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Eolo
recensioni
Dossier Segnali
I CONTRIBUTI DI MARIO BIANCHI, ELENA MAESTRI, RICCARDO COLOMBINI, ALICE GRATI, LUCIA MENEGAZZO, GIORDANO SANGIOVANNI.

Anche quest’anno il Teatro del Buratto ed Elsinor  hanno regalato al teatro ragazzi italiano, col proprio unico contributo e con l'aiuto delle Compagnie selezionate e invitate, che hanno aderito investendo il proprio impegno gratuitamente, una nuova edizione di SEGNALI che si è svolta a Milano  dal 7 al 9 maggio 2014.
La storica manifestazione lombarda ha visto quest'anno un grande cambiamento, infatti Marina Lucchetta, ( a cui facciamo moltissimi auguri per il suo nuovo lavoro all'Agis ) che per diversi anni ha condiviso con Stefano Braschi la direzione del Festival, è stata sostituita da Renata Coluccini.
Altra novità, quest'anno la programmazione degli spettacoli è stata preceduta da un momento di riflessione e approfondimento con una Tavola Rotonda su “Le prospettive del teatro per l’infanzia e la gioventù nella relazione tra Istituzioni, Enti e produttori” coordinata da Giordano San Giovanni  dei cui esiti ci parlerà più avanti.

 
Il Festival si è svolto come di consueto in  quattro sale teatrali (Teatro Verdi, Sala Fontana, Teatro Leonardo da Vinci a Milano e Bì la fabbrica del gioco e delle arti a Cormano) in un cartellone di 11 spettacoli che hanno proposto tutti i diversi linguaggi espressivi del teatro (interattivo, di figura, d’attore e teatro danza).
Anche in questa edizione è avvenuta la tradizionale consegna degli EOLO AWARDS - dedicati a Manuela Fralleone - organizzati dalla nostra  rivista che sono stati consegnati Giovedi' 8 Maggio alla Sala Fontana, dopo la quale è stato programmato  “Grimm. I guardiani del Pozzo” della compagnia Riserva Canini , premiata come compagnia emergente  del  teatro di figura , spettacolo che abbiamo già recensito in occasione del Festival di Giallomare a Castelfiorentino ( come anche “Bleu “del TPO già visto e recensito in quella sede)
La serata dell'8 maggio si è conclusa con la rappresentazione della  mitica creazione di Silvano Antonelli “Perchè” giunta al suo ventesimo anno di programmazione di cui ci parlerà Riccardo Colombini, giovane regista della compagnia Schedia teatro, in un confronto di sguardi di generazioni diverse. La manifestazione si è conclusa con"Fuori Misura" il rimarchevole spettacolo dei milanesi QDG di cui abbiamo già parlato diffusamente l'anno scorso a proposito del Festival di Vimercate dove era stato  già presentato con ottimo successo.  
Inoltre, novità di questa edizione è stato il progetto “La formazione dello sguardo “ una  iniziativa che ci vede protagonisti e riguardante la  visione critica dello spettacolo : un osservatorio critico giovane,infatti, formato da  due allieve dei corsi di regia e drammaturgia della Scuola Civica di Teatro Paolo Grassi, Lucia Menegazzo e Alice Grati che hanno seguito tutti gli spettacoli del Festival cercando di mettere a fuoco un “personale sguardo critico” che troverete in coda alle nostre  recensioni. Le due ragazze continueranno le loro visioni anche per il Festival di Vimercate.

In generale di discreta consistenza il livello degli spettacoli a cui abbiamo assistito.Il momento più emozionante del Festival è stato l'incontro durante gli "EOLO AWARDS" tra Argia Laurini Carrara premiata per la sua eccezionale carriera nell'ambito della commedia dell'arte e Ferruccio Soleri, storico Arlecchino di Strehler nei mitici spettacoli del Piccolo Teatro che le ha consegnato l'ambito riconoscimento .


