.
Eolo
recensioni
MAGGIO ALL'INFANZIA 2016 A BARI
LE RECENSIONI DI MARIO BIANCHI E NICOLA VIESTI

Ed eccoci a Bari per relazionarvi del “Maggio all’Infanzia”, che nelle intenzioni del Teatro Kismet, che coraggiosamente lo inventò diciannove anni fa', non è “semplicemente un festival per l’infanzia ma un festival dell’’Infanzia, non fermandosi infatti solo alla scelta di piccoli spettatori cui rivolgersi, quanto cercando di essere nell’infanzia come condizione di stupore e scoperta, di predisposizione e sguardo, di energia e intelligenza. È cercando e attirando l’anima infantile delle persone che il festival riunisce in una comunità di adulti e bambini. L’arte è la guida di questa ricerca e la forza che muove e unisce.”

Ed infatti durante questi diciannove anni, pur restando il teatro il centro d'azione, il festival ha cercato di essere e lo vorrà sempre di più in futuro, secondo le indicazioni di Teresa Ludovico e di Giorgio Testa “ un momento di raccordo fra tutte le arti che mettono al centro l’infanzia, dal cinema alla letteratura, dalle arti di strada fino alla musica e all’arte visiva. Un’occasione per far interagire il meglio delle produzioni e dei progetti dedicati ai ragazzi, creando una sinergia fra forme, declinazioni espressioni d’arte differenti”.

Ovviamente Eolo, interessandosi specificamente di teatro, ha seguito la parte centrale del Festival, dedicata agli operatori teatrali giunti da tutto il paese per osservare da vicino le nuove produzioni del teatro ragazzi, soprattutto del Sud, che si è svolta da Giovedì 19 a Domenica 22 Maggio.

Partner del Festival anche quest'anno è stata la Fondazione SAT che ha connesso tra loro La Puglia con i Teatri di Bari (Kismet e Abeliano) e la Campania con le Nuvole – Casa del Contemporaneo, promuovendo lo sviluppo culturale e l’interazione di due territori, Campania e Puglia, in un’ottica di offerta culturale integrata che vada oltre il teatro e che si faccia espressione di un concetto più ampio che è quello di cultura per l’infanzia promuovendo veri e propri balconi spalancati sul cinema e la letteratura dedicati ai ragazzi.

IL Festival si è tenuto tra il teatro Abeliano,il Kismet e Circo El Grito, dove la compagnia di circo contemporaneo ha presentato la sua performance ”Spettacolare conferenza”. Al Maggio abbiamo anche rivisto “Opera Stracci” di Koreja, il divertente pastiche operistico con la regia di Enzo Toma, il progetto terminato di Scenario di Giuseppe Provinzano "1,2,3... Crisi" che interroga un pubblico di ragazzi sul tema del denaro e sulle sue storture sempre più attuali, ed è stato presentato lo spettacolo di danza ancora in via di strutturazione completa di  Equilibrio dinamico” Lo Schiaccianoci e l'impetuosa Clara ".

Ci è parsa molto interessante anche la proposta di visione del film canadese C.R.A.Z.Y. nell'ottica suggerita dal Festival di coordinare tutte le arti rivolte all'Infanzia, opera davvero intensa sul tema della ricerca della propria identità e della felicità di ogni essere umano.

Nicola Viesti ci ha accompagnato come sempre nell'impresa recensendo tre spettacoli, tra cui “ Abramo” di Ermanno Bencivenga che Teresa Ludovico, anche interpretandolo, ha splendidamente adattato per il palcoscenico, testo che, pur partendo da una storia che si perde nella notte dei tempi, è di disperante attualità ancora oggi.


Due gli spettacoli di grande risalto visti al Festival :“Ahia” di Teatro Kismet e "Caino e Abele" della Compagnia Rodisio.


