei contributi, ha fatto sì che gli spettacoli e gli eventi non siano stati spalmati nei tradizionali otto giorni di programmazione ma in quattro , conservando però la peculiarità di mostrare agli spettatori e agli operatori alcune tra le più innovative e originali proposte del panorama artistico nel campo dell'infanzia. L'inizio del Festival è stato contrassegnato da un omaggio all'Italia e ai suoi centocinquant' anni che ha colorato la centralissima Loggia del Grano di bianco, rosso e verde con bambini e genitori che in coro cantavano” Fratelli d'Italia “.
Facendo di necessità virtù, Cristina Cazzola, direttrice del Festival, quest'anno non ha più concentrato solo il suo maggiore interesse sulle compagnie internazionali di teatro per l'infanzia(ci sono stati comunque diversi incontri di presentazione di progetti europei) ma ha intelligentemente privilegiato soprattutto la presenza di giovani compagnie italiane come Rodisio, Teatro del Piccione e Teatro Distinto che sotto l'egida di Assitej Italia si sono potute misurare con i programmatori stranieri giunti come sempre curiosi all'appuntamento autunnale di Segni d'infanzia.
Come ogni hanno è stato un animale l'icona simbolo del Festival, dopo la Farfalla, è stata la volta del Riccio che ha invaso Mantova, scelto forse per i suoi aculei capaci di difenderlo dagli attacchi ma capaci anche di permettergli di attaccare, simbolo dunque appropriato di una cultura che in questi momenti particolarmente difficili ha bisogno di essere difesa e di pungolare.
Come si è detto il cartellone è stato dominato da compagnie italiane. La compagnia genovese del Teatro del Piccione ha avuto la curiosa possibilità di presentare due suoi spettacoli 'A pancia in su ' e 'Rosaspina ' che ben rappresentano gli ultimi dieci anni di un percorso artistico coerente e virtuoso. Di Rodisio abbiamo invece potuto gustare forse la sua produzione più anomala “L'inverno” già apprezzata a “Zona Franca “ dove la danza fa da corollario ad un analisi emozionale dei sentimenti.
A Mantova siamo riusciti a vedere anche nella sua edizione definitiva 'Compagni di banco ' di Teatrodistinto. Lo spettacolo conferma lo stile e la poetica della compagnia alessandrina, basati su un teatro minimalista che privilegia l'immagine alla parola, cercando di suggerire atmosfere piuttosto che proporre una narrazione di fatti. In “ Compagni di banco” due uomini si incontrano per caso in una via qualsiasi di una città qualunque e quasi immediato scatta il ricordo, la frequentazione assidua di un anno scolastico di parecchi anni prima, interrotta ai primi freddi dell'inverno dalla partenza di uno dei due.
Una musica briosa sottolinea gli avvenimenti quotidiani, la vita scolastica fatta di esercizi, di bisticci, di rapporti difficili con gli insegnanti, di condivisione di paure e di aspettative, avendo come complice muta una finestra che registra il passaggio del tempo.
Rare le parole, la scena è contrassegnata da pochi elementi tra i quali troneggia un banco, vero protagonista dello spettacolo, utilizzato come quaderno, come elemento di condivisione e di divisione, come possibilità di creazione di personaggi della memoria.
Precedentemente avevamo notato come mancasse tra i due protagonisti un vero momento di condivisione della memoria, qui una foglia, in modo poetico ed immediato, supplisce egregiamente a quella mancanza e riempie così di emozione lo spettacolo, dandogli una luce poetica finalmente totalmente convincente.

Non potevano mancare all'appuntamento con i festival mantovano i padroni di casa del Teatro All'improvviso. Dario Moretti con la collaborazione della bravissima danzatrice Stefania Rossetti ha infatti presentato il suo ultimo lavoro “La natura dell'orso” . Utilizzando la consueta tecnica del rapporto diretto tra scena e video con l'elaborazione in diretta della sua arte pittorica, Moretti propone una sequenza di immagini e pensieri sulla natura. L'orso-Moretti accenna un racconto, innaffia, raccoglie, traccia dei segni che esprimono i suoi sentimenti, dalla quieta contemplazione della natura alla rabbia che spesso si impossessa di lui, ma poi c'è Saya, è lei che autobiograficamente riesce a rabbonirlo e a scoprirne la vera docile natura. E tutto ciò si concretizza nei movimenti della danzatrice. Dario Moretti per il Festival ha anche curato una curiosa “Camera delle meraviglie” dove oggetti strani, ma comuni, riacquistano attraverso la narrazione dell'archeologa Elisa Carnelli un'aura misteriosa e favolosa veramente intrigante.
Non sono mancate ovviamente spettacoli provenienti dai Paesi europei più all'avanguardia nel settore, come La brouille del francese Théâtre des TaRaBaTeS mentre il jazzista norvegese Terje Isungset in “La musica dei sogni”, sulle suggestioni create dalle parole di Roald Dahl sui sogni dell'infanzia, proposte da Cristina Cazzola, riempie di suoni meravigliosi, aiutato dai bambini il Teatro Bibiena .
I sogni, uno dei leit motiv del festival, sono anche i protagonisti quest'anno dell' immaginifico percorso creativo 'Guardare i sogni ' di Lucio Diana che reinventa sotto nuova luce molti dei suoi bellissimi materiali utilizzati durante la sua vita d'artista, aiutato dalla figlia Eleonora e dalla moglie Adriana Zamboni. Tra le altre proposte dedicate alle diverse arti, molto intrigante ci è parsa quella della fotografa catalana Cristina Nuñez che attraverso cinque fotografie, direttamente scattate dagli “spettatori “, li guida ad indagare la loro immagine “in modo non stereotipato per imparare a conoscersi, lavorando sulla loro identità e sulle loro emozioni “ MARIO BIANCHI




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