Incominciamo da una conferma di eccellenza. Il Festival ha infatti presentato una nuova creazione di Fabrizio Montecchi di Teatro Gioco Vita, compagnia che come sappiamo rappresenta in Italia, ma non solo, uno dei momenti più alti del teatro di figura e specificatamente di quello d'ombre.
Dopo il meraviglioso “ Piccolo Asmodeo”  tratto da  Ulf Stark,  la scelta di  mettere in scena un nuovo testo, corredato da immagini a cui fare riferimento, è caduta su “Il Cielo degli Orsi”  ricavato dall’opera di Dolf Verroen & Wolf Erlbruch.
In scena Deniz Azhar Azari e Andrea Coppone, con le sagome di Federica Ferrari e Nicoletta Garioni (tratte dai disegni di Wolf Erlbruch), narrano con perizia due storie che hanno come protagonista una famiglia di orsi, due storie che parlano in modo poetico di nascita e di morte.
La prima  racconta di un orso che si mette a pensare di come sarebbe bello essere un papà, ma non sapendolo lo chiede quindi di volta in volta ad animali sempre diversi, scoprendolo, solo alla fine, piacevolmente ovviamente da un'orsa , la seconda narra di un piccolo orso che vorrebbe andare nel paradiso popolato dai suoi simili, scoprendolo, anche qui piacevolmente, nelle rassicuranti certezze dagli affetti familiari e nelle meraviglie  della terra in cui vive .
Ancora una volta una creazione di Teatro Gioco Vita  si manifesta come uno spettacolo di meravigliosa  poetica fattura, corredato dalle funzionali coreografie concepite da Valerio Longo e realizzate dai due bravi e giovani interpreti che integrano, nel complesso felicemente, la ripetitività delle situazioni proposte.
Uno spettacolo dove la meraviglia delle immagini si sposa ancora una volta con un viaggio di formazione, caratteristica precipua della compagnia piacentina.
 
Sfida invece, a nostro modo di vedere, persa già in partenza è stata quella  del CSS di Udine che in “Topochef “ ha inteso misurarsi  con uno dei capolavori del cinema di animazione “Ratatouille”, uscito con grandissimo successo nel  2007, realizzato in grafica computerizzata dalla Pixar.
Infatti lo spettacolo ci mostra inesorabilmente come le armi del teatro, se usate nella semplice riproduzione mimetica di una storia cinematografica,  siano infinitamente meno convincenti, se non spuntate, rispetto a quelle della settima arte.  
Infatti lo spettacolo si fa amare quanto più se ne discosta (purtroppo assai raramente)  e nonostante la grande energia (forse fin troppa) profusa dagli interpreti,  Manuel Buttus, Giorgio Monte e Roberta Colacino, riesce poco a coinvolgere i 60 spettatori che, seduti intorno a un grande tavolo da pranzo, animato da immagini video, seguono  da vicino le avventure del famoso topino che diventa chef e del burbero grande cuoco Leccabaffi.

Due gli spettacoli di danza presenti a Segnali: “BiancaNera” di Maria Ellero e “Neverland” di Elsinor.
Maria Ellero, una delle poche artiste che utilizza la danza per parlare ai bambini, ha presentato “BiancaNera “, azione poetica per due danzatrici con in scena  Bintou Ouattara e Alice Ruggero, significativamente, una danzatrice nera e una bianca che ballano e recitano su musiche originali composte ed eseguite da Dialy Mady Sissoko kora.
Lo spettacolo  è  una creazione che intende utilizzare la danza in chiave di integrazione e di abitudine alle differenze, il bianco e il nero in scena si attraggono e si azzuffano attraverso , sapori, forme, musiche, fiabe, costumi, canti, di due colori assai diversi tra loro, ma che alla fine sono composti della stessa sostanza di colore rosso.
Con qualche eccessiva esemplificazione, lo spettacolo ha il merito di usare la danza in modo poetico per avvicinare anche i bambini più piccoli alle molte differenze culturali che per fortuna popolano sempre più da vicino il loro mondo.  
Elsinor invece in “Neverland L’isola che non c’è” con in scena  Leonardo Diana e Giuditta Mingucci utilizza la danza  in modo originale per raccontare, questa volta  senza parole, il famoso capolavoro di James Matthew Barrie  “Peter Pan“ .         
Attraverso la gestualità dei due performer, un eccellente Leonardo Diana e un'attrice  ( brava con un linguaggio che credevamo non le appartenesse Giuditta Mingucci che segue docilmente e con gusto tutti i suggerimenti che Peter Pan le affida, ed è questo mettere insieme un danzatore e un'attrice una delle preziosità dello spettacolo) ) tutti i personaggi della celebre storia escono dalla memoria  di Peter Pan e Wendy attraverso un gioco di corpi e di oggetti che alludono alle vicende narrate nel libro.
Come detto un' impresa originale e ben espressa, ma che, data l'estrema varietà  del tessuto musicale utilizzato, che va dalla Penguin caffè orchestra ad Arvo Part, solo a volte, secondo noi, incide veramente nell'immaginario di ciò che gli spettatori vedono. Conveniva  forse  creare un tessuto musicale autonomo che seguisse più profondamente e più emozionalmente le coreografie che compongono lo spettacolo.  