“Ahia” di Teatri Di Bari su progetto  di Senza Piume teatro per una drammaturgia di Damiano Nirchio che ripete con ancora più grazia e divertimento il già notevole esito di “Dalla parte del lupo” si interroga sulla vita e sul suo senso. Sul palcoscenico è ricostruito da Bruno Soriato un fantasioso "Ufficio Nascite ", luogo dove le anime si preparano a nascere per la prima o per l’ennesima volta, in cui un impiegato Topo, seguendo le direttive del Supremo Signor Direttore, smista le nuove partenze . Ora purtroppo c'è un problema: mentre balene ed elefanti sono molto contenti di nascere, una piccola anima proprio non ne vuole sapere di venire al mondo. E' una donna anziana che non ne vuole proprio sapere di dover soffrire e proprio sin dall'inizio, non ne vuole sapere della paura del Dolore e delle piccole e grandi difficoltà: la fatica, la delusione, la paura di non farcela, la malattia.

Ha un bel dire l'impiegato, imbrogliandola, che non è vero, che avrà una vita da favola, piena di felicità, perchè lui lo sa, possedendo il libro del futuro: lei proprio non ne vuole sapere! Sarà con un sottile escamotage che la donna darà il suo consenso e leggendo proprio quel libro si accorgerà pero' che la vita che le spetta è proprio quella che lei avrebbe in qualche modo voluto avere e scoprire che, forse, come nelle fiabe, senza quegli scomodi “Ahia!” non si può costruire nessuna felicità.

Partendo ancora una volta dalle sue esperienze di operatore sociale, Damiano Nirchio mescola realtà e fantasia per costruire uno spettacolo di grande divertimento e nel contempo di forte intensità emozionale, seppur con qualche lungaggine di retorica che sicuramente andrà col tempo limata.

Uno spettacolo notevole voluto da Vito Signorile che ci ha visto giusto,  pieno di suggestioni poetiche e di riflessioni necessarie proposte con garbo ed intelligenza, in cui rimangono indimenticabili le figure della protagonista, una sempre bravissima Lucia Zotti, e soprattutto quella del Topo-Fantozzi, a cui Raffaele Scarimboli da' una credibilità assolutamente perfetta, di incantevole resa.


E' veramente incredibile come Manuela Capece e Davide Doro della Compagnia Rodisio, qui in una produzione con TAK Theater Liechtenstein, in collaborazione con Festival Resistere e Creare (Genova) /Fuori Luogo Auditorium Dialma, Ruggiero (La Spezia), riescano a creare spettacoli spesso significativi partendo da materiali e linguaggi apparentemente sempre diversi tra loro.

Ne abbiamo avuto una riconferma sul primo studio di  “Caino e Abele” visto a Bari, dove partendo da una storia comune all'immaginario di tutti, una vicenda antica come quella di Caino e Abele, Rodisio riesce a parlare agli adolescenti di oggi in modo diretto con gli stessi linguaggi che i ragazzi utilizzano.

Lo fanno soprattutto con la danza hip hop, “una danza di strada, una street dance che affonda le sue radici nella ribellione degli anni 70, che mescola stili differenti e gioca con il ritmo. L’hip hop è l’espressione libera di un corpo giovane in una strada affollata. È un modo di ballare che rompe le regole e ne inventa di nuove, è la rappresentazione di una generazione, che passo dopo passo inventa una propria vita. È una danza terrena che racconta di stimoli e sospensioni.” Caino e Abele, Florian Piovano e Luca Pozzati, sono due giovani breakers, due danzatori non professionisti, due ragazzi che sono abituati a ballare per strada. Come tutti i giovani, i nostri Caino e Abele sono forti e belli. Come tutti i giovani devono ancora imparare tutto della vita, sono pieni di entusiasmo ed energia. Guardano il mondo con occhi curiosi e braccia impazienti. Le loro gambe non si fermano mai, ascoltano tutto quello che succede, ne sentono l’energia. Sentono tutto il ritmo intorno. E con quel ritmo, con tutta la sfacciataggine che la loro età e il loro corpo possiedono narrano quella storia di sopraffazione, ma attraverso quella dell'esistenza stessa.

