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Eolo
recensioni
LE RECENSIONI DEL FESTIVAL DI VIMERCATE
Mario Bianchi con lo sguardo dei giovani Nella Califano e Giulio Bellotto ci parla del Festival



Dal 5 al 7 Giugno a Vimercate, organizzata dalla cooperativa Tangram,
si è svolta la ventiquattresima edizione del festival di Teatro ragazzi : “Una città per gioco”, come già per “Segnali”, sostenuto economicamente da nessun Ente pubblico, ma solo dalla cooperativa organizzatrice e dalle 15 compagnie in campo, scelte attraverso un bando. Il significativo sottotitolo “Nutri la mente”, proposto alla manifestazione in occasione di Expo, ha caratterizzato questa buona edizione della storica manifestazione con almeno tre spettacoli di assoluto valore e un grappolo di altre produzioni, degne di esere programmate e che ha visto arrivare nella cittadina lombarda un folto numero di organizzatori proveniente da tutta Italia.

La composizione di gran parte degli spettacoli di questa edizione del Festival, dedicati alle fiabe, ci consente di fare un excursus  di come il teatro ragazzi italiano mette in scena questa particolarissima forma di racconto, ancora e di frequente, perchè, come si sa, per sua natura, la fiaba consenta di trasmettere anche oggi significati importanti e sentimenti fondamentali per la crescita dell'essere umano. Ben 6 gli spettacoli che, in modi spesso assai diversificati tra loro, hanno posto il loro accento sulle fiabe che anche, come si sa, è un genere amato dalle maestre e dagli organizzatori di rassegne domenicali. Come di consueto poi la manifestazione è terminata con uno spettacolo entrato nella storia del teatro ragazzi, questa volta è toccato a Abbderahim El Hadiri che ha presentato il suo storico HEINA E IL GHUL.

Bernardino Bonzani e Monica Morini, dell'emiliano Teatro dell'Orsa, impegnati a tutto campo da diversi anni soprattutto sul fronte della narrazione, mettono in scena, questa volta, uno spettacolo, utilizzando nel contempo attori e burattini, questi ultimi ispirati all'illustratrice Rébecca Dautremer. Bonzani, in scena con Franco Tanzi, utilizzando una specie di armadio incantato in cui abitano i principali personaggi della storia, e da cui escono piccole meraviglie, narra, scambiandosi le parole del racconto, la celebre storia dei 7 fratelli, abbandonati nel bosco a causa della grande privazione. Tutto è porto con garbo e partecipazione, anche se il gioco della reiterazione proprio della fiaba, imbroglia a volte il fluire degli avvenimenti che rischiano in questo modo una certa meccanicità.

Anche in “Hansel e Gretel”, della Compagnia ferrarese Baule Volante, scritto e realizzato con Roberto Anglisani, una delle creazioni più convincenti viste al festival, al centro della storia vi è la grande privazione, la fame, che fin dall'inizio attanaglia tutti i personaggi ed in tal senso li costringe a muoversi. Ed è per questa ragione che, seppure a malincuore, i genitori decidono di abbandonare nel bosco i due fratelli, resi celebri dai Grimm.Lo spettacolo procede in maniera semplice e lineare, accomunando in modo perfetto tutte le possibilità che la narrazione possiede, sviscerando nel contempo i sentimenti che ogni personaggio contiene, attraverso una teatralità che si nutre di pochissimi gesti, di pochissimi elementi al di fuori delle parole, eppure di forte presenza teatrale, se si eccettua un uso significante delle luci, dove i due interpreti si intersecano per restituire tutti i significati che la fiaba porge ai piccoli spettatori, anche utilizzando suggestioni contemporanee sulle musiche originali di Stefano Sardi. Così, alla fine, realisticamente, anche gli adulti, contrariamente alla classicità della fiaba, vengono entrambi perdonati, in quanto mossi da ragioni così forti che non possono essere negate.(PER UN APPROFONDIMENTO DELLO SPETTACOLO SI PUò VEDERE LA VIDEO INTERVISTA AL REGISTA E AGLI INTERPRETI DELLO SPETTACOLO)