In “Senza rete “ Renata Coluccini del Teatro del Buratto con  in scena  i fidi Elisa Canfora, Stefano Panzeri qui con  Ylenia Santo, le scene Marco Muzzolon, le animazioni video Carlo Maria Fusani
dopo “Binge Drinking” che metteva in guardia gli adolescenti sui pericoli del bere si addentra su quelli meno evidenti ma ugualmente  esiziali della rete.
Lo spettacolo racconta in modo parallelo e sincrono le storie di tre adolescenti che nella scuola e  in famiglia vivono, seppur in modo diverso, l'esperienza di essere nella “rete” creata dal Web.  La rete è il loro mondo, la loro maniera di vivere nascosti davanti a uno schermo una vita che forse a loro, poco appartiene, solo lì a loro sembra di essere al sicuro, nascondendosi attraverso migliaia di diverse identità, cercando di comprendere le reazioni degli altri( quali altri?). Una specie di teatro delle finzioni dove ognuno finge di essere quello che non è e che nelle vicende narrate portano ad una grave, inaspettata, conseguenza. Sono parole, riflessioni, dove necessariamente al contrario di “Binge Drinking” rare  sono le interconnessioni tra i personaggi, che ci offrono un quadro disarmante di una parte delle nuove generazioni.
Tutto ciò si coniuga con le immagini video  astratte di Carlo Maria Fusani che scandiscono il ritmo spesso convulso dei movimenti dei tre personaggi in un continuo fluire di emozioni. Un mondo senza speranza, avremmo voluto anche però vedere qualche barlume di reale felicità, qualche poetica consonanza con le gioie che le nuove tecnologie possono donarci,  infatti ben sappiamo che la rete possiede in sé  anche ottime possibilità. Lo spettacolo comunque rimane un ottimo esempio di teatro forum per adolescenti da proporre in un preciso contesto didattico.
          
Gli Eccentrici Dadarò invece in “I love Frankenstein” con la regia Fabrizio Visconti ed in scena Rossella Rapisarda, Davide Visconti e  Marco Pagani, imbastiscono un gradevolissimo divertissement, corroborato sempre da grande ironia, nel quale, in una carrozza ricostruita con bellissimo ingegno da Francesco Givone, che di volta in volta si trasforma in laboratorio, castello, vecchia magione, si muovono le anime del Dott. Frankenstein, della moglie Elisabeth e, alla sua  guida  uno strano servo che si esprime solo con la musica. E' una storia che non parla solo di un esperimento scientifico ma anche di amore e  soprattutto della  riconciliazione tra “creatore” e “creatura”, in cui si sottende il meraviglioso legame che dovrebbe sempre instaurarsi  tra padre e figlio.
Tra  misteri in cerca di svelamento, riferimenti al capolavoro di Mel Brooks, lo spettacolo, alla sua vera prima, ha bisogno, secondo noi,  ancora, di un giusto dosaggio di ritmi ,dove, l'ingranaggio narrativo, dopo una prima parte spumeggiante e piena di trovate, si incarta in meccanismi drammaturgici un poco ripetitivi che solo nel finale riacquistano la loro necessaria funzione. Dopo qualche necessario sfrondamento e tra qualche replica, pensiamo che lo spettacolo possa recuperare in pieno tutta la sua evidente efficacia e  vitalità.
MARIO BIANCHI

