eolo | rivista online di teatro ragazzi
recensioni
"TERRES COMMUNES" A TORINO
LE RECENSIONI DI MARIO BIANCHI,ELENA MAESTRI E EUGENIA PRALORAN

L'unico possibile rimedio, come per altro è già stato sottolineato molte volte, contro la profonda crisi che stiamo attraversando, è anche in campo teatrale la possibilità di condivisione delle risorse e delle opportunità. Il teatro ragazzi italiano ovviamente è stato uno dei primi a comprenderlo con sinergie tra compagnie per nuove creazioni e festival e il rilancio di iniziative attraverso la collaborazione tra enti e metodologie assai differenti tra loro. Per cui abbiamo seguito con profondo interesse il progetto Terre Comuni/Terres Communes che in Italia ha avuto come sua attuazione il calendario di spettacoli e di incontri che si sono tenuti dal 1° al 9 aprile 2014, alla Casa del Teatro Ragazzi di Torino - sede della Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani onlus - e nella Città di Pinerolo.
"Terres Communes" a Torino che quest'anno con felice intuizione di Graziano Melano ha sostituito il tradizionale “Giocateatro” è stata un’importante vetrina per le nuove generazioni di spettacoli realizzati da compagnie della regione Piemonte e della regione Provenza Alpi Costa Azzurra, dove sono state presentate le quattro produzioni del progetto; ma le giornate sono state anche un’occasione per operatori e organizzatori francesi e italiani di confrontarsi sulle nuove tendenze e ricerche delle arti sceniche. Vi è stata anche l'opportunità di ospitare tre compagnie in residenza di creazione, di mediazione e/o di traduzione: Sarabanda di Genova con “ Piccole modifiche”, spettacolo composito di cui per la verità non siamo riusciti a capire la natura e l'utilità ,Clandestine di Manosque con “Carta memoria” e Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani Onlus di Torino con il nuovo spettacolo di Alessandro Pisci e Pasquale Buonarota per il ciclo “Favole Filosofiche”, dei quali parlerà Elena Maestri.
Il progetto Terres Communes ha visto connettersi la Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani Onlus di Torino, il Théâtre de Grasse, il Théâtre Durance a Château-Arnoux e il Théâtre du Briançonnais.
Per l'occasione è stato creato sui social media uno spazio comune interattivo per vivere in tempo reale le reazioni e le esperienze di ciascuno sugli spettacoli, laboratori e incontri con gli artisti; mentre il sito internet del progetto www.terrecomuni.eu informerà il pubblico su tutti gli eventi programmati portandolo in un viaggio virtuale attraverso i territori della regione Piemonte e la regione Provenza Alpi Costa Azzurra.
Come si vede un progetto importante che ha unito 2 regioni transfrontaliere 4 nuove produzioni 6 città oltre 100 giorni di creazione artistica / allestimento a cui si aggiungeranno numerosi laboratori per le scuole oltre 50 repliche, 1 corso di formazione per animatori italiani e francesi, 1 festival, 1 tavola rotonda, 1 sito internet e 1 pagina facebook.

Eolo ha seguito i tre giorni della tappa torinese dedicato agli operatori evidenziandone le grandi potenzialità produttive e di sinergia che hanno portato a Torino moltissimi operatori del settore non solo italiani a vedere gli spettacoli e che si è espressa anche nell'attenzione della politica i cui rappresentanti hanno introdotto la serata centrale dell'evento sottolineandone le valenze culturali e produttive, antidoto fondamentale contro le difficoltà della crisi che stiamo vivendo.

Per quanto riguarda la qualità degli spettacoli a cui abbiamo assistito e di cui parleremo dobbiamo dire che sono state poche le occasioni di totale felicità e curiosità appagate nella loro visione del resto in perfetta linea con la situazione generale di tutto il teatro non solo italiano che ci concede raramente di uscire completamente soddisfatti dal teatro

Tra le delusioni assolute non possiamo sottacere con evidenza e rimpianto l'occasione persa da Assemblea Teatro di rendere con giusta e poetica adesione un sentito omaggio al " piccolo grande" Renato Rascel e alle sue deliziose, e poco note, canzoncine dedicate all'infanzia. “Dove vanno i palloncini “ di Assemblea teatro infatti invece di volare in leggerezza sulle ali del personaggio e delle sue canzoni, utilizzandone tutte le suggestioni, riempie il palcoscenico di situazioni improbabili, facendo muovere personaggi bamboleggianti con intonazioni spesso inadeguate e animali impagliati in un contesto assolutamente privo di ironia e francamente imbarazzante. Ciò spiace maggiormente dati i buoni risultati che la compagnia ha invece conseguito nel teatro di intonazione sociale.