Luca Radaelli, di Teatro Invito, sceglie invece in “Cenerentola Folk” per narrare un'altra celeberrima storia, il teatro canzone, sostenuto con perizia ironica da Stefano Bresciani e Valerio Maffioletti.I nostri due provetti cantattori, muniti dell'inseparabile chitarra, sono un ciabattino ed un sarto, alle prese con gli abiti da far indossare ai personaggi femminili della fiaba, che partecipano in carne ossa e movenze a questa vera e propria festa musicale offerta ai ragazzi. Sono infatti essi stessi ad interpretarli adattando alle loro specifiche situazioni melodie che si rifanno a canzoni e ritmi conosciuti. Così la fiaba, in modo giocoso e partecipato anche dal pubblico, risuona dei canti delle mondine, delle vecchie canzoni di balera, ma non mancano né “L'internazionale” né “Bandiera rossa” a significare la riscossa dei personaggi più vilipesi della fiaba.

In tutt'altro contesto in" Le Favole della saggezza"  Giovanna Facciolo allestisce per i Teatrini alcune delle più celebri favole di Esopo, Fedro e La Fontaine, lo fa con con la consueta leggerezza e poesia, utilizzando la grazia e la presenza scenica di Adele Amato de Serpis e Melania Balsamo, con le percussioni dal vivo di Pasquale Benincasa che danno il ritmo a tutto il contesto. Aiutate dalle bellissime maschere create da Marco di Napoli e anche dall'intervento del pubblico le due interpreti restituiscono agli spettatori le morali delle storie dei tre famosi favolisti. Ci piacerebbe forse qualche distonia maggiore che donasse alla creazione qualche momento di più forte contrasto non solo verbale, per uno spettacolo pensato anche per essere giocosamenterappresentato anche all'aperto.

“Biancaneve, una storia di nani e vanità” del Melarancio, proposta attraverso il teatro di figura e quello di attore, dove i nani, invece che nella consueta casina, accolgono Biancaneve in un circo dove ognuno di loro si produce in un numero diverso, ci sembra invece ancora troppo ardito per le fragili competenze dei due interpreti Jacopo Fantini e Claudia Ferrari, nonostante le difficili situazioni del contesto in cui hanno agito. Ma lo spettacolo è ancora all'inizio del suo percorso e speriamo che abbia ancora margini per essere ricondotto sulla giusta via.

I calabresi di Teatrop invece costruiscono la famosa storia dell'uomo che con il suo un piffero disinfesta dai topi, incantati dalla sua musica che si mettono a seguirlo, liberando la città di Hamelin, ma che non pagato nello stesso modo conduce via tutti i bambini della città, attraverso le ingeniose immagini in "sand art", disegnate dal vivo da Greta Belometti e le musiche proposte in diretta da Fabio Tropea. Pier Paolo Bonaccurso narra in sintonia con i compagni di palcoscenico tutte le avventure costruendo uno spettacolo divertente e ben congegnato.