IL RAGAZZO DI NOE’ – Coproduzione Ragtime e Tra Sacro e Sacro Monte

Un altro spettacolo sulla shoah e dedicato alla Giornata della Memoria? Ebbene sì, ma quando il lavoro è ben congegnato come in questo caso, siamo felici di vedere come la creatività e la cura sappiano ancora parlare con parole nuove di temi tanto difficilili anche perché onnipresenti e annualmente “calendarizzati”.
Si tratta di un bel testo e l’adattamento del libro di Valentina Maselli (anche regista) ha una buona resa teatrale.
Il ragazzo di Noè, diretto con buona resa teatrale da Valentina Maselli, racconta la storia dell'amicizia che nasce e si fortifica durante gli anni delle persecuzioni naziste in Belgio, tra un bambino ebreo (Joseph) ed un sacerdote cattolico (Padre Pons) che lo protegge dai rastrellamenti. Enrico Ballardini e Massimo Zatta danno corpo sul palco ad un legame che diverrà strettissimo e che assumerà diverse valenze: allievo/maestro, protetto/protettore ma il prete avrà anche un ruolo sostitutivo della figura del reale genitore di Joseph e sarà a volte un vero e proprio compagno di giochi.
Il protagonista è il ragazzo di Noè perchè Padre Pons è un Noè post litteram che sulla propria arca (una cripta segreta) imbarca e salva dalla guerra oggetti e testi sacri della cultura ebraica, affinché si possano conservare nel tempo a venire, anche se non dovesse rimanere nessuno a poterne perpetuare la tradizione.
Il punto di forza di questo spettacolo è la capacità, concretizzata nell’interpretazione degli attori e nella credibilità del testo, di far crescere la profondità di rapporto tra i due personaggi in modo che possa essere seguita e vissuta anche dagli spettatori, con un coinvolgimento graduale ma continuo. Dobbiamo però osservare che l’atmosfera intima creata anche grazie ad una scenografia essenziale e semplice (luci calde e che ricordano focolari, alcuni bancali sovrapposti e una bicicletta a fondo scena) è assai disturbata da inserti musicali inopinati che accompagnano momenti di sapore clownesco che troviamo francamente fuori luogo. Ci spieghiamo meglio: il tono in cui la storia è rappresentata e raccontata è già di per sé molto ben equlibrato, non eccede in retorica (forse un po’ di sentimentalismo, questo sì) né in drammaticità, pur narrando con chiarezza episodi anche molto crudi, pertanto ci sembra inutile voler inserire degli elementi di alleggerimento non necessari e che risultano stridenti per stile con la cifra misurata dello spettacolo.
Vogliamo fare un accenno relativo a un elemento scenografico che in questo allestimento riveste un’importanza particolare: la bicicletta. La bicicletta è un oggetto che incarna valori simbolici centrali come la libertà, l’avventura, l’autonomia, il viaggio e le conquiste. Tutti questi elementi sono anche tessere della storia che Joseph vive, nel tempo che passa con Padre Pons. Ed è un parallelo interessante. Così come importante è la presenza sonora della bicicletta: il ticchettio dei raggi è una colonna che accompagna lo svolgersi della trama, ricordando a noi tutti l’infanzia, lo scorrere del tempo che aumenta i ricordi e ci fa capire quanto sono preziosi.
ELENA MAESTRI


UNO SGUARDO (GIOVANE?) DALLA PLATEA
Vent’anni di “Perché?”
a cura del giovane regista Riccardo Colombini della compagnia Schedia.

“Voi siete il 3-D senza bisogno degli occhialini”
(Mafra Gagliardi, in occasione dell’Eolo Award alla carriera)


“Quando lo spettacolo ha debuttato, lui aveva dieci anni”.
Così Silvano Antonelli ha ringraziato il macchinista che aveva appena terminato con lui la replica del ventesimo compleanno dello spettacolo “Perché?”, storico cavallo di battaglia della compagnia piemontese Stilema, andato in scena la sera dell’8 maggio scorso nella cornice del festival Segnali.
Posso dire, forse un po’ timidamente, che, a livello anagrafico, condivido l’età del macchinista. E altrettanto timidamente, confesserò che quella era per me la prima volta da spettatore di “Perché?”.
Mi è stato chiesto uno sguardo “da giovane” su questo spettacolo. Ci provo... pur non essendo, quello del critico, proprio il mio mestiere.
Per questo, più che sottolineare l’abilità d’attore di Silvano Antonelli e i punti di forza dello spettacolo (che parlano da soli), proverò a riflettere su cosa possa significare per un giovane teatrante per ragazzi assistere al compleanno di uno spettacolo che ha vent’anni ininterrotti di repliche alle spalle.
I compleanni, si sa, finiscono per ricordarci del tempo che passa e diventano spesso, soprattutto nel nostro ambiente, un’occasione nostalgico-museale in cui, con lo sguardo sardonico che solo noi teatranti sappiamo avere, ci si stupisce che l’attore sappia ancora muoversi agilmente sul palco nonostante l’età.
Ecco, tutto questo l’altra sera non c’è stato.
Vorrei anzi ringraziare Silvano e la sua compagnia per averci dimostrato come, a distanza di vent’anni, uno spettacolo possa essere ancora vivo ed efficace sulla scena, ben lontano da un polveroso pezzo da museo. Dimostrazione? C’era un solo bambino in sala (animale raro a quell’ora notturna)... che non ha smesso di ridere e di applaudire fino alla fine.
Ed è forse questo il vero segreto della longevità di “Perché?”.
L’essere cioè uno spettacolo in costante connessione con il pubblico per cui è nato, i bambini, appunto. Come ricordava Silvano a fine replica, dai bambini sono arrivate le domande che permeano il testo, dei bambini sono le curiosità che ispirano molte battute, dei bambini è il gioco su cui è costruito, con semplicità e poesia, l’intero spettacolo.
Credo che questa sia la lezione più grande che un giovane che vuol seriamente fare teatro per ragazzi possa apprendere da uno spettacolo storico: non dimenticare mai il pubblico a cui si parla, magari anche quando potresti fare scelte più facili in termini di mercato... stai con i bambini, gioca con loro, per loro.
E Silvano Antonelli, in scena, continua a giocare e a divertirsi un mondo.
Ce lo ha dimostrato quando, davanti a un unico bambino “superstite” e ad una platea affollata di operatori forse un po’ assonnati, si è presentato con la sua chitarra bianca e ci ha insegnato la sua canzoncina: Scia-ba-dì, Scia-ba-dà...
E allora, buon compleanno (e grazie) “Perché?”!

