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Eolo
recensioni
MAGGIO ALL'INFANZIA 2017
LE RECENSIONI DI MARIO BIANCHI E NICOLA VIESTI

Teresa Ludovico, direttrice artistica del Teatro Kismet e del Festival “ Maggio all'infanzia”, che si è tenuto a Bari dal 18 al 21 Maggio, ha deciso di festeggiare la ventesima edizione del Festival, improntandola come una manifestazione dedicata alla città, con numerosi spettacoli di varia fattura e provenienza, proposti in tre sedi dislocate in territori assai diversi della città : la sede del Kismet, il Teatro Abeliano di Vito Signorile in collaborazione con il quale ha creato “ Teatri di Bari”, e La Casa di Pulcinella. Una manifestazione che ha voluto declinare la proposta degli spettacoli in tutti i vari modi in cui il teatro ragazzi si manifesta.

Avremmo comunque voluto che la manifestazione, che ha visto come sempre l'arrivo a Bari di numerosissimi operatori provenienti da tutta Italia, che si sono mescolati con i tantissimi bambini con le rispettive famiglie e maestre, in qualche modo, avesse potuto e voluto celebrare la sua storia, attraverso alcuni momenti di festa e di condivisione per un Festival che in 20 anni ha caratterizzato positivamente la storia del teatro ragazzi italiano, collocando alcune compagnie e personalità, diremmo molte, ai vertici di questo particolarissimo modo di declinare il teatro e che molte volte, e non è certo usuale, invece di farsi la guerra, hanno collaborato insieme, spesso mescolandosi in spettacoli e progetti.

Ricordiamone solo alcune che tra Gioia del Colle e Bari in questo festival inventato da Carlo Bruni e portato avanti per molti anni con intelligenza e sensibilità da Cecilia Cangelli hanno spiccato il volo.

La Bottega degli Apocrifi, Senza Piume, Oda teatro, Principio attivo teatro, Enzo Toma,

Teatro le forche, Luigi D' Elia, Thalassia, Burambò, La luna nel pozzo, Compagnia del sole,La luna nel letto, Compagnia Factory di Tonio De Nitto, Armamaxa, Crest, Koreja, Bruno Soriato, Daniele Lasorsa, Anna Bella Tedone, Nunzia Antonino, Fabrizio Saccomanno, Paolo Comentale, Terramare, Fabrizio Pugliese, Angela De Gaetano, Roberto Corradino, Mirko Lodedo, Licia Lanera, di cui siamo molto curiosi di vedere la sua particolare versione delle fiabe più famose.E ci scusiamo se abbiamo dimenticato qualcuno.

Ma come si sa, le scelte devono fare i conti con diversi fattori, non sempre favorevoli e, comunque, sono stati programmati ben 23 spettacoli, davvero assai esemplificativi di cosa vedono nel bene e  nel male i ragazzi italiani, per un' edizione, alla fine dei conti, però, con molti più scuri che chiari, che ci vede costretti per vari motivi ad approfondirne in modo esaustivo solo 4, oltre alla disamina operata da Nicola Viesti della prima giornata del Festival e dello spettacolo dei bellunesi del Tib. Un po' poco, se ci è consentito dirlo.

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Anche questa edizione ha visto la collaborazione della Fondazione SAT che promuove lo sviluppo culturale e l’interazione di due territori, Campania e Puglia, in un’ottica di offerta culturale integrata che vada oltre il teatro e che si faccia espressione di un concetto più ampio che è quello di cultura per l’infanzia.

La Puglia con i Teatri di Bari (Kismet e Abeliano) e la Campania con le Nuvole – Casa del Contemporaneo, si sono uniti, non solo idealmente, per poter dedicare un intero mese all’infanzia con spettacoli, vetrine per operatori, rassegne di teatro fatto dai ragazzi, confronti, dibattiti fra ragazzi e insegnanti, tavole rotonde e quadrate, aperture alla nuova drammaturgie senza tralasciare quella passata, finestre, anzi no, balconi spalancati sul cinema e la letteratura dedicati ai ragazzi.