IL GIRO DEL MONDO IN 80 GIORNI
Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani onlus
Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Jules Verne


Dopo aver visitato l'anno scorso i famosi viaggi realmente compiti da Marco Polo, Luigina Dagostino mette in scena quelli, solo immaginati, di Jules Verne per imbastire una edizione fracassona e gioiosamente ridondante del capolavoro dello scrittore francese “Il giro del mondo in 80 giorni”, affidandolo soprattutto alla grande vitalità di tre giovani e bravi attori : Claudio Dughera, Daniel Lascar, Claudia Martore che in un'ora di spettacolo entrano ed escono con buona dose d'ironia da mondi assolutamente diversi tra loro
Il romanzo di Jules Verne, pubblicato per la prima volta nel 1873, pone infatti al centro della sua storia i viaggi intorno al mondo compiuti dal ricco e metodico londinese Phileas Fogg e dal suo cameriere francese,  il fidato e, diventato ormai icona leggendaria, Passepartout, che vogliono circumnavigare il mondo in 80 giorni, per vincere una scommessa di 20.000 sterline
E così per vincere la scommessa, i nostri due, diventati poi tre, perchè a loro si aggiunge Fix un detective di Scotland Yard alla ricerca di un fantomatico ladro, partiti da Londra in treno e via via utilizzando per spostarsi anche il piroscafo, la goletta, la slitta perfino un elefante e attraversando Torino. Parigi, Suez, Bombay, Calcutta, Hong Kong, Yokohama, San Francisco, Dublino,Liverpool ma non solo, sono di ritorno a Londra 81 giorni dopo.
Impresa fallita, dunque, ma i nostri eroi scopriranno con gioia che viaggiando verso est si può guadagnare un giorno e per di più durante il viaggio il compassato Mr Fogg troverà perfino una moglie indiana.
“Il giro del mondo in ottanta giorni” è uno dei capolavori letterari più visitati del teatro ragazzi, forse perchè le avventure che lo contengono spaziano attraverso mondi diversi e lontani, divertendo il giovane pubblico e trasportandolo in paesi sconosciuti, potendo anche spruzzare lo spettacolo per la gioia degli insegnanti. di conoscenze geografiche e scientifiche. Ma lo spettacolo in questione vuole soprattutto divertire e meravigliare, con frequenti cambi di scena e di abito, in cui un semplice trabattello si trasforma in mezzi di locomozione sempre diversi che irrompono in paesi lontani, ognuno dei quali viene caratterizzato con le forme e l'immaginario per cui è universalmente riconosciuto. . Ci vorrebbe forse un po di più raffinatezza e di cura dei particolari ma il divertimento per le famiglie è assicurato.