RICCARDO COLOMBINI
Schedía Teatro



Spunti di critica teatrale dal Festival “Segnali” 2014 di Alice Grati e Lucia Menegazzo dei corsi di regia e drammaturgia della Scuola Civica di Teatro Paolo Grassi


Il festival si apre con Bleu! della compagnia TPO. Appena si entra in sala ci s’immerge immediatamente in un mondo fantastico dal quale ci si aspetta ogni meraviglia, e non si rimane delusi.
Il protagonista dello spettacolo è il mare, in cui due danzatori, una ninfa delle acque e un marinaio, invitano gli spettatori a tuffarsi con loro. Questi due personaggi accompagnano i piccoli fra le onde, la sabbia il mare e le stelle, che fanno da bussola a questo viaggio fantastico.
Lo spazio scenico è a pianta centrale; si compone di un tappeto bianco sul quale sono proiettati tutti gli ambienti evocati, una corona di teli di organza sovrasta la scena, diventa uno schermo di proiezione impalpabile in perpetuo movimento, come una grande onda o come un cielo pieno di stelle.

Per raggiungere la sua ninfa, il marinaio deve compiere un lungo viaggio, attraversando abissi marini, baie sabbiose e onde impetuose. Piccoli gruppi di spettatori vengono chiamati a interagire direttamente con la scena e con le immagini, i piccoli possono giocare con le proiezioni, comandare le stelle, disegnare con le onde, trasformando lo spettacolo nella storia di un incontro, quello tra le due figure fantastiche e quello tra i piccoli spettatori e la scena.
La curiosità di tentare di scoprire il funzionamento tecnico viene immediatamente accantonata: si viene rapiti dagli ambienti evocati e dalla magia che la compagnia riesce a creare in scena.
Nel mare di Bleu! ci si lascia cullare dalla danza e dalle onde. I piccoli giocano, si divertono, diventano parte dello spettacolo stesso e seguendoli ci si lascia trasportare dalla meraviglia degli ambienti evocati, come guardare un caleidoscopio.
Da sottolineare la particolare cura prestata alle musiche e agli ambienti sonori, che avvolgono lo spettatore e con estrema cura e precisione concorrono a fare di Bleu! uno spettacolo delizioso.


Topochef, del CSS Teatro stabile del Friuli Venezia Giulia, dispone gli spettatori seduti attorno a un grande tavolo dal quale sbucano gli attori. I momenti migliori dello spettacolo sono quei rari momenti in cui gli attori si allontanano dalla storia di riferimento, che viene ridotta ma non riesce ad avere una propria autonomia teatrale, e si spogliano delle loro caricature per raccontare con sincerità l’amore per il cibo, per i sapori e per l’amicizia.

BiancaNera, di Teatrimperfetti/Maria Ellero, si fonda sul confronto fra i corpi delle due performer, una ragazza bianca e una nera, che attraversando diverse semplici situazioni affrontano con leggerezza i temi del confronto razziale e della conoscenza reciproca.
Si riesce a sorridere, e l'ironia con cui le due protagoniste colgono ed esprimono alcuni luoghi comuni legati alla discriminazione è il vero punto di forza di questo spettacolo.
Tuttavia si avverte un po' di fatica nel fluire da una situazione all'altra, forse questa difficoltà si ridurrebbe riportando le situazioni presentate all'interno di uno sviluppo narrativo più definito.


Nella rete, Teatro del Buratto – Teatro stabile di innovazione, porta in scena un tema attuale, il rapporto con il web, particolarmente caldo per adolescenti e pre-adolescenti. Si pone l'obiettivo di riportare sul palco storie vere, o comunque basate su episodi reali, di cui si intuisce il processo di ricerca antecedente alla messa in scena.
In una stanza virtuale dalle pareti di specchio, su cui la rete si dipana sovrana grazie ad un incessante apporto video, tre storie dai tratti familiari ai più vengono narrate a incastro, con la cadenza di un diario o un blog, fino alla loro tragica conclusione.
Se da una parte allo spettacolo è riuscito di raccontare il rapporto controverso con la rete da parte dei tre protagonisti, a tratti comandato dal desiderio di fuga dalla realtà, a tratti vissuto come una gabbia, una tela di ragno in cui si rimane invischiati, dall'altra pecca lievemente nel rappresentare con coerenza il mondo adolescente, non tanto nel linguaggio utilizzato quanto nella costruzione dei personaggi, che a volte lasciano intravedere visioni di mondo troppo 'adulte', per le storie che ci riportano e in cui, come tre insetti, rimangono invischiati.