Durante il festival ci sono stati non solo spettacoli ma altre diverse iniziative, un incontro di ASSITEJ con le compagnie pugliesi e per il terzo anno consecutivo il progetto “Esplorazioni” a cura di Giorgio Testa e Sara Ferrari/Casa dello spettatore, Roma in cui la visione degli spettacoli è stata il centro dell’osservazione ma anche il punto di partenza per allargare e spostare lo sguardo. Un cammino guidato dentro al festival e dentro l’esperienza di essere spettatori, un appuntamento quotidiano per incontrarsi dandosi tempo e spazio per una discussione attorno al teatro, all’infanzia, ai linguaggi nuovi e già sperimentati. E poi la possibilità di valorizzare e ravvivare la stretta relazione che c’è tra l’arte per le nuove generazioni e la scuola; sono stati infatti gli insegnanti i principali destinatari di questa ricerca in un viaggio di esplorazione da compiere insieme ad artisti e operatori, in cui ogni giorno accendere idee e riflessioni e realizzare un momento di analisi attiva e costruttiva.

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Abbiamo detto dunque di aver assistito a una dopo l'altra, creazioni di sapore e consistenza diversissima tra loro. Spettacoli come “ Arabesk” di Teatri di Bari di Vito Signorile e Pierluigi Morizio che, almeno per il nostro gusto, non dovrebbero essere proposti in un festival, ma tenuti meritoriamente nel proprio teatro, come palestra e confronto costruttivo tra varie generazioni di artisti, attori, autori, creatori di immagini ma con una nonna, Lucia Zotti, che tutti i bambini invece vorrebbero avere, altri come “ Eroine all'opera” del Carro dei Comici, dove il teatro di figura ed il melodramma sono ostinatamente bistrattati per più di un' ora (se la cavano egregiamente per fortuna il soprano Marilena Gaudio e Francesco Giancaspro al pianoforte), “ Fratellino e sorellina” di Ruotalibera, dove una fiaba dei Grimm, con ambientazione contemporanea, viene maltrattata da una compagnia storica che tanti anni fa ci ha regalato opere di assoluto valore. Nello stesso ambito ci piacerebbe vedere Paolo Comentale del Granteatrino ritornare a donarci il suo Pulcinella in modo più coerente e meditato che non nel suo, per altro sentito, omaggio a Lele Luzzati, che forse avrebbe gradito molto poco nell'assistere a “ Le 12 fatiche di Ercole “ del suo Teatro della Tosse . Non potevano mancare gli adulti che fanno sconsolatamente i bambini in una produzione di impianto didascalico che, questa volta, ricorda ai bambini quanto sia importante l'acqua, e quindi ecco “L' arca “ di Terramare con Silvia Civilla e un nel complesso credibile Marco Alemanno.

Poi abbiamo visto creazioni ancora in definire come il pur interessante “ La mia grande avventura” del Teatro delle Apparizioni, su drammaturgia di Valerio Malorni e Fabrizio Pallara, regia Fabrizio Pallara, tratto dal bellissimo libro dello scrittore nigeriano Amos Tutuola “La mia grande avventura ne bsco degli spiriti”con Valerio Malorni, efficace nel narrare la suggestiva avventura di un ragazzino alle prese con i fantasmi della guerra che appaiono sotto forma di spiriti maligni in una specie di rito sciamanico di formazione in una messa in scena piena di suggestioni ma ancora acerba sotto diversi aspetti, e che vedremo compiuta a Roma in autunno.