Come un grande computer sullo schermo appaiono grandi parole che non solo narrano la storia attraverso i suoi passaggi principali, “Inizio” “Caos” “Parlo penso amo sogno lotto combatto” “regole della natura, Vincere perdere “ “questa è la storia di due fratelli” “Liberi di Scegliere, io tu gli altri, noi” “ guardare ascoltare imparare seguire” ma che impongono le grandi domande della vita che la danza accompagna in modo mai didascalico: Scegli chi sei. Sei Buono? A chi assomigli ? A chi vuoi assomigliare? Cosa sei ? Muscoli Cuore Cervello ? Sei Istinto? Sei Ragione ? Che differenza c'è tra uomo e animale ? Sai perdere ? Quando fermarsi ?

E poi inframmezzate tantissime immagini che si esprimono in sintonia con la danza e con l'essere stesso dei due protagonisti, sono immagini di un’arte grezza e terrestre : dall’Art Brut, all’arte primitiva e aborigena, alla street art, al graffitismo americano, europeo, sudamericano, alla Pop Art. Tantissime immagini a tratti rozze e infantili, a tratti crude, ironiche e grottesche. Opere che in sintonia con le parole  e il movimento parlano della nascita, dell’uomo, del rapporto con gli altri, con il mondo animale e la natura, opere la maggior parte raccolte fuori dai musei.

La danza intanto procede: Caino e Abele si vogliono bene, perché sono fratelli e, come tutti i fratelli, giocano, combattono, si aiutano, spesso stanno da soli, ma poi si guardano, ridono e tornano vicini. Poi, come nella vita di tutti, arriva il giorno di una prova, una sfida, forse un rito che segna il loro passaggio all’età adulta.Vince Abele, Caino perde. Caino perde e non riesce ad accettare la sconfitta perché chi perde è sconfitto, chi perde è il debole, l’escluso.Caino ha paura, il suo cuore e la sua mente si confondono.E così, la prima cosa che Caino pensa è uccidere il fratello.

E lo fa compiendo un’azione violenta e irrimediabile e si dispera per sempre.

La danza esprime benissimo tutte queste componenti su un tappeto sonoro che accosta Dvorak, Schubert e Verdi a Pharrell Williams Queen Kava Carmen McRae, costruendo una specie di diario dell'anima, una catalogazione dei sentimenti che percorrono oggi l'adolescenza, sentimenti che devono essere incanalati affinchè il risultato finale come spesso oggi accade non sia la sola e unica violenza."Caino e Abele" fin da questo primo studio si configura come uno spettacolo di rara intelligenza, forza e intensità dove le nuove generazioni  possono specchiarsi riconoscendo tutte le loro caratteristiche in modo originale e assolutamente contemporaneo. 


Due gli spettacoli coraggiosi ma secondo noi non ancora pienamente risolti “ La regina delle nevi”di Armamaxa e “Diario di un brutto anatroccolo” della Compagnia Factory.

Interessante e ardita l'idea di Armamaxa di narrare con la regia di Enrico Messina “ La regina delle nevi” una delle della più conosciute fiabe di Hans Christian Andersen attraverso le musiche dei Led Zeppelin. La fiaba narra di un’amicizia, tenerissima e strettissima, tra due bambini: Gerda e Kay, il quale, irretito dalla Regina delle nevi che gli ha raggelato il cuore, è stato catapultato nel suo regno in capo al mondo. Gerda, resasi conto della “perdita” del suo caro e amato compagno , si mette in cammino per cercarlo.

Sarà un viaggio fantastico in cui la bambina incontrerà personaggi diversi, dai poteri straordinari, essendo capace di superare ogni ostacolo, attraverso situazioni imprevedibili e impreviste.