Grimm - i guardiani del pozzo, di Riserva Canini, compagnia vincitrice Premio Eolo 2014 per il teatro di figura, segue alla consegna degli Eolo Awards. Da un cupo pozzo al centro della scena, la maestria dei due performer di Riserva Canini nel trasformare all'infinito un materiale neutro come la carta, fa uscire di volta in volta figure che trasportano lo spettatore grande e piccolo nell'infinito materiale raccolto dai fratelli Grimm, rendendo giustizia a entrambi gli aspetti propri delle fiabe originali degli storici tedeschi: il confronto diretto con le proprie paure e il lieto fine.
Le storie, più o meno note, vengono frammentate e montate, non per raccontare una vicenda in particolare ma per dipingere un affresco di temi e di personaggi che si rincorrono lungo tutto l’arco dello spettacolo.
Il montaggio risulta efficace e mai scontato, la manipolazione e la costruzione dei pupazzi eccellente, così come il passaggio fra diverse tecniche proprie del teatro di figura.
Particolarmente apprezzata la rappresentazione del 'cattivo' delle fiabe per eccellenza, il lupo, che mostrando inaspettati lati giocherelloni nei confronti della manovratrice, alleggerisce col giusto grado di poesia tutto il timore di grandi e piccini per i protagonisti delle storie raccontate.


'Era bellissimo!'  qui sottoscriviamo il commento unanime dei piccoli spettatori che hanno visto 'Il cielo degli orsi' di Teatro Gioco Vita, perché sono due parole che riescono a riassumere meglio di qualsiasi critica il sentimento che ci si porta fuori dalla sala una volta visto questo spettacolo.
Commento che si può riferire sia all'eleganza della scena, animata e sfruttata in tutte le sue potenzialità dalle sagome e dai corpi stessi dei due bravissimi performer, sia alle storie raccontate dalle ombre.
Due storie dai temi importanti, la nascita e la morte, narrate con le giuste dosi di profondità e delicatezza.
I teneri orsi che si confrontano con il cielo e con gli abitanti del loro mondo incantano il pubblico con dialoghi essenziali, mai scontati e a tratti sorprendentemente diretti.
Le storie sono collegate e concluse da interventi di danza che forse dilatano un po' troppo il ritmo della narrazione, ma nel complesso 'Il cielo degli orsi' conquista i cuori di tutti, grandi e piccini.


La nota storia del bambino che non vuole crescere mai è affrontata in Neverland, dalla compagnia Elsinor, con un lungo flash-back: Peter e Wendy, ormai anziani, portano nel corpo la memoria delle loro avventure passate. Memoria che gradualmente riemerge e si trasforma in danza, modalità espressiva azzeccata per riproporre gli episodi conosciuti della storia riconducendoli, senza ripeterli pedissequamente, all'immaginario condiviso di tutto il pubblico.
I due protagonisti scivolano tra la quotidianità e l'isola che non c'è attraverso la trasformazione di alcuni oggetti di uso quotidiano in elementi della storia – un mattarello diventa una spada, un ombrello l'uncino di Hook – mutamenti che ravvivano uno spazio scenico un po' troppo scarno e, forse, migliorabile dal punto di vista estetico.


La scenografia di I love Frankenstein, compagnia Eccentrici Dadarò, cattura immediatamente lo sguardo: una tetra carrozza domina la scena con comignoli che fumano e finestre sbilenche che la fanno sembrare quasi una casa stregata, infestata di spettri e carica di storie da raccontare. Da essa scendono tre personaggi: il dottor Frankenstein e Signora e la Creatura, condannati da duecento anni a vagare sotto la pioggia in un ipotetico seguito del romanzo di Mary Shelley.
Lo strano personaggio che accompagna la grottesca coppia di sposi interviene nella vicenda suonando percussioni e musica live, disturbando, imponendo la sua presenza fino a rivelare loro una possibile soluzione alla maledizione che incombe: creare una strana famiglia e come atto d’amore accettarne al suo interno la creatura.
Spettacolo divertente e pieno di trovate, lo sviluppo drammaturgico della storia secondo noi deve essere ancora però meglio calibrato anche nei riferimenti al film cult di Mel Brooks, rendendolo così accattivante e divertente  per un pubblico di tutte le età 
 