Ecco poi creazioni che ci riportano indietro di quarant'anni come la disneyana versione con musica dal vivo di “La bella e la bestia” di Stivalaccio su teatro testo e regia di Marco Zoppello o “Il re clown “ di Skenè,  dove i cattivi sono cattivi e i buoni sono buoni, tutti votati come sono a difendere poveri, migranti e artisti, come si usava nelle recite scolastiche dei collegi gestiti dai preti.Ecco poi spettacoli per adulti per altro ben congeniati come “Farfalle” di Animalenta scritto e diretto Ilaria Cangialosi che narra in modo poetico la storia delle sorelle Mirabal, vittime innocenti del crudele ditatore Trujillo che governò la Repubblica Domenicana tra il 1923-1960.

Di grande fattura anche la danza presente in “ Once upon a time when pigs were swine”, C’era una volta quando i maiali erano porci, di Equilibrio Dinamico, coreografia drammaturgia luci costumi di Marco Blázque, che narra, con 5 danzatori, una storia d’amore immaginaria, ambientata nella Polonia dell’olocausto, durante la seconda guerra, peccato che la recitazione enfatica e sopra le righe del narratore , ne infici e non poco il risultato.

Il musical era presente con la riduzione del celebrato e, almeno per noi, stucchevole “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” di Luis Sepùlveda, dei romani del Teatro Vascello, traduzione e adattamento di Manuela Kustermann, pallida imitazione degli omologhi francesi ed inglesi, pieno zeppo di stereotipi con troppe parole e poche canzoni, affidate a 8, nel complesso, efficaci attori. Infine l' educazione musicale era presente nel gradevole e ben costruito spettacolo “Seicentina” della Compagnia “L'albero” concerto, recitato per attrice, voce e basso continuo , su drammaturgia di Valentina Tramutola, con la divertente e brava Alessandra Maltempo, personaggio che ha avuto la meravigliosa avventura di conoscere il nostro amatissimo Claudio Monteverdi.

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Ma ecco a farvi il resoconto dei 4 spettacoli che secondo noi, più di altri, hanno nobilitato questa ventesima edizione del Maggio all'infanzia.


Michelangelo Campanale ha regalato ai tarantini del Crest, compagnia che ha compiuto da poco i 40 anni di attività, il più bello spettacolo del Festival ,  “Biancaneve, la vera storia “ con Catia Caramia, Maria Pascale e Luigi Tagliente. Una storia, quella di Biancaneve, che ci pare di conoscere a memoria, sia nei fatti sia anche iconograficamente. Ovviamente non è così, quella che conosciamo è qualla proposta al cinema da Walt Disney e, così ci appare, fugacemente, all'inizio dello spettacolo. Ma non è così, la celebre fiaba, alle origini, era ben diversa. E ai bambini, che non sono cretini, bisogna riproporla come era in origine, senza omettere niente, anche gli aspetti più sgradevoli che però servono a far capire loro che la vita non è solo, come si suol dire, “ rosa e fiori”

Così, nello spettacolo del Crest è Cucciolo, l'ultimo dei sette nani, a narrarcela come si deve. Biancaneve in realtà era la Principessa Maria Sophia Margaretha Catherina VON Erthal, di origini tedesche e realmente  vissuta alla fine del '700. Biancaneve abitava tra i monti, dove i nani lavoravano duramente come minatori, talmente duramente, che in tanti erano morti, rimanendo solo in 7.Lei, Biancaneve, era una bambina coraggiosa, vissuta senza un padre, all'ombra di una madre altezzosa e boriosa, da cui dipendeva, e di cui voleva seguire le orme, ma che per lei diventò piano piano  matrigna, rosa, come era la madre, dall'invidia nel vedere la bellezza di una figlia che piano piano si faceva, come succede nella vita, sempre più grande, diventando sempre più bella, anzi bellissima, davanti a uno specchio che non poteva mentire. E molti sono gli specchi che costellano la scena.  La storia si dipana in modo crudo e terribile come è stata raccolta dai Grimm, divisa in sette racconti, che il nostro nano narratore legge da manoscritti lasciati dai fratelli nei modi che qui per altro conosciamo, con i tentativi perpetrati dalla madre per far morire la figlia, sino al lieto fine, con il pezzo di mela avvelenato che rotola per terra, consentendo alla nostra piccola protagonista di convolare a giuste nozze con il suo principe, mentre la madre dovrà accontentarsi di scarpe ardenti, la giusta punizione. Ma prima che questo avvenga la nostra coraggiosa protagonista, arrivata da sola nell'umile casetta dei nani, imparerà ad essere una madre vera per i 7 , amorevole e necessaria, non come la sua di madre, crudele ed invidiosa, “ se fossi veramente la mamma dei 7 nani, li guarderei tutti ad uno ad uno per vederli crescere, per vederli andare via da soli con gambe forti per camminare e saziati dai miei sguardi” così dice a Cucciolo con cui dialoga, uscendo per un attimo dalla storia, durante tutto lo spettacolo.