l Teatro ragazzi ci aveva già regalato due spettacoli di grande qualità sul tema, in questi anni molto sentito, del bullismo : “ Io me ne frego” della compagnia milanese Quelli di Grock e soprattutto “ Branco di scuola “ di Guido Castiglia di Nonsoloteatro, ambedue dedicati ai ragazzi più grandi, dove questo molesto fenomeno ha preso piede in modo preoccupante. Questa volta è Pino di Bello di Anfiteatro a toccare con grande sensibilità il tema, dedicandolo ai bambini più piccoli, offrendogli anche altri significati che vanno ben al di là del tema proposto. Lo spettacolo “ Un dito contro i Bulli” infatti, che trae ispirazione da “Il dito magico” di Roald Dahl, è il primo capitolo di un progetto intitolato “Piccole metamorfosi” che intende portare i giovani spettatori, attraverso la trasformazione dei personaggi narrati in altro da sé, a riflettere sui propri sentimenti e comportamenti e sull’importanza delle ragioni altrui.Lo spettacolo visto al festival, interpretato da una bravissima Naya Dedemailan con le musiche in scena ed il controcampo di Luca Visconti, narra di una bambina che possiede un involontario, ma straordinario potere, che si concentra tutto nel suo dito indice, che punta contro le persone che la fanno arrabbiare. trasformandole in personaggi repellenti.
È un dono che la bambina ha sin dalla nascita e che non riesce in nessun modo a controllare : Se assiste ad ingiustizie o ne è lei stessa vittima, oplà, il suo dito magico colpisce, con conseguenze sempre imprevedibili: Ora con il prepotente fratello ora con un amico troppo invadente o persino con una maestra troppo puntigliosa. Piccola e gracile come è, addirittura, si inventa un improbabile costume ed una maschera, proprio come gli eroi che popolano la sua e la fantasia di tutti i bambini.Ora che possiede tutto quello che è necessario per compiere un' impresa più grande, quella del secolo , ne manca solo l'occasione. Ed essa si presenta immancabilmente davanti a lei quando , Leopoldo un compagno di scuola viziato e bulletto, che spadroneggia nella classe, aiutato nell'impresa da due suoi mastini, umilia ancora una volta il pacifico e sprovveduto Pippo che poverino, ha sempre usato nella vita invece armi assai spuntate per difendersi. Prima la nostra eroina spiega a Pippo che il compagno tanto temuto, non è altro che un ragazzo come lui, con le stesse esigenze e paure (ed è per questo che la stanza di Leopoldo vista per caso durante una festa ha gli stessi giocattoli e manifesti delle loro) , poi all'ennesimo sopruso, ecco che la vendetta si compie. Ma non è una vendetta fatta come al solito di piccola violenza, la trasformazione si presenta infatti in modo più profondo, come presa di coscienza da parte sia di Pippo, sia di Leopoldo, sia soprattutto di Anna, che non c'è dito che tenga ma sono solo il rispetto e la comprensione reciproca che possono sconfiggere la prepotenza.
La narrazione di Naya Dedemailan, intrisa di ironia e di commozione, restituisce appieno tutte le metamorfosi visive ed emozionali che tutti i personaggi possiedono, entrando direttamente nel vissuto dei piccoli spettatori, mettendoli davanti con semplicità ed immediatezza a alle numerose implicazioni che lo spettacolo, man mano, dissemina sui suoi passi.
MARIO BIANCHI

Un anatroccolo in cucina – Eccentrici Dadarò
Cosa succede quando una fiaba di Andersen e il cinema muto degli anni '20 si incontrano...in una cucina!? Gli Eccentrici Dadarò con la regia di Dadde Visconti, innanzitutto, mettono alla prova i nostri occhi “moderni” attraverso la proiezione di una serie di sketch: le comiche ci fanno ancora ridere? Davanti al genio di Charlie Chaplin la risposta non può che arrivare immediata! È in quel momento che entra in scena il nostro maldestro anatroccolo, che subito si relaziona perfettamente con la musica dal vivo di Luca Rampini. Il rimando al piccolo protagonista della fiaba di Andersen è evidente: l'attore provoca in noi una tenerezza infinita, come un bambino che si dia da fare per dimostrare che sta crescendo, che è pronto per entrare nel mondo degli adulti. Simone Lombardelli, che veste i panni di un lavapiatti, utilizza il corpo con una consapevolezza e un'abilità magistrali, mette la sua fisicità al servizio della pantomima e si esibisce in gag clownesche perfettamente strutturate che, insieme alle espressioni facciali giuste, rendono ogni situazione esilarante! Nonostante la sua goffaggine, e forse proprio grazie ad essa, l'attore rivela una delicatezza che incanta: prepara discutibilissime ricette e crea disastri di ogni genere, ma ogni volta che esce fuori dalla cucina per servire gli ospiti che, accomodati nella sala accanto, festeggiano allegramente, mette nel taschino di una giacca troppo corta un fiore sempre più grande, come per accrescere un'autostima che non ha, come sperando che possa essere finalmente notato. Ma non succede. E allora quella cucina diventa un luogo magico, protetto, in cui accade tutto ciò che gli altri non possono e non vogliono vedere, in cui gli oggetti prendono vita e raccontano, con la voce di Rossella Rapisarda, alcuni momenti della fiaba di Andersen, in cui, creando una poetica sospensione, volteggiano leggere bolle di sapone, in netto contrasto con la maldestra fisicità del nostro anatroccolo, ma perfettamente in armonia con quella sensibilità che lo fa sentire triste, diverso, emarginato, come quell'unica tazzina nera che gli pende sopra la testa. Delicatezza, comicità, eccellenza fisica e la profondità di una fiaba che dimostra come un brutto anatroccolo si possa scoprire cigno. E il nostro lavapiatti, dopo averci regalato una poetica melodia di cristalli, esce di scena con un grande applauso e facendo mostra di lucide piume bianche si riscatta.