ROMPERE LE SCATOLE/ONDA TEATRO
MARAMEO/ FONDAZIONE TEATRO RAGAZZI E GIOVANI


Due gli spettacoli di Danza dedicati ai bambini, presentati durante "Terres Communes ", “Rompere le scatole “ di Onda Teatro e “Marameo, Sogni a colori” della Fondazione Teatro ragazzi e giovani.
“Rompere le scatole” di Francesca Guglielmino e Bobo Nigrone con Francesca Guglielmino e Giulia Rabozzi e la regia di Bobo Nigrone con l' animazione video Francesca Quatraro e i
Movimenti coreografici Emanuele Sciannamea continua la ricerca di Onda teatro rispetto al rapporto tra gesto ed emozione. Due attrici danzatrici in scena utilizzano scatole di cartone in continua trasformazione  tra loro, componendole e scomponendole  creando così immagini che rimandano al mondo dei bambini, ai loro giocattoli, al loro modo di divertirsi.
Così in maniera semplice e in qualche modo  didascalica la danza diventa veicolo per esprimere anche sentimenti come l' amicizia,l' invidia e il rancore in cui i bambini possono riconoscersi.
In” Marameo”, nato da un'idea di Paola Chiama e Simona Balma Mion con la coreografia e danza di Paola Chiama Disegni e video-animazione Simona Balma Mion,Effetti video interattivi Massimo Giovara Musiche originali Marco Amistadi, invece è una danzatrice a condurre il gioco, attraverso la luce di uno schermo televisivo che diventa un vero e proprio foglio bianco dentro al quale la performer reinventa mondi non solo con la danza ma anche disegnandovi sopra.
In questo modo l'interazione dal vivo tra proiezione e movimento crea un gioco di immagini divertenti e coinvolgenti. A nostro avviso lo spettacolo dovrebbe essere però più conciso e meno dispersivo, scegliendo  linee “narrative” più precise e raggruppate per senso.
MARIO BIANCHI


CARTA MEMORIA – La compagnie Clandestine

Carta memoria si apre con l’attrice Ester Bichucher che ci spiega di essere metà brasiliana e metà francese. Si dà così l’avvio ad un racconto frammentato sulla storia della sua famiglia, sui trasferimenti dei suoi parenti, a volte dovuti anche ad avvenimenti violenti come la guerra mondiale, oppure piccoli fatti e ricordi di vita dall’infanzia all’età adulta, narrati con l’utilizzo di begli oggetti di carta, estratti da una parete-tabellone di legno, composta da tanti armadietti, ognuno contiene qualcosa che si riferisce al tassello di storia che verrà raccontato: lettere tra i componenti della famiglia, modellini pop-up che diventano ricostruzioni di cortili, pesci o uccellini che hanno fatto compagnia alla Ester bambina, ecc.
C’è poesia, c’è delicatezza nel racconto, c’è la bella qualità degli oggetti costruiti. Cosa manca? Un filo drammaturgico più forte e un po’ più di energia nella recitazione, secondo noi. Se il cuore dello spettacolo è la famiglia ci sembra che avrebbe potuto essere esplicitamente l’argomento centrale, che invece tende a disperdersi nella vasta quantità di episodi che formano il corpus narrativo di “Carta memoria “.
Gli oggetti tratti dalla scenografia come da una grande bacheca vengono poi rimessi nei cassetti alla fine di ogni micro-racconto, ci sarebbe piaciuto invece (sappiamo che è un brutto vizio sostituirsi agli artisti, ma di suggerimento trattasi) che fossero rimasti in scena, a formare un paesaggio simbolico ed emotivo, un panorama di ricordi che costruisce appunto la memoria di una vita.



HANSEL & GRETEL DEI FRATELLI MERENDONI – Fondazione TRG

Una finzione coi fiocchi. Stavolta vediamo Hansel & Gretel dal backstage. La costellazione di modi con cui affrontare le fiabe classiche si arricchisce di un nuovo esperimento: i due burattinai Fratelli Merendoni compaiono in scena in una spassosa ma lunga (troppo) introduzione di stampo clownesco, quasi senza parole, durante la quale capiamo che i due sono i tenutari di un teatrino, metteranno in scena Hansel & Gretel e noi vediamo il retro della baracca, i pupazzi appesi ai ganci, gli elementi di scenografia nelle scatole… siamo insomma spettatori a rovescio! L’idea ci piace molto, anche la trasformazione dei due armadi di scena in nascondigli, foreste, casa della strega è fantasiosa.
Vediamo così, spiando, l’inizio dello spettacolo: il racconto del primo inganno perpetrato a letto dai genitori dei due sfortunati bambini e la prima escursione nel bosco. Questo gioco funziona, è divertente, ironico e c’è una certa raffinatezza di pensiero dietro alla molteplicità di livelli narrativi, un incastro di finzioni: noi vediamo uno spettacolo, mediato da una messinscena al quadrato, in più i personaggi della storia mentono, e per soprammercato sentiamo anche i pupazzi-genitori dire - motu proprio – che “nessuno crede più a quei due vecchi che fingono di essere Hansel & Gretel”…
Non siamo certi che tutti i livelli di questa architettura siano colti pienamente dai bambini ma fin qui l’effetto è comunque interessante, poi lo spettacolo cambia però bruscamente di tono e comincia a sovrapporre altri linguaggi (le ombre, le canzoncine) che appesantiscono un po’ lo sviluppo e che non mantengono uniformità nell’atteggiamento verso la storia. Il finale con i bambini sul palco risulta giustapposto e allunga ulteriormente i tempi.
I Fratelli Merendoni sono una coppia di personaggi molto riuscita e tutto l’ingranaggio della falsa leggenda è ingegnoso, forse potrebbe essere vantaggioso lasciare più mistero e sottrarre qualche elemento superfluo.