“Biancaneve, la vera storia “ pone al centro del suo percorso il tema della vera bellezza che ha la sua origine più vera e naturale non nell'aspetto esteriore ma che si annida piuttosto nella profondità dell'essere umano, consentendo alla fine a Loredana Bertè di cantare a lei e solo a lei, a Biancaneve, diventata una magnifica donna, forte e consapevole per le difficili prove che ha dovuto superare “ Sei bellissima!”

A Campanale riesce il miracolo di raccontare in tutta la sua prorompente verità, con un filo radioso di ironia, sempre latente, una storia ancora oggi esemplare, in una cornice, questa sì di assoluta bellezza, dove tutti gli aspetti tecnici, luci, musiche, scene, costumi, bellezza e conformità dei tre interpreti, concorrono a porre in risalto “ le trame speciali” di cui ancor oggi Biancaneve, tra verità e leggenda , è composta. E il nostro nano prima che i bambini se ne vadano dalla sala dice ancora a loro “ vi guarderei tutti ad uno ad uno per vedervi crescere, per vedervi andare via da soli con gambe forti per camminare e saziati dai miei sguardi” perchè in fine dei conti il teatro, quello bello, è come una mamma meravigliosa che ci insegna a crescere.

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Luigi D'Elia e Francesco Niccolini, per INTI Thalassia, proseguono il loro cammino insieme, dopo aver esplorato attraverso varie fortunate narrazioni il rapporto tra uomo e natura, per raccontarci in “Cammelli a Barbiana “ , su regia Fabrizio Saccomanno, la vicenda umana di Lorenzo Milani. La storia di un uomo nato ricco, sempre in lotta con la scuola e la sua famiglia che diventerà prete e che verrà esiliato in mezzo ai boschi dell’Appenino toscano dalla sua stessa Chiesa. Ed è proprio qui che avrà la sua vendetta, proprio lassù, infatti, darà vita, con pochi ragazzi di montagna, con una caparbietà che non ha eguali, al miracolo della Scuola di Barbiana, diventando il maestro più rivoluzionario, e dicimolo pure, rompicoglioni, del dopoguerra italiano.

Il racconto di D'Elia e Niccolini segue passo passo la vita e l'impresa di Don Milani nei suoi momenti salienti e anche dirompenti sino alla stesura della famosa” Lettera a una professoressa” e alla morte prematura. Come sempre il segno distintivo della narrazione di D'elia è la semplicità, la naturalezza sommessa, sino dal “vestito di scena” un abito anonimo, perchè così forse si sarebbe vestito anche Lorenzo. E'solo la sua voce amplificata, corredata da qualche musica che ne amplifica l'emozione, a narrarci quella splendida avventura, in alcuni momenti, entrando anche nel personaggio. I tratti della voce sono spesso sottomessi ma anche violenti, perchè il nostro era anche un peperino, capace di sfidare i potenti e i laureati, mettendo  però sempre al centro i suoi ragazzi. Ecco i primi momenti da ricco signorino, l'ispirazione di diventare prete, la cacciata da Calenzano, l'arrivo sotto la pioggia a Barbiana, i primi momenti di diffidenza , le vittorie e le sconfitte, ma soprattutto la caparbietà di un insegnamento che partiva dal basso, dai veri bisogni di una gente che non aveva mai avuto niente, con la consapevolezza che nessuno dovesse trovarsi indietro, in una scuola dove non poteva esserci nessun "asino". Ed il messaggio arriva diretto agli spettatori,  in questo modo anch'essi, guardando in cielo possono vedere le nuvole trasformarsi in cammelli.