Le musiche dei Led Zeppelin accompagnano in modo congruo e intenso le atmosfere della prima parte dello spettacolo, visivamente molto curato, nella sua semplicità, con una altalena e un elegante specchio a dominare la scena e la neve di petali bianchi che la fa da padrona, inondando letteralmente il palcoscenico. Più macchinosa la seconda parte, dove il susseguirsi dei vari personaggi che Gerda trova sul suo cammino, per altro ben caratterizzati da Giuseppe Ciriciello, rendono il tutto un poco ripetitivo, frenando il ritmo del tutto e trasportando lo spettacolo verso un eccessivamente sbrigativo finale.


Diario di un brutto anatroccolodella Compagnia Factory continua, dopo una particolarissima, riuscita, versione di “ Cenerentola”, il percorso di originale attraversamento di alcune tra le fiabe più famose, operato da Tonio De Nitto, anche attraverso la danza. E quale fiaba potrebbe essere più congeniale al regista leccese per parlare del tema che gli sta a cuore della diversità/identità e dell’integrazione se non “Il Brutto anatroccolo” di Hans Cristian Andersen ?

De Nitto immagina la storia del protagonista della celebre fiaba come un vero e proprio diario, il diario di un piccolo cigno, creduto anatroccolo, che compie un vero viaggio di formazione alla ricerca di se stesso e del proprio posto nel mondo e alla scoperta della diversità come elemento qualificante e prezioso.

Ecco cosi che come sulle pagine di un diario, accompagnate da immagini significanti, si manifestano i vari passaggi dell'età, la nascita assai faticosa, il rifiuto da parte della famiglia, la scuola e il bullismo, il mondo del lavoro, l’amore che nasce e che finisce, la caccia e poi la guerra, sino al bellissimo “coup de theatre” finale, dove il nostro protagonista specchiandosi nel lago, che all'improvviso gli si manifesta davanti, scopre la propria vera identità.

Il tutto raccontato senza parole, solo attraverso il ritmo del teatro, accompagnato da qualche verso e con le musiche originali composte da Paolo Coletta che reinterpreta Tchaikovsky, ma non solo.Anche qui, ancor di più che nello spettacolo di Armamaxa, bellissima e significante tutta la prima parte, claudicante ci è invece sembrata la seconda, dove l'invenzione teatrale risulta meno potente e la coraggiosa Fancesca De Pasquale in scena con gli efficaci Ilaria Carlucci, Luca Pastore, Fabio Tinella è lasciata troppo sola a sostenere tutto il disagio di una condizione di diversità reale ed immaginata, riscattato, come detto, dal bellissimo finale.


Più composito il discorso riguardante “ Ragazzi di Via Pal “, un racconto di periferia del Crest.

Gaetano Colella in collaborazione con  Gabriele Duma che firma la regia immette il famoso capolavoro di Ferenc Molnar del 1906, attraverso un bellissimo video che fa' da contrappunto alle vicende teatrali, direttamente nella realtà giovanile di Taranto, continuando a narrare della propria città, dopo l'ottimo risultato di “ Capatosta” Come si ricorda al centro del libro di Molnar vi era uno spiazzo conteso da due diverse squadre di ragazzini, la Società dello Stucco e le Camicie Rosse. Lo spettacolo vuol parlare dunque di una città ben precisa e dei suoi ragazzi, “i piccoli cittadini che vivono all’ombra dei bisogni dei grandi che disegnano spazi a loro uso e consumo.” Sul palcoscenico dunque ritornano in chiave moderna  Boka, Gerèb, Nemecsek, Franco Atz, Fratelli Pásztor, i piccoli ungheresi che da 109 anni raccontano la loro storia, dove le Camicie rosse, diventano a suon di musica “ I Fighetti”.