Il ragazzo di Noè di Ragtime si svolge in Belgio nel 1942: un bambino ebreo viene affidato ad un prete cattolico per scampare alle persecuzioni antisemite.
La scena si compone di pochi e semplici elementi: alcuni bancali e la bicicletta del sacerdote. Il protagonista, ormai adulto, si alza dalla platea ed entra nei luoghi della memoria, teatro della sua infanzia. L’attore non si finge bambino, rievoca il suo salvatore e con lui ci conduce all’interno del loro profondo rapporto. Si incontrano due religioni, due età della vita, le quali devono scontrarsi con la guerra e con il nazismo: l’amicizia con il prelato si trasforma in un sincero e toccante percorso di formazione. Lo spettacolo dona molti spunti di riflessione come l’amicizia, l’amore, la religione e la tolleranza.
Alcune immagini sceniche e alcune tracce musicali si ripetono, rendendo il flusso dei ricordi meno scorrevole però ottimi i contrappunti di comicità grottesca forniti dai personaggi secondari, che alleggeriscono una storia così profonda senza mai farla scadere nel banale.


Da precario in un call center a supplente di lettere, Fuori Misura di Quelli di Grock racconta delle difficoltà di un docente che per la prima volta si trova di fronte ad una classe e deve spiegare Leopardi a dei ragazzi delle medie.
Lo spettacolo si divide in due parti: la vita di Andrea, il suo sogno di insegnante frustrato e il rapporto con il portinaio algerino dall’insospettabile saggezza e la lezione vera e propria nella quale il professor Roversi si rivolge ad una classe d’eccezione, il pubblico stesso.
Il brillante one-man-show pone al centro la figura dell’insegnante e ne svela con efficace ironia tutte le paure, le difficoltà e le aspirazioni fino a rendere quasi irrilevante il soggetto della lezione stessa, la vita e le opere del poeta di Recanati.
Lo stile di recitazione e le parentesi pop ben si adattano alla fascia di pubblico al quale si propone lo spettacolo. Lungo, ma divertente e coinvolgente.

ALICE GRATI E LUCIA MENEGAZZO

Considerazioni sul convegno che ha aperto "SEGNALI" di Giordano Sangiovanni-Teatro del Buratto
“Quali prospettive per le politiche pubbliche a favore della cultura, dello spettacolo dal vivo e dell’educazione dedicate alle nuove generazioni”
ovvero come trattare un’inusuale materia artistica e propedeutica smarrendola negli interstizi dell’universo delle Istituzioni e con esse riuscire a dialogare con una nuova progettualità.

La nuova edizione di Segnali, la venticinquesima, è stata inaugurata da un incontro fra Operatori del Teatro Ragazzi e rappresentanti delle Istituzioni locali: gli Assessori alla Cultura, Filippo Del Corno, e all’Educazione, Francesco Cappelli, del Comune di Milano e Graziella Gattulli Dirigente della Struttura Spettacolo, Arte Contemporanea e Fund Raising per la Cultura di Regione Lombardia.

Almeno nella prospettiva il confronto intendeva indagare la definizione di una nuova progettualità, uno stimolo che potesse dare inizio a un confronto costante con le Istituzioni di riferimento, realizzare uno strumento che consentisse di mettere insieme operatori del Teatro ragazzi e interlocutori competenti: un sostegno alle istanze nuove e alle realtà storiche in un’augurabile costituzione di una rete regionale “dialogante” in una nuova e più approfondita attenzione all’infanzia e alle nuove generazioni.
Questo, almeno, nelle intenzioni.
Conosciamo il Teatro ragazzi come componente significativa nella città e nel più vasto territorio di riferimento e nella formazione di quel “capitale culturale” quale nuovo indicatore che intende mettere in evidenza l’importante ruolo della cultura nonostante l’attuale drammatica congiuntura.

Ci siamo immaginati e continuiamo nella nostra ostinazione a crederci che le relazioni fra istanze politiche e imprese di Teatro ragazzi possano assumere non solo un valore simbolico complesso ma “una necessità” per la consapevolezza che genera nel mondo delle relazioni umane e artistiche.
E’ forse una dimensione che potrebbe approdare “nella bocca dell’immaginazione” per citare il testo di Mafra Gagliardi cioè una volontà di “stare a teatro” stando in un mondo che, oggi, non può esistere.