A PROPOSITO DI PiTER PAN – Stilema

Silvano Antonelli e Peter Pan. Oppure Silvano Antonelli “è” Peter Pan? Cerchiamo di capirlo insieme: nello spettacolo l’attore/ideatore si mette in gabbia, letteralmente e non. La scenografia è un grande semicerchio di sbarre color alluminio che ci ricorda un po’ la gabbia dei domatori, a queste sbarre vengono man mano appesi con magneti oggetti colorati e fuori scala che sono parte della storia, oggetti passati al protagonista da Laura Righi/Trilli che rimane quasi sempre fuori dal semicerchio. L’oggetto principe è una finestra, la storia comincia da qui perché la finestra è il simbolo dell’evasione, del volo, del passaggio di luogo, del punto di vista doppio, mondo adulto da una parte e mondo bambino dall’altra.
Antonelli, sempre bravo e capace di un umorismo speciale, è un bambino che comincia a leggere le prime righe del libro di Barrie e poi divaga per avventurarsi tra doveri e piaceri dell’essere piccolo e dell’essere adulto. Due ritmi governano l’andamento: il ticchettio degli orologi che scandiscono le vite di grandi e piccini e il battito del cuore che rappresenta l’istinto e l’emozione. Citiamo il momento concitato di un padre costantemente in ritardo che corre al lavoro con tre cellulalari e che prende multe a ripetizione come esempio dell’abilità di Antonelli nel rendere ridicolo il comico del nostro quotidiano.
Sappiamo che lo spettacolo è l’elaborazione di pensieri espressi dai bambini durante un lavoro su fanciullezza e “adultità”, ci sembra che si possa affinare ancora la restituzione teatrale di queste riflessioni, qui ancora non sempre scorrevole, a beneficio di una maggior libertà interpretativa, anche il rapporto con Trilli-assistente potrebbe forse essere un po’ arricchito.


L’ANATRA, LA MORTE E IL TULIPANO
Franceschini/Droste & Co. (Berlino)
Compagnia Tardito/Rendina
Ass. Sosta Palmizi


La triade dei soggetti che hanno prodotto questo spettacolo ha ottenuto uno dei risultati più interessanti visti a Torino quest’anno (insieme alla Compagnie Jeux de mains jeux de vilains - Avignone). Molto ben riuscito il dialogo tra la musica di fagotto e violoncello suonata dal vivo dalla bellissima coppia Friedrich Edelmann e Rebecca Rust. Sottolineiamo con piacere anche la scelta dei compositori: Mozart, Beethoven, Bizet, Hindemith e Komma, a dimostrazione che i brani classici non devono essere uno spauracchio quando ci si rivolge ai ragazzi.
L’anatra la morte e il tulipano si rivolge ai bambini dai 7 anni in su ma abbiamo l’impressione che parli forse di più a noi adulti, che potremmo accompagnare i piccoli a vederlo, sicuri di avere poi un ottimo terreno di dialogo per un tema tabù (più per i grandi che per i piccoli, per la verità) come la morte. Sì sì, proprio la morte!
La morte (Aldo Rendina) è in scena in camicia da notte, è buffa, discreta, magrolina, è una morte amica. Accompagna l’anatra (Federica Tardito) e lo scorrere delle sue giornate in una coreografia curata e leggera, non banale e sufficientemente spiritosa, questa è la chiave grazie alla quale si può mostrare, in maniera affettuosa, come la morte sia una compagna, che ci segue da quando nasciamo e che, in un certo senso, veglia su di noi, veglia “se ci dovesse capitare qualcosa, chessò un incidente”… “e l’incidente lo provochi tu?”, chiede l’anatra, “no, agli incidenti ci pensa la vita”. Questa, perfetta, e altre poche battute rare e dense, sono il contrappunto verbale ad uno spettacolo di danza e musica dove accade anche di vedere l’anatra infreddolita che chiede alla morte di riscaldarla abbracciandola o di andare con lei allo stagno. Che bellezza!
Crediamo che la tenerezza stralunata e la poesia di due amici che giocano insieme, per tutta la vita, fino alla fine, sia un modo bello e morbido per ricominciare a dare alla morte il suo aspetto naturale, fin da piccoli.
Viene voglia di voltarci per vedere se di sfuggita scorgiamo una camicia da notte…