Giuseppe Marzio, Andrea Santoro, Andrea Simonetti e Serena Tondo che interpreta il personaggio più indimenticabile del romanzo Ernesto (Ernő Nemecsek) si muovono in una scenografia efficace composta da pochissimi elementi. Purtroppo per lo spettacolo c'è il video di Gianni Giacovelli, molto bello che ripercorrendo le periferie urbane attraverso il Parkour, schiaccia pesantemente tutte le deboli potenzialità dell'atto teatrale, presentando una realtà per quella che è, in tutta la sua forza e non attraverso 4 attori adulti che, seppur con coerenza e partecipazione, interpretano 4 ragazzi di un tempo che non c'è più e forse anche di un teatro che non c'è più. A nostro modesto avviso avrebbe giovato allo spettacolo, forse, da fare da contraltare al video, una normale narrazione che esprimesse i due punti di vista delle squadre in campo. Ma questo è semplicemente il nostro punto di vista e va preso come tale. E forse narrare una storia entrata nell'immaginario di molti di noi in questo modo ha ancora un senso, lasciamo la risposta ai nostri 25 lettori che hanno visto lo spettacolo.


Finiamo la nostra disamina con quello che non avremmo mai e poi mai voluto vedere, la visivamente, sotto tutti gli aspetti, imbarazzante, “Alice” della Compagnia del Sole, la sgangherata “Ondina, la Sirena Bambina” di Ilaria Cangialosi e “ La Principessa Taitù “ di Vito Signorile, versione popolare de “ La Bisbetica domata” dai significati che hanno fatto inorridire, soprattutto, ma non solo, il pubblico femminile, noi avremmo invece voluto vedere con stima e partecipazione il maestro barese ( in una veste che più gli compete) nei panni di Bukowski, diretto da Licia Lanera, ma sarà per la prossima volta!


MARIO BIANCHI


IERI

di Beatrice Baruffini e Agnese Scotti, regia Beatrice Baruffini

con Simone Evangelisti e Beatrice Baruffini

Prod. Solares Fondazione delle Arti/Teatro delle Briciole


Un viaggio a ritroso nel tempo quando l'uomo è ancora al di là da venire e la terra è abitata da plotoncini di dinosauri, quando le stagioni hanno altri corsi e la vita altre regole e leggi. Quando tutto può essere più semplice ma anche maledettamente più difficile se l'unico ordine è quello dettato dal più forte. Un viaggio anche nella fantasia, un gioco alla ricerca di un mondo perduto tanto affascinante quanto più riesce a comunicare qualcosa anche al nostro presente. “Era ieri” di Beatrice Baruffini e Agnese Scotti è uno spettacolo – che vede in scena la stessa Baruffini con Simone Evangelista - di solido impianto che si svolge intorno ad un parallelepipedo che tanto somiglia ad una scrivania delle meraviglie, ad uno scrigno di magiche apparizioni, ad un vecchio baule pieno di misteri ospite fisso di ogni soffitta che si rispetti. Tutto prende avvio dal ritrovamento di un osso che non si riesce a collocare nello scheletro giusto, una specie di scarpetta di Cenerentola che trova il suo piede nei resti di dinosauro. Da quel momento in poi il passato torna a rivivere grazie alle avventure di una simpatica famigliola di rettili di centinaia di milioni di anni fa con i suoi problemi e le sue piccole felicità. Un mondo enorme rappresentato in scala infinitamente piccola, e quindi a portata di bambino, ma non per questo meno ricco di dettagli e di curiosità. “Era ieri” coniuga, in maniera simpatica e leggera, la necessità del sapere alla duttilità del gioco scenico con le tante sorprese che sa riservarci, non ultima quella della presenza di interpreti efficaci nel creare un doppio livello di rappresentazione : non solo burattinai di un universo perduto ma essi stessi personaggi a tutto tondo con propri ritmi e gags.