Tre storie selvatiche – La vecchia sirena
Per raccontare “Tre storie selvatiche” il duo Covelli-Russo de "La vecchia sirena" parte dalle origini del mondo, quando un mucchietto di terra, un arachide e un nocciolo di prugna si incontrano e generano gli alberi. Il mondo non è forse un grande giardino di cui prendersi cura? Ma come fare? I due attori, non a caso presentati come l'uomo-radice e la donna-radice, non ce lo insegnano, piuttosto ce lo suggeriscono, stimolando quella parte istintiva che ci connette profondamente alla natura. Lo spettacolo, accompagnato dai clarinetti e dal sax di Guido Bombardieri, si svolge dentro e intorno ad un cerchio, che subito richiama la ciclicità immutabile e rassicurante della natura, e nel quale gli attori cercano di portare lo spettatore, facendolo sentire parte di quel pezzetto di mondo. E allora rovesciano un secchio di terra e ci infilano dentro un seme, prendono un cesto pieno di verdura e la distribuiscono agli spettatori, che la custodiscono fino alla fine dello spettacolo, cosicché mentre annusano parole che profumano di bosco, e di orto e di alberi, tengono accanto a sé i frutti di quel giardino-mondo di cui stanno imparando, forse, a prendersi cura nel modo più antico possibile: ascoltando storie. Nuoce un poco alla potenza dello spettacolo, la ristrettezza dello spazio chiuso che secondo noi verrebbe maggiormente amplificata in uno spazio aperto, in rapporto diretto con la natura. Gli attori si servono, infatti, di movimenti molti ampi e spesso portano la voce al massimo dell'estensione: tutto questo, in uno spazio troppo piccolo, rischia di procurare un leggero effetto di spaesamento. Nonostante ciò Barbara Covelli e Antonio Russo costruiscono un interessante trittico di storie, raccontate con grande ironia e comicità attraverso un'abile e simpatica caratterizzazione dei personaggi, soprattutto da parte di Barbara Covelli, che passa dall'umanizzazione di un seme ai personaggi della fiaba classica. Le storie, forse, se meglio separate le une dalle altre, concederebbero il tempo di gustare una narrazione che, sebbene in alcuni momenti un po' monocorde, risulta molto sentita e nella quale si palesa il coinvolgimento degli attori in un progetto dal grande valore educativo. Ciò che è da apprezzare in questo spettacolo, infatti, è senz'altro la delicatezza con la quale si cerca di ricondurre il piccolo spettatore in mezzo alla natura di cui è parte, e nel ricordargli da dove viene se ne svela l'essenza, affinché si prenda la responsabilità della sua missione: “un bambino-radice che si prende cura di un pezzetto di mondo”.
NELLA CALIFANO

Virgilio è ballabile – Teatro in-folio
Lo spettacolo “Virgilio è ballabile” di Teatro in-folio svela già nel sottotitolo le sue grandi aspirazioni: storia e letteratura dell'antica Roma in musica. E, infatti, Luca Maciacchini, colto e garbato musicista, imbraccia la chitarra e diventa cronista della latinità, regalandoci un'opera in musica mastodontica ma entusiasmante. Non che ci si potesse aspettare di meno da uno spettacolo abbastanza ambizioso da proporsi come versione canora degli Annales, un filone di letteratura storiografica con cui si confrontarono tra gli altri Tacito ed Ennio. In entrambi i casi i risultati furono opere somme, ma anche la scommessa di Maciacchini e della regista Michela Marelli è senza dubbio una vittoria di levitas e concinnitas. E ricorda in questo senso il celebre e appassionato volume Storia di Roma di Montanelli. Il calibratissimo ritmo dello spettacolo riesce infatti ad affascinare e coinvolgere, anche grazie a scelte musicali d'eccezione che richiamano alla memoria i fasti degli anni '70: l'epoca del teatro canzone. E così il lungo e preciso racconto della storia di Roma, dalla fondazione alla caduta dell'impero, è intervallato da molti dei brani contenuti in Sexus et politica, scanzonato album di Giorgio Gaber e Virgilio Savona, già leader del celebre Quartetto Cetra. Antichità e contemporaneo si incontrano, pare: il più longevo impero della storia dell'Occidente cantato dal più duraturo quartetto musicale italiano! In apertura dello spettacolo, invece, Rosa di Jacques Brel e in chiusura non poteva mancare il pezzo che da il titolo allo spettacolo: Virgilio è ballabile di Franz di Ciocco, leader della Pfm.
L'esibizione di Maciacchini non pretende di provocare particolari e profonde riflessioni, ma si configura piuttosto come un vero e proprio virtuosismo: in una sola ora e attraverso una narrazione precisa, pulita ed eccellentemente strutturata, non soltanto racconta un lunghissimo periodo storico, ma riesce a farlo affascinando con la sua fisicità spigliata ed una simpatia ammaliante un pubblico che, quando, inevitabilmente, perde il filo del racconto, riesce comunque a godere della narrazione fino alla fine. Un intrattenimento che non si ferma di fronte allo smarrimento degli spettatori, che, infatti, nella palestra dello Sbaraglio di Vimercate si è divertito di gusto.
NELLA CALIFANO E GIULIO BELLOTTO