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Flavio Albanese della “Compagnia del sole “, ancora su testo di Niccolini, in “L'universo è un materasso” si presenta davanti ai piccoli spettatori impersonando, il Tempo. Attraverso il suo racconto che dura migliaia di anni, ci narra di sé e della sua meravigliosa evoluzione da quando si chiamava con un altro nome, Crono, ed era imperatore dell'Universo, fino ad oggi, quando l'uomo ha cominciato a comprendere che non solo le cose non sono come sembrano, ma probabilmente tutto, come in teatro, è solo illusione, e così lui è scomparso dalle leggi della fisica.

È una storia lunga quella che narra, divisa in quattro capitoli. Nel primo di essi si narra di una grande esplosione, ovvero come dal buio nacque la luce e tutto il resto, nel secondo, come, osservando la realtà,
 gli umani cominciarono a capire come era fatto il mondo, per arrivare al terzo capitolo dove si dimostra che la realtà non è quella sembra, ovvero
 che nulla, ma proprio nulla, è al suo posto. O forse sì. Ed infine come già detto, alla più amara, forse, ma nello stesso tempo consolante conclusione , la realtà è un'illusione, 
e il tempo quindi non esiste.

Insomma, come spiega il grande Einstein all'esterefatto Tempo  : L’Universo è un materasso senza inizio e senza fine, che sta diventando sempre più grande, come una pasta di pane ben plasmata.

E dove c'è un pianeta, il materasso si incurva e, quando il pianeta gira gira su stesso, porta con sé tutto quello che c’è nel materasso, che poi è lo spazio che ha intorno, un po' come quando, uno, di notte, voltandosi nel letto porta con se il lenzuolo e la coperta!... .
Einstein  in modo semplice continua spiegando al suo interlocutore come il tempo sia un'entità diversa per ognuno di noi, terminando poi il suo discorso in modo melanconico “ eravamo convinti, noi gli uomini, di essere al centro esatto dell'universo e non lo siamo. Credevamo di essere fatti a immagine e somiglianza di Dio, di essere il suo figlio prediletto... di essere di una razza superiore a tutti gli animali, poi un giorno abbiamo scoperto di essere quasi uguali alle scimmie e di avere bisnonni in comune con le amebe, le margherite e qualunque altro essere vivente... Non siamo il centro del mondo, non siamo i più belli, e nemmeno i più intelligenti. E un giorno moriremo!..Credevamo di essere speciali ma non lo siamo: solo un granello di polvere in un angolo sperduto dell'universo”

Molto bello questo monologo di Flavio Albanese, narrato in mezzo ad un cielo trapuntato di stelle, su un testo intelligente che l'attore sa rendere effervescente dialogando spesso con se stesso ma soprattutto  con luci e voci che piovono dall'alto, in modo fervido, ma quel che più conta semplice e divertente, così semplice e divertente che anche un bambino può capire un discorso così apparentemente complesso, e anche noi, che di queste cose avevamo sempre capito ben poco, finalmente abbiamo compreso di essere una piccola parte dell'universo, ma in verità possiamo confessarlo, almeno questo, lo sapevamo già !