CIP CIP BAU BAU

progetto a cura di Antonella Caruzzi, regia Roberto Piaggio

con Loris Dogana, scene e oggetti Elisa Iacuzzo

prod. CTA Centro Teatro Animazione Figure


Il figlio di un ricco mercante riesce a capire il linguaggio degli animali e il suo studio, invece di orientarsi sul mestiere di vendere le merci, si concentra sulla possibilità di dialogare con le bestie. Il padre un po' riesce a contenere la sua rabbia poi decide di sbarazzarsi di un tale figlio. Il ragazzo però riesce a salvarsi – nelle fiabe sembra quasi normale per un padre ordinare di uccidere un figlio - e inizia una vita di avventure, alcune anche molto pericolose, dalle quali uscirà vincitore grazie alle provvidenziali “soffiate” di uccelli, cani ed asini. Sino ad arrivare in piazza San Pietro in subbuglio per l'elezione di un nuovo papa che sarà colui sul cui capo si poserà una colomba. Indovinate su che testa planerà l'uccello? Grandi feste per il giovane pontefice e grandi feste riceverà il nostro eroe anche dal genitore che, in piazza per l'evento, vedrà la propria prole assurgere ad un ruolo così importante ed ad un “impiego” così remunerativo. “Cip cip bau bau” è tratto da una fiaba dei fratelli Grimm che è stata accolta anche da Italo Calvino nella sua rilettura delle fiabe popolari italiane. E' un delizioso racconto che coniuga soavemente le meraviglie della tradizione ad una certa perfidia che, trattandosi appunto di una fiaba, non guasta mai. L'idea portante dello spettacolo è la creazione di un microscopico universo concentrato in tre torri dalle quali si aprono finestre, case di bambola a contenere personaggi e avventure. Un espediente non solo visivamente intrigante ma anche narrativamente efficace a calamitare in ogni momento l'attenzione dei piccoli spettatori. Il resto lo fa il narratore, Loris Dogana, impegnato a tratti con veemenza, altre volte opportunamente svagato, altre ancora partecipe e complice del racconto e del suo pubblico bambino.


ABRAMO

di Ermanno Bencivenga. Adattamento e regia Teresa Ludovico

spazio scenico e luci Vincent Longuemare, costumi Cristina Bari

con Augusto Masiello, Teresa Ludovico, Cristian Di Domenico, Michele Altamura, Gabriele Paolocà, Domenico Indiveri

prod.Teatri di Bari



La prima produzione dei nascenti Teatri di Bari è all'insegna dell'impegno e di una problematica contemporaneità. “Abramo”, il testo del filosofo Ermanno Bencivenga, tenta di ristabilire i canoni della tragedia classica intorno ad una figura di padre che giunge a noi dal racconto biblico ma si schianta nell'impatto con il presente in un cortocircuito in cui fede e giustizia, amore e dovere, umano e divino, gioventù e vecchiaia si confrontano e nello stesso tempo si negano vicendevolmente diventando ognuno il fantasma dell'altro al cospetto del potere. Una drammaturgia non facile che Teresa Ludovico – che ha curato l'adattamento e la regia della messa in scena – ha ritenuto opportuno riportare ad una sintesi che ne esalta il significato caricandolo di ulteriore inquietudine. Una lettura che lascia intatte parole e senso ma filtra la visione secondo una lezione pasoliniana che si dimostra non solo di grande fascino ma anche la via maestra per rendere una palpabile complessità. La Ludovico fa di “Abramo” un dramma da camera immerso nella claustrofobica e bianca scena di Vincent Longuemare , a cui si devono anche le meravigliose luci. Il tinello di una casa dalle pareti permeabili ad ogni sguardo che si aprono ad accogliere i viandanti che portano ad Abramo il volere del Signore che impone il sacrificio di Isacco, unico figlio di Sara, moglie legittima. Sappiamo dai testi sacri che il sacrificio avverrà e Abramo sarà ancora più caro al Signore. Ma il volere dell'Eterno era proprio quello ? Il sacrificio è veramente avvenuto ? Ed Isacco torna o è il suo fantasma ad apparire a Sara, pazza di dolore ? Nulla è più certo se non la rovina, l'annientamento delle anime e dei corpi e, all'orizzonte, bagliori di guerra, una lotta fratricida che farà sgorgare fiumi di sangue da uno stesso popolo mentre la casa del patriarca di riempie di pelli d'agnello schizzate di rosso. Messa in scena bellissima, compatta ed emozionante, con un cast all'altezza dell' arduo compito capeggiato dalla stessa regista.

NICOLA VIESTI









Stampa pagina 


Torna alla lista