SAREBBE BELLO – Il Dottor Bostik

Abbiamo visto i 20 minuti promo di Sarebbe Bello al Giocateatro 2013 e ora possiamo fare una riflessione sulla versione completa del lavoro, ispirato al libro Bisognerà di Lenain e Tallec.
Un bambino pupazzo osserva le brutture del mondo dalla sua piccola isola, le brutture sono di ogni tipo: guerre, inquinamento, deforestazione, volete la siccità? Ce l’abbiamo! Già questo panorama nefasto ci sembra un tantino sovraccarico, il tutto è rappresentato dai bellissimi meccanismi tipici di Dottor Bostik, che risultano ahinoi più affascinanti della storia raccontata, che francamente troviamo assai retorica. Gli ingranaggi, i motorini, i pesi e contrappesi (animati con delicatezza da Raffaele Arru) che muovono ruote, accendono lampadine, fanno scorrere l’acqua, ecc. hanno quel bel sapore di officina della fantasia che ci riporta al lego, al meccano e a tutte quelle invenzioni geniali e bislacche che si sperimentano da bambini.
E’ vero che si offrono anche soluzioni alle piaghe del mondo: piccoli pinetti a rimpinguare le foreste, nuvole-scolapasta che fanno piovere sopra al deserto, retini che puliscono il mare dalle lattine, ma queste azioni positive sono incanalate in un testo, scarno, poco utile e che toglie forza all’effetto sorpresa delle macchine che costituiscono il vero cuore dello spettacolo. Quelle parole sono accademiche, moraleggianti, mai un bambino penserebbe in questi termini. Ci sfugge anche il perché non si dovesse andare sulla luna, considerata “ferita e offesa” da chi ci ha messo la bandiera sopra, forse che la scoperta, il progresso e la ricerca sono da assimilare alle brutture di cui sopra?
Capiamo la semplificazione ma non siamo d’accordo su un utilizzo così poco teatrale del testo.
Il finale vede il bambino che decide di nascere e fare qualcosa per questa Terra malconcia, la sua isola era la pancia della madre. Mah.!
ELENA MAESTRI



ATO/QUATTRO PASSI IN FAMIGLIA

ATO è un conATO: un tentativo di introdurre il pubblico nell'intimità di un quadro di vita familiare, e di condurlo a percepire sensazioni autenticamente riconducibili all'unicità di quella vita e di quella famiglia, senza interagire direttamente con le persone, bensì esplorando luoghi, oggetti e atmosfere, il tutto filtrato attraverso la sensibilità dell'infanzia. Negli anni molti studi e molte situazioni performative hanno affrontato questo tema elusivo, il cui scoglio principale è rappresentato dalla difficoltà di preservare la spontaneità del contesto, creare un'occasione di contatto e contemporaneamente proteggere adeguatamente l'integrità di luoghi e persone dalle conseguenze dell'invasione ripetuta da parte del pubblico.

All'interno di un appartamento, circondati dai mille oggetti che popolano la loro vita quotidiana, due adulti e due bambini accolgono con generosa e limpida naturalezza l'arrivo del pubblico, istruito da tracce audio preregistrate e diffuse via cuffie.