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Bruno Soriato e Annabella Tedone diretti da Raffaella Giancipoli per Kuziba teatro, con il fondamentale apporto del disegno luci di Tea Primiterra, delle scene dello stesso Soriato e delle musiche originali di Mirko Lodedo e Francesco Bellanova ci raccontano ancora una volta, ed in modo esemplare, la famosa storia di Vassilissa, una bambina davvero brava e ubbidiente. La madre prima di morire le ha donato, una bambolina, una bambolina alla quale chiedere aiuto in caso di difficoltà. Difficoltà che non esitano subito a presentarsi. Non appena il padre infatti parte per un lungo viaggio d'affari, la nuova moglie rivela presto il suo cuore di matrigna e costringe Vassilissa ai lavori più umili e faticosi. Esasperata dalla piccola adulta che si ritrova in casa, la matrigna la manda con l'inganno nel bosco a cercare il fuoco dalla Baba Jaga, certa che non farà più ritorno. L'unica ad avere il fuoco sempre acceso è la terribile strega che vive arroccata nella Babaracca, la casa selvaggia con occhi di fuoco con la quale riduce i bambini in polpette. La Baba Jaga invece tiene Vassilissa con sé promettendole il fuoco se riuscirà a superare delle prove impossibili. E Vassilissa ci riesce perfettamente aiutata dalla sua bambola che tiene amorevolmente in tasca.Tornata a casa dalla madre sarà una bambina assai diversa, capace anche di dire di no e di pensare con la propria testa. Figurativamente splendida questa versione della fiaba russa( molto bravo Soriato che si è ispirato chiaramente al mondo di Hieronymus Bosch) che sa creare atmosfere di paura e speranza con pochissimi tratti dove le musiche di Mirko Lodedo e Francesco Bellanova sono fondamentali per catturare l'emozione dei bambini e dove finalmente un'attrice Annabella Tedone è una bambina e non fa finta di esserlo. A nostro avviso aggiungeremmo un pizzico di ritualità in più al dono magico della bambola che è posta forse un poco in sordina. Ma finalmente uno spettacolo dove una generazione di artisti conferma la possibiltà che il teatro ragazzi possa avere un futuro.

MARIO BIANCHI


SCHIACCIANOCI SWING

regia e luci Cosimo Severodrammaturgia Stefania Marrone

arrangiamenti e brani musicali Fabio Trimigno con Alessandra Ardito, Luca Pompilio, Celestino Telera, Michele Telera.
Prod.Bottega degli Apocrifi



Operazione complessa lo “Schiaccianoci swing” della Bottega degli Apocrifi che architetta una favola musicale ispirata al più celebre dei racconti di Hoffmann, “Schiaccianoci e il re dei topi”. Protagonista assoluta la musica, cinquanta minuti quasi ininterrotti in cui vari generi – dal jazz al blues, dal rock al pop senza dimenticare Tchaikovsky opportunamente arrangiato – convivono insieme “all'insegna dello swing. E come lo swing è il genere musicale jazz che si distingue per uno stile di esecuzione saltellante o dondolante, allo stesso modo” lo spettacolo diviene un concerto di vibrazioni sonore. Idea affascinante anche perché sorretta da un ensemble bravo e affiatato condotto da Fabio Trimigno che riesce con grande disinvoltura ad imprimere i più svariati ritmi tutti molto sostenuti che invogliano lo spettatore a crearsi un proprio spettacolo ed un proprio percorso. Se dunque nel suo assunto musicale – ed in fondo nella sua idea portante – lo “Schiaccianoci swing” mantiene appieno le promesse qualche problema si crea nella rappresentazione che vuole mantenere una qualche struttura narrativa che però pare ostica e poco chiara e nell'andamento della messa in scena che a volte sembra assumere una cadenza troppo lenta rispetto a quella impressa dalla drammaturgia musicale. Pensiamo che quest'ultima possa bastare a se stessa e al complesso dell'insieme spettacolare che in fondo potrebbe aver bisogno solo di un caleidoscopio di suoni per consentirci di immergerci nelle atmosfere della fiaba.