Rosa dei venti Tangram
Molière disse una volta che tutti i mali del mondo sono nati semplicemente dalla mancanza di abilità nella danza. Talvolta si sbaglia anche Molière.
“Rosa dei venti”, antica produzione della Coopertativa Tangram che fa parte di un quartetto di produzioni dedicata agli elementi, aria, acqua, terra fuoco, , ne è la prova. In questo spettacolo aereo ma per nulla rarefatto si danza con gran perizia, eppure nulla va per il verso giusto. Siamo nel palazzo di Eolo, dio dei venti, che vecchio e stanco non riesce più a fare il suo lavoro come una volta; tra le brezze regna il caos più assoluto e così finisce che le margherite si mettono a fiorire in pieno inverno. E Rosaven, la nipote di Eolo, non sembra in grado di rimediare a questa confusione. In compenso, bisogna dirlo, balla in modo sublime; non per nulla, il suo corpo è fatto d’aria – come quello delle ballerine di classica, si dice…
Così a partire da una delicata coreografia, supervisionata da Laura Fiora e interpretata dalla giovanissima danzatrice classica Marialuna Tremolada, lo spettacolo si arricchisce di tutta la portata recitativa di Luigi Zanin, perfetto per il ruolo di un Eolo simpatico e pasticcione.
L’incanto e la meraviglia che scaturiscono da quest’incontro creano un atmosfera fatata degna delle più classiche favole per bambini, nella cui messa in scena naturalmente non può mancare l’elemento più tradizionale: i pupazzi, che in questo caso interpretano i venti Bora e Tramontana e vengono fatti fluttuare per tutto il palco con gran spasso dei piccoli spettatori. Anche il testo, scritto dalla regista Miriam Alda Rovelli, concorre a questo clima incantato con piccoli calembour e giochi di parole semplici quanto divertenti. E come di regola, prima che la situazione venga risolta, ecco che si disvela il vero problema: la stupidità dell’uomo che inquina (letteralmente) questo quadro idilliaco coi fumi di scarico che avvelenano l’aria, portando in scena impegnative tematiche ambientali con leggerezza e garbo.

Il paese senza parole Rosso teatro Atelier Teatro Danza
Lo spettacolo  “Il paese senza parole”, di Rosso Teatro, realizzato sulla drammaturgia di Roberto Anglisani (che firma anche la regia), Marianna Batelli e Alessandro Rossi, dove gli ultimi due sono anche interpreti della commovente storia che si svolge in scena, sono tratti da due libri assai diversi tra loro  “La grande fabbrica delle parole” di Agnes  de  Lestrade e “I  fantastici   libri  volanti  di  Mr.  Morris  Lessmore”  di  William  Joyce, scrittore e illustratore di grande ed efficace rilevanza.
Nello spettacolo , Philèas ama Cybelle, ma non può dirglielo, perché nel paese dove vivono i due bambini le parole vanno comprate e Philèas non ha abbastanza soldi nel salvadanaio per una frase importante come “ti amo”. Allora è costretto a rubare qualche parola al vento, una parola speciale gliela regala un venditore di lettere; in questo modo riesce finalmente a conquistare Cybelle.  Nella seconda parte della storia portata in scena, dove la fonte letteraria cambia, il rapporto tra Philèas e Cybelle, separata dal suo amore da un destino crudele, viene raccontato attraverso l' amore  per la lettura di Phileas, che gli fa sentire vicina la sua amata. 
Ecco, secondo noi, lo spettacolo ancora alle prime repliche, non è ancora riuscito ad amalgamare bene le due parti.
Se infatti la teatralizzazione de“La grande fabbrica delle parole”, vincitore tra l'altro di numerosi premi e tradotto in 12 lingue, è pienamente riuscita per ritmo e intensità della vicenda, tanto che da un indubbio capolavoro letterario si è ottenuto un piccolo capolavoro teatrale, sostenuto da un’interpretazione misurata e convincente, a cavallo tra la danza e il teatro di narrazione, la seconda parte dello spettacolo ci convince meno, forse perché non, per ora, opportunamente introdotta e collegata alla precedente.
Funzionali e ben congeniati ci sono sembrati comunque  l' utilizzo dello spazio e delle scenografie - composte principalmente da una semplice e ben sfruttata panchina rossa – e  le musiche originali composte da Marcello Batelli che si sposano efficacemente alle atmosfere evocate dalla piece.( Un salto comunque notevole rispetto al precedente spettacolo di questa giovane compagnia che non ci aveva convinto ndr) .