Molta gratitudine è dovuta al nucleo familiare che ha offerto il tepore e la trasparenza della propria vita con rara freschezza e spontaneità.

A fronte di un materiale di così grande valore, occorre un'adeguata e consapevole progettazione e la conseguente messa a punto di un dispositivo sensibile e raffinato sul piano tecnico, a partire da una riflessione anche drammaturgica che scenda in profondità nella natura, nello scopo e nel significato di un'esperienza di questo tipo.

Ma, a causa della vulnerabile natura del soggetto (esplorare i dettagli della vita privata di una famiglia: come dire, inoltrarsi in gruppo a spasso all'interno di una corolla in fiore), nelle attuali condizioni il dispositivo del percorso di esplorazione lascia molto a desiderare in termini di impostazione, ritmo e ideazione della performance, anche per quanto concerne struttura e qualità del materiale audio, a partire dalla scelta di utilizzare materiale preregistrato, standardizzato e non sempre significativo, isolando acusticamente i singoli spettatori dall'atmosfera sonora dell'ambiente, invece di permettere la completa apertura dei sensi ed offrire una mediazione attiva in costante sintonia con il diapason di ospiti e partecipanti.

Risultano quindi inadeguati sia il supporto dell'audioguida, consistente soprattutto in istruzioni che ricordano certi esercizi del training attoriale, sia il ritmo delle tappe e lo scioglimento dell'esperienza.

Molti dubbi anche per quanto concerne le azioni dei performers che indirizzano il pubblico con modalità che richiamano l'attività di animazione piuttosto che un'azione teatrale da parte di ideatori partecipi dell'esperienza.

Fra i momenti migliori, gli istanti in cui si viene condotti ad assistere alla delicata 'messa in scena' dei propri giochi da parte di un bambino all'interno di una casetta dei giochi/oggetto scenico munito di piccolissime finestre. Fra i momenti peggiori, la presenza di fotografi intenti a riprendere il pubblico a distanza ravvicinata, mentre una voce registrata incalza con istruzioni spesso ambigue e contraddittorie, soprattutto tenendo conto del fatto che il lavoro coinvolge a tutti i livelli soggetti giovani e giovanissimi (ci sono bambini sia come protagonisti che come spettatori, e la casa percepita attraverso la sensibilità del bambino costituisce il nucleo teorico del progetto secondo quanto dichiarato dall'ideatore/performer Alfredo Zinola e dalla performer Ximena Ameri Cespedes).

Per camminare fra i petali di un fiore senza forzature abbiamo bisogno di essere guidati da performer che si muovano realmente con noi nel flusso del percorso, facilitando e custodendo istante per istante il miracolo della comunicazione ludica e poetica che un lavoro di questo tipo potrebbe produrre se adeguatamente progettato e costruito.



KNUP, LA MAGIA DELLA FIABA IN MUSICA E PAROLA

Gran regalo d'oltralpe per il pubblico torinese: una performance in cui il teatro di narrazione incontra la musica dal vivo, intrecciandovisi in una partitura fiabesca, epica ed esilarante che coinvolge il pubblico dalla prima sillaba all'ultima nota, con La Compagnie d'A… ! di Niozolles, costituita da Luigi Rignanese & le Quatuoraconte.

La Compagnie d'A… !  con la prima italiana assoluta di 'KNUP' ha condotto un pubblico entusiasta (sì, soffiava quel magico vento) attraverso un mondo di foreste in fiamme, torri d'avorio e arene di tornei, in cui scorrazzano principi truffatori, svolazzano uccellini azzurri, imperversano draghi volanti, misteriose vecchiette guerce, angeli travestiti, diavoli imbattibili a carte, osti infidi, regine (forse) svampite, principesse (certamente) annoiate, trovatori bricconi e chi più ne ha più ne metta.

'A volte la vita è un bluff', dicono la vecchia, il principe, gli ubriachi dell'osteria, può capitare di rimanere senza cintura per tener su i pantaloni: e allora 'tournée générale', da bere per tutti, anzi musica per tutti, e una grande saga per ciascuno. E proprio perché 'la vita è un bluff' in questa fiaba bisogna osare vivere, sperare, sognare, viaggiare, rischiare il tutto per tutto e capovolgere la propria vita, come Il carbonaio/principe Albert/plouc/"punk is not dead" e la principessa Roma-Amor che non ne vuol sapere di sposare un pretendente sberluccicante e vanaglorioso.