QUELLE RAGAZZE RIBELLI

di Gigi Bertone con Tanja Horstmann, Maria Regosaregia Alberto Grilliscene e costumi Maria Donata Papadia, Angela Pezzi, Loretta Ingannatoluci Marcello D'Agostino direzione musicale Antonella Talamonti
prod. Teatro Due Mondi

In un mondo in cui si tende ad ignorare il passato e – malgrado la possibilità di accedere ad una enorme mole di notizie – si ha del presente una cognizione frammentata e a volte spesso distorta, ben venga uno spettacolo che esalta l'esempio di alcune vite femminili. Vite distanti e diverse ma tutte accomunate dal costante sforzo di ribellarsi ad un ordine costituito, vite intrepide e a volte drammatiche che con coraggio hanno avuto la forza di opporsi al proprio tempo non solo e non tanto per trovare una propria dimensione e una propria emancipazione ma con il chiaro intento di servire appunto da esempio, da apripista verso un reale riscatto di tutte le donne. Tema impegnativo quindi quello affrontato da “Quelle ragazze ribelli” del Teatro due mondi ma che riesce comunque a raggiungere l'obiettivo di interessare e spesso emozionare grazie ad una struttura semplice che caratterizza una messa in scena assai mossa e accattivante. Una serie di micro racconti in successione, microcosmi segnati da universi musicali e segnici che riportano a tempi e luoghi delle azioni cercando la giusta misura, un equilibrio interno al singolo frammento che concorre poi a quello della rappresentazione nel suo complesso. A tale proposito non guasterebbe – a nostro avviso – rinunciare ad un paio di scene non solo per compattare ancor più lo spettacolo ma per evitare un senso di successione di eventi esemplari che potrebbe rivelarsi troppo meccanico. Un dettaglio perché “Quelle ragazze ribelli” può vantare l'efficacia e la forza delle performance delle brave interpreti, Maria Regosa e Tanja Horstmann.

L'ARTE DELLA MENZOGNA

di e per la regia di Valeria Cavalli e Claudio Intropido

con Andrea Robbiano
prod.
Manifatture Teatrali Milanesi


E' la storia di un coming out “L'arte della menzogna”, della lenta consapevolezza di Diego del suo essere omosessuale, del suo continuo e molto spesso involontario mentire agli altri ma soprattutto a se stesso. Figlio di un militare ne vuole ripercorrere la carriera convinto così di ottenere la stima paterna, nel mondo che lo circonda cerca di adattarsi al conformismo per essere in fondo invisibile, uno tra tanti senza onore né gloria. Tutti i conflitti cerca di smussarli, di piegarli alla propria immagine di ragazzo dalla personalità standard, incapace di qualcosa di grande o di veramente suo, Un disagio a cui Diego non sa trovare una causa, un malessere che serpeggia in lui ma a cui non sa dare un motivo sino al bacio che un commilitone avrà l'ardire di dargli, confessandogli il proprio amore prima di scomparire lasciando un vuoto che finalmente ha un nome. E allora il coraggio arriva e la lucidità di intraprendere un proprio percorso all'insegna delle difficoltà di ogni vita ma non della paura. Confermando la sapienza profusa in decenni di attività teatrale , Valeria Cavalli e Claudio Intropido affrontano il dramma di Diego con una levità e sensibilità esemplari. Applicano un rigore assoluto nell'assunto del messaggio che intendono veicolare e inscrivono la messa in scena in una efficacissima circolarità, senza digressioni o fronzoli ma andando diritto ai problemi facendo del loro personaggio non un eroe ma una persona semplicemente onesta, confusa certo come può costringere l'ottusità della società ma infine tranquillamente cosciente del suo posto nel mondo. Al felicissimo buon esito della messa in scena concorre in maniera fondamentale la bravura, l'energia e l'intensità di Andrea Robbiano, un attore con una marcia in più che abbiamo già apprezzato e conosciuto in " Fuori Misura" lo spettacolo su Giacomo Leopardi.