Rossowilde COMTEATRO
Qualche riflessione ci ha posto la visione di questo spettacolo dedicato al “Ritratto di Dorian Gray”,  il capolavoro letterario di Oscar Wilde. Tutto infatti è posto con garbo e perizia teatrale: Davide del Grosso, attore dialogante col pubblico, si è preparato studiando il romanzo e proponendolo in modo assolutamente esaustivo al pubblico.  E nulla ci pare fuorviante nella decisione del regista Claudio Orlandini di esporre pubblicamente in scena le prove di questa preparazione, un rotolo di appunti scritti a schema su fogli A4 . Chiaramente nulla che sia emendabile nel romanzo da cui è tratto lo spettacolo, rivolto a ragazzi delle medie e dei primi anni del liceo. Infine, nulla che non vada nell’interpretazione, nella drammaturgia, nelle luci, nella musica o in qualsiasi altro aspetto dello spettacolo, che è tecnicamente ben condotto in ogni sua parte. Ci pare però che tutto sia troppo spiegato, lasciando troppa poca libertà al giudizio e all'immagina zione dello spettatore, travolto come è dal fiume di parole che si trova davanti.
Queste sono le domande che almeno noi ci siamo posti dopo aver assistito a questo bignami teatrale in cui vengono spiegati per filo e per segno tutti i 20 capitoli dell’opera di Wilde, preceduti da uno scanzonato cappello introduttivo sull’autore. Il paradosso è trovarsi di fronte ad un precisissimo studio sul testo, ottimo punto di partenza per una messa in scena, che poteva, almeno per noi, essere foriera di riflessioni forse più suggestive e contempranee, più legate al pubblico per cui è destinato.   

Storia di un bambino e di un pinguino TEATRO DEL TELAIO
Si dice che le cose semplici sono le migliori, ma è altrettanto vero che spesso la semplicità è meno semplice di quello che appare.
E’ questo il caso di “Storia di un bambino e di un pinguino”, una buffa favola moderna che parla di mondi sconosciuti che si incontrano e imparano man mano a comunicare e a comprendere ciò che è altro da se’. Si tratta di un dialogo, ma senza parole.
Solo le musiche ( azzeccatissima La Mer di Trenet) accompagnano la fisicità dello spettacolo, che si sviluppa con una naturalezza  considerando la complessità del movimento scenico. Esemplare in questo senso è la scenografia, che si compone di moduli assemblabili: da un libro, una barca; da un ombrello, dieci; da una finestra, l’apertura di un igloo da cui emerge un pinguino.
Un pinguino nella mia stanza? Il bambino se lo prenderà tanto a cuore da riportarlo fino al polo sud, prima di accorgersi che l’unica cosa che il suo amico voleva era stare con lui. Che poi, in fondo, era la stessa cosa che voleva anche il bambino.
Una composizione attentamente studiata dal regista Angelo Facchetti  che diverte, commuove, sorprende sempre piacevolmente, tra gesti che restano incomprensibili ma sono così necessari e piccole gag surreali che preludono a infiniti fraintendimenti ma non si lasciano mai prevedere, Michele Feltrami e Paola Cannizzaro danno vita ad un cosmo molto caotico. O meglio, ad un mondo che segue le sue regole: quelle del teatro, di cui questo spettacolo dovrebbe diventare norma ed esempio imprescindibile.
 GIULIO BELLOTTO





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