Bello per i bambini, splendido per gli adulti, epico e godibilissimo.

'KNUP': una grandiosa cavalcata fra cielo e terra, senza paura di finire a mollo nel lago senza fondo o con la faccia per terra nel vicolo della città fortificata, con humour, ritmo e ironia, grazie alla scoppiettante interpretazione di Luigi Rignanese come narratore e dei suoi sodali  del Quatuoraconte: musicisti e performers senza macchia, senza paura e senza confini.

Efficacia del gesto, rigore della forma, strumenti musicali che si trasformano di volta in volta in costumi, acconciature, oggetti scenici, fisionomie mostruose, per scolpire un'immagine in una frazione di secondo e poi tornare al loro ruolo. Magia del racconto, della musica dal vivo, eccellente drammaturgia, ritmo di narrazione e qualità della presenza scenica, lieto fine non scontato: piacere puro del miglior teatro. Ottime luci di Nicolas Terrien.

Siamo grati a Luigi Rignanese, gran narratore, e ai musicisti/performer del Quatuoraconte: Cyril Cianciolo (canto, flauto, percussioni), Lô Blanc (chitarra, mandola, percussioni, canto), Nicolas-Malik Saadane (suono, tastiere e coro), Thomas Bourgeois (batteria). Tutti interpreti d'eccezione che vi auguriamo di incontrare in azione al più presto, a occhi aperti, a occhi chiusi, e anche per radio…


SEI MANI... UNA COSCIA… UN LUPO

Con tre belle voci, sei agili mani, una coscia malandrina, una spalla ospitale, complici anche altre parti del corpo, la giovane e intelligente compagnia avignonese Jeux de Mains Jeux de Vilains  (ha appena compiuto il quarto anno di vita) ha fatto conoscere al pubblico torinese un assaggio del suo repertorio con la sua versione delle avventure di Pierino e il Lupo e della capra di Monsieur Séguin: "Je n'ai absolument pax peur du loup", format derivato dalla fusione di due forme più brevi grazie a un ponte drammaturgico semplice e rigoroso.

Non ce ne vogliano Alphonse Daudet e Serge Prokofiev: pensiamo che si sarebbero divertiti insieme a noi a scoprire le folgoranti inedite risorse della Bianca indomita capretta, e gli esplosivi sviluppi dell'esperienza di Pierino nel grande prato.

Con brillante precisione sei mani hanno disegnato paesaggi, personaggi ed eventi caratterizzati da lampi di notevole originalità.
Un tavolo, un essenziale disegno luci, tre performer complici e partecipi: uno spettacolo fresco ed efficace, adatto per adulti e bambini (a partire dall'età scolare: l'uso del buio e una certa complessità di contenuti rendono il lavoro meno accessibile per i più piccoli, anche se abbiamo visto molti giovanissimi spettatori divertirsi comunque dall'inizio alla fine.

Attendiamo il ritorno della Compagnie Jeux de Mains Jeux de Vilains. Nel suo bagaglio, studi di teatro, teatro nero, teatro d'oggetti, teatro di figura, training di manipolazione, ergonomia e armonia di gesti, economia di testo. Sicuramente viaggeranno a lungo e lontano, se fin dalle prime tappe sono in grado di muoversi con solido mestiere e il timing di chi sa misurare la giusta dose di comicità e poesia. Un piacere per il pubblico, una lezione per molti giovani colleghi.
Adieu, Gringoire: se non ti decidi a capire che i migliori applicano con rigore i principi della drammaturgia e della regia fin dai banchi di scuola…
Bravi Sophie Guyot-Tabet, Marion Lalauze, Florian Martinet. Regia collettiva (cocreazione efficace? Quanto c'è di più arduo!) convincente. Belle e vellutate luci di Yann Marçay, create insieme a Marie-Caroline Conin.
EUGENIA PRALORAN