Ci piace ripetere che questo incontro avrebbe voluto delineare, almeno in modo attento e produttivo, riflessioni attorno a una politica specifica dedicata alla complessità artistica, educativa e formativa del Teatro Ragazzi, alla promozione di processi di consolidamento dei soggetti che hanno come mission principale, se non esclusiva, la ricerca, la produzione e la distribuzione del Teatro Ragazzi (spettacoli, rassegne, Festival…), al ragionare anche, osiamo per annullare il mantra dell’inesistenza di risorse dedicabili, al finanziamento di progetti dedicati all’innovazione di linguaggi e della sperimentazione laboratoriale nelle sedi proprie dei soggetti artistici e nelle strutture e nelle sedi scolastiche dei differenti gradi formativi.
Oppure all’attivazione di una nuova politica istituzionale che riconosca la necessità non solo di “una buona pratica teorica” ma di un’articolazione che tenga conto delle diverse presenze artistiche territoriali e consolidi una “nuova strategia” che preveda uno spazio dedicato all’infanzia, alle famiglie, alle scuole con una vocazione anche di carattere internazionale legata al confronto con analoghe esperienze e/o strutture europee per la promozione del Teatro ragazzi nelle sue articolazioni.
Insomma una ragionamento che iniziasse a mettere in fila e in raccordo un immaginario di possibilità oltre gli schemi della propria realtà ma, al contrario, valorizzandone e spezzandone l’isolamento: un approdo in una terra ancora sconosciuta ma esplorabile e sulla quale poter costruire o ri-progettare.

L’incontro intendeva produrre un confronto serrato e, pur rappresentando solo una parte dell’esistente territoriale, una testimonianza di una realtà che potesse suggerire una convergenza di sensibilità e di strategia dedicata al Teatro Ragazzi e, più in generale, alla cultura per le piccole e nuove generazioni, in realtà ha delineato lo stato di precaria sopravvivenza che ben conosciamo e l’evidenziazione dell’assenza di prospettive riconoscibili. Sono intervenuti creatori storici del Teatro Ragazzi e delle sue limitrofie: Mario Ferrari di Pandemonium Teatro, Cristina Cazzola di Segno d’Infanzia, Stefano Braschi in qualità di Direttore del Progetto Europeo Platform Festival, Graziano Melano della Fondazione TGR,  Nicoletta Rizzato di Agis Lombarda,  Giovanna Palmieri di Assitej Italia e Oliviero Ponte Di Pino irrinunciabile propulsore di buone pratiche.

Sono state prodotte significative riflessioni in una fase in cui il Teatro Ragazzi, oltre a non essere previsto come categoria specifica sembra scomparire in meandri oscuri, in interstizi numerici, non identitari, quasi fosse un’attività a completamento di altre categorie ritenute maggiormente fondamentali.
Ciò, è stato sottolineato, produce inevitabilmente una dimensione di forte precarietà intellettuale e materiale che interessa alcune migliaia di artisti, tecnici e operatori del settore.

Siamo convinti, dopo questo incontro che, oggi, una riflessione sulla necessità di iniziare un percorso di confronto e di individuazione di una nuova strategia che possa conciliare un modello organico e favorire un nuovo sistema di attenzione e di azione concreta di modello propedeutico, formativo e di progettazione artistica diventi urgente e necessario.

E’ risultata complessa, in relazione alla dimensione educativa, l’analisi dei compiti fondamentali o primari che la scuola dovrebbe avvertire tra i quali l’insegnamento del teatro e l’educazione al teatro. Il Teatro per l’infanzia e le nuove generazioni vive e, alle volte, progredisce per la caparbia volontà di operatori sensibili e professionalmente capaci, in alcuni e interessanti casi attraverso il sostegno degli enti locali sensibili o per intervento di Fondazioni o per il sostegno volontario, nella scuola, di insegnanti e direttori d’istituto consapevoli della funzione formativa dell’esperienza teatrale.
Situazione che ancora è affidata quasi completamente allo spontaneismo, alla buona volontà, all’estro di pochi appassionati.
Da qui la necessità di coinvolgere più attori che possano produrre nuove riflessioni post-emergenziali nel senso di trovare strumenti condivisi che possano creare primi momenti di progettazione di una nuova strategia che si rivolga a una politica specifica dedicata alla complessità artistica, educativa e formativa del Teatro per i ragazzi.

Altre riflessioni ci porteranno a insistere con le Istituzioni di riferimento.
Un primo risultato, che riteniamo positivo, è stato raggiunto e cioè aver prodotto una dinamica “comunitaria” che, in qualche misura, potrebbe ricomporre un puzzle i cui pezzi sparsi si riuniscono in una nuova scena a partire dalla necessità di una differente visione strategica.

GIORDANO SANGIOVANNI-TEATRO DEL BURATTO










 
    
 






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