L'ARCO DI ATALANTA

di Gianni Rodariadattamento Carla De Girolamo e Raffaele Scarimboliregia Raffaele Scarimboli con Carla De Girolamo
prod.
Luna Comica

Inaudita un'eroina capace di tenere testa a uomini – o addirittura semidei - di forza iper muscolare, una tipa che poteva trattare alla pari con un Ercole, ad esempio, o con tutta una pletora di celeberrimi mega eroi diffidenti e spocchiosi. Ma Atalanta era vissuta nelle foreste allevata dagli orsi e non per niente era protetta e consacrata ninfa di Diana, una dea che in quanto a forza e astuzia poteva dare numeri a tutti. Insomma una proto femminista dal muscolo guizzante e da un vasto giro di amicizie conquistato grazie ad avventure mirabolanti con i più noti e affascinanti protagonisti mitologici. Gianni Rodari si è interessato a lei con il racconto “Atalanta”che serve di ispirazione a questo “L'arco di Atalanta” che partendo appunto da una gara tra eroi di tiro all'arco- vinta, manco a dirlo, proprio da lei – ripercorre la vita e le vicende di un personaggio in fondo poco noto e di notevole interesse nel panorama della mitologia classica. Uno spettacolo di narrazione che risulta più godibile quando riesce ad inventarsi un linguaggio dalle cadenze dialettali che alleggerisce la densità del racconto per conferire ironia e giusto distacco. Un modo per consentire all' impegnata protagonista, Carla De Girolamo, dei fuori onda all'insegna del divertimento. Anche perché le vicende di Atalanta sono molteplici e a volte un po' complicate con tutti quegli eroi occupatissimi a dare il meglio di sé e allo spettatore bambino – ma anche a quello adulto – un po' di tregua necessita per tirare le fila della storia.


C'ERA 2 VOLTE 1 CUORE

regia Daniela Nicosia con Susanna Cro e Solimano Pontarollo

disegno luci e suono Paolo Pellicciaricostumi Giorgio Tollotvoce narrante Maria Sole Baritoscene Marcello Chiarenza
prod.
Tib Teatro

Il mondo del celebre disegnatore francese Raymond Peynet è poetico senza rifiutare di essere un po' zuccheroso, tenero ma anche a volte graffiante, stilizzato ma colmo di sentimento. Un'onda di bontà increspata però da venti pungenti. Ispirandosi alle illustrazioni di “Les amoreux”, Daniela Nicosia, per il suo Tib Teatro, ha creato questo “C'era 2 volte 1 cuore” che di Peynet cattura l'essenza che, messa al servizio di spettatori piccolissimi, acquista quella capacità di stupefazione che solo il teatro può garantire. In uno spazio bianco delimitato sul fondo da una finestra, due personaggi, due fratelli pronti alla nascita, si baloccano in attesa di un evento atteso ma ignoto. Sono giustamente impazienti ma anche timorosi e si scatenano pensando a cosa troveranno nel mondo sconosciuto. Inventano stagioni e fioriture d'alberi, enormi meduse fluttuanti nel mare, fiori che nascono in una valigia, farfalle e soli e lune. E nel momento cruciale il loro salto dall'altra parte è preceduto da un cadere di petali vermigli. Rimanendo fedele ad una certa – e infallibile – atmosfera d'oltralpe la Nicosia si affida alle musiche di Brel e Trenet e non resiste a precise citazioni – tra tutte l'inconfondibile spicchio di luna – di segni che hanno reso celebre Peynet. L'insieme risulta estremamente gradevole per i grandi e di massimo coinvolgimento per i piccolissimi che alternano incanto a riflessioni assai pertinenti. Uno spettacolo assolutamente da vedere stretti a mamma o a papà.

NICOLA VIESTI

POTRETE TROVARE ALTRI RESOCONTI CRITICI DEL FESTIVAL SU

 TEATRORAGAZZIOSSERVATORIO